dear psychologist 【 frerard 】

By hxpelessaromantic

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« sai, succede molto spesso che il paziente si innamori del suo psicologo, è un meccanismo involontario. ma c... More

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By hxpelessaromantic

«Su, stai tranquillo Frankie. Sai bene che è una cosa normalissima.» lo confortò per la milionesima volta la madre in un sussurro, richiudendosi la porta dello studio alle spalle. Frank la ignorò e prese a torturarsi il labret con la lingua, mentre faceva scorrere lo sguardo davanti a sé.

L'ambiente odorava di fiori d'arancio, ed alcune sedie nere stavano con lo schienale ai muri bianchi, che sfumavano verso il giallo. Delle piante ornamentali decoravano quel luogo quasi austero, donandogli un tocco di colore, assieme ad alcuni quadri appesi alle pareti che il ragazzo trovò molto ben fatti. Lo attirò in particolare modo quello che sembrava ritrarre un bosco di notte, solcato da stelle rosse. Di fronte a lui c'erano due porte bianche con un rettangolo di vetro trasparente, e tra le due si trovava una grossa targa di ottone.

"Studio psicologico Way"

«Siediti lì.» gli disse Linda, indicandogli una sedia, accanto a quella occupata da una ragazza della sua stessa età. Lui ci si avviò e si sedette, sbuffando ed osservando la madre confabulare con la segretaria. Sembravano grandi amiche, e quando la madre le sussurrò una cosa, lei assunse un'espressione seria ed abbassò lo sguardo su un bloc notes tutto scribacchiato.

Frank accavallò le gambe, sempre rigirandosi l'anellino che portava al labbro.
Notò che ragazza accanto a lui era carina, senza pretese: portava i capelli mori legati in una coda e muoveva le mani nervosamente, inoltre non sembrò notare chi le stava seduto accanto. Probabilmente, la reazione sarebbe stata ben diversa di un semplice silenzio. Quando la porta più a destra si aprì, facendo uscire un giovane la cui chioma poteva benissimo avere vita propria, questa si alzò e fece un cenno di saluto all'uomo che si intravedeva dalla porta -Frank ipotizzò fosse il dottor Way-, il quale le sorrise e richiuse la porta alle sue spalle.

Ma allora cosa c'è dietro l'altra porta?

Un rumore di tacchi lo fece tornare alla realtà, ed il giovane voltò il viso in direzione della madre, che stava tornando verso di lui con un sorrisetto sul volto, tenendo ben stretto un foglietto tra le dita.
«Donna mi ha detto che tra poco tocca a noi. Andrà tutto bene, è normale, okay?» gli fece la donna dopo essersi seduta accanto a lui, passandogli un braccio attorno alle spalle. Lo guardò con apprensione materna, finché Frank non annui, rassicurandola.

In fondo, Linda aveva ragione: a quasi tutti in quel buco di città era capitato prima o poi di andare da quello psicologo, che fosse per un consiglio o semplicemente per liberarsi di un peso morale. Anche i compagni di classe con cui non si era mai relazionato ne parlavano bene, ed ogni tanto gli sembrava di sentir sussurrare il nome dello psicologo tra le affiatate conversazioni che conducevano a mensa, due tavoli buoni lontani da lui.
Sembrava una persona molto stimata.

Frank avrebbe preferito stare a casa in camera sua, magari strimpellando nuovi spartiti con Pansy, giusto per distrarsi da tutto; ergo, si stava annoiando. Ignorò la madre che stava sfilando una rivista di moda dal portalistini e riprese a guardarsi intorno, cercando ogni minimo particolare che potesse incuriosirlo o distrarlo dal silenzio tombale, interrotto solo dal ticchettio della segretaria sulla tastiera del desktop.
Contò le undici sedie presenti nella stanza, percepì un suono di voci solo dalla stanza a destra, quella in cui era entrata la sconosciuta, vide che lo smalto della presunta Donna era di una tonalità lilla slavato.

Quello di fronte a lui non era un quadro, bensì uno specchio.

Frank aggrottò la fronte, e lo specchio gli restituì la stessa immagine: un ragazzo non troppo alto, con i capelli scuri ed un'espressione indecifrabile. Il labret sembrava l'unica nota di colore sul suo viso pallido e stanco. La maglietta nera gli arrivava fino ai polsi, e sarebbe stata anche più lunga se lui non ne avesse arrotolato le maniche, le quali coprivano anche alcuni dei tatuaggi che gli scrivevano storie sulle braccia.

Che fosse proprio per quell'aspetto differente che sua madre avesse deciso di portarlo da uno psicologo?
O forse era più per il fatto che non riuscisse a relazionarsi con i suoi coetanei?

Frank sarebbe rimasto lì seduto ad interrogarsi sul perché stesse lì seduto in quella confortevole saletta che odorava di fiori d'arancio, ma le sue elucubrazioni furono interrotte dalla madre, che gli diede una leggera pacca sul braccio destro.
«È il tuo turno.» gli spiegò indicando la porta di sinistra, che ora era socchiusa. Lui si alzò, seguito a ruota libera dalla madre, ed arrivato davanti alla porta ne spinse la maniglia, per poi entrare nella saletta.

C'era molta luce, che proveniva dalle due finestre spalancate, e le pareti dipinte di bianco ne aumentavano il riverbero. Frank socchiuse gli occhi, non potendo fare a meno di ammirare i tanti quadri che decoravano le pareti, dello stesso stile di quelli nella camera antecedente. Agli angoli c'erano altre piante, mentre al centro, una poltroncina di velluto color porpora ed una scrivania disordinata ricolma di libri fogli.
A cui era poggiato un ragazzo.

La prima cosa che pensò era che quel ragazzo fosse troppo giovane per essere uno psicologo. Poteva avere 21, 22 anni. Al massimo 24, ma di certo non di più.
Aveva dei capelli rossi, palesemente tinti, ed i suoi luminosi occhi verdi lo osservarono a lungo, fino a farlo quasi sentire in imbarazzo. Ma non era spiacevole, affatto: quello sguardo era pieno di vita, e Frank pensò che gliene avrebbe potuta infondere un po'.
Tuttavia, quando quegli occhi si piantarono nei suoi, percepì il suo cuore perdere un battito. Sentiva che le loro iridi in quel momento erano incastrate, come due calamite dai poli opposti.

«Salve signor Way.» esordì la madre in un sorriso, interrompendo il contatto visivo tra i due e barcamenandosi sui tacchi nel tentativo di andare incontro a quel ragazzo, per poi stringergli la mano.
«La prego, mi chiami Gerard.» le rispose cordiale lui, con un tono vivace e melodico. Solo dopo Frank si accorse di essere rimasto impalato davanti alla porta, per cui si strinse nelle spalle, raggiungendo la madre.

Il ragazzo rivolse di nuovo l'attenzione su Frank, e per una seconda volta lo guardò, occhi negli occhi; i suoi avevano quella scintilla di vita ormai spentasi da tempo in quelli del giovane. Subito, le labbra sottili di Gerard si incresparono in un sorriso che gli illuminò il viso. Frank pensò che fosse bello, artistico quanto le opere appese attorno a lui e luminoso come la luce che lo aveva accecato.

Gli stava facendo quest'effetto, era come guardare un quadro dipinto con la pura luce del sole su una tela di tenebre.
Si sentiva esattamente così, come la tela del buio che aspettava di poter prendere vita grazie alle mani di qualcuno che lo avrebbe trasformato in un "unico". E nei pochi istanti in cui gli occhi di quel ragazzo furono piantati nei suoi, come due perle di verde smeraldo della stessa collana dei sogni di Frank, lui ebbe un pensiero, totalmente folle: che forse sarebbe stato proprio quel ragazzo a renderlo tale, un giorno.

«Ciao, Frank.» gli disse allora, porgendogli la mano come aveva già fatto in precedenza con Linda. «Il mio nome è Gerard Way.»

A/n
Se avete letto fino a qui, be', grazie mille, ne sono molto contenta. È la prima volta che scrivo una storia a capitoli sulla Frerard, e spero vi piaccia; in caso lasciate una stellina o un commento con le vostre opinioni su questo capitolo, mi farebbe piacere c:
All the love // hxpelessaromantic

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