Just Brothers

By we-are-young-

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Vive con il suo peggior nemico, ma se l'odio provato da entrambi si trasformasse in un altro sentimento? IN R... More

Capitolo 1 - The move
Capitolo 2 - Taylor
Capitolo 3 - He kissed me
Capitolo 4 - We're engaged
Capitolo 5 - The party
Capitolo 6 - Hangover
Capitolo 7 - Dad
Capitolo 8 - I remember
Capitolo 9 - Trent
Capitolo 10 - Sister
Capitolo 11 - Back to home
Capitolo 12 - Hotel
Capitolo 13 - Accident
Capitolo 14 - Bonfire
Avviso
Capitolo 15 - We leave again
Capitolo 16 - Film
Capitolo 17 - WOULD YOU BE MY GIRLFRIEND?
Capitolo 18 - Why?
Capitolo 19 - We end it?
Avviso
Capitolo 20 - No regrets
Capitolo 21 - Surprise
Capitolo 22 - I felt in love with you
Capitolo 23 - ASSHOLE
Avviso
Capitolo 24 - I FUCKING LOVE HER
Capitolo 25 - We're getting married
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Nuova storia
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Avviso!!
Capitolo 33
Avviso.
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 41
Avviso
Capitolo 42
Capitolo 43 (END)

Capitolo 40

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By we-are-young-

Era da più di mezz'ora che aspettavamo mia madre e John. Il battito cardiaco non accennava a tornale regolare. Continuavo a far tremare il ginocchio mentre nel frattempo fissavo la televisione senza però prestare attenzione a ciò che stesse trasmettendo. Tuttavia Taylor sembrava distrarsi con qualsiasi cosa stesse guadando dato che ridacchiava ogni tanto.

"Dovresti calmarti" proferì posando la mano dolorante sul mio ginocchio così da farmi smettere di tremare. L'unica cosa che però ottenne fu uno sguardo omicida da parte mia. Come potevo stare tranquilla mentre i nostri genitori discutevano su quello che avremmo fatto? Sul nostro rapporto? Non potevo e probabilmente mi stavo contenendo, dato che avrei preso ad urlare da un momento all'altro. Si schiarì la voce e cominciò ad accarezzarmi l'interno coscia. "Intendevo che dovresti provare ad essere un po' meno agitata, sono più che sicuro che le cose andranno bene Mel, mi fido di mio padre" riformulò guardandomi intensamente. Annuì ancora insicura e sospirai.

"Lo so, anche io mi fido di lui, è mia madre che mi preoccupa" ammisi poggiando la testa sulla sua spalla e chiudendo gli occhi.

"Andrà tutto bene" sussurrò avvicinandomi ancora di più a lui. Posai la mia mano sul petto e cominciai a tracciare la linea, leggermente visibile dalla maglia, dei pettorali. Sentì i muscoli tendersi non appena cominciai, ma subito dopo si rilasso lasciandosi sfuggire un leggero sospiro.

"Perché non mi hai detto dell'università?" domandai senza pensarci più di tanto. Forse non era il momento adatto o forse lo era, in ogni caso non potevo tornare indietro.

Sembrò pensarci su un attimo, guardando la televisione, ma poi si voltò verso di me prestandomi la sua attenzione.

"Non lo so. Mi sembrava troppo lontano della tua, lo so non è molto distante, ma non sopportavo l'idea di non poterti vedere ogni giorno. Ho deciso di fare domanda alla NYU e mi hanno preso offrendomi anche un posto nella squadra di basket. Volevo farti una sorpresa, ecco perché non te l'ho detto o comunque non te ne ho parlato prima." spiegò giocando con ciocca dei miei capelli.

"Nell'altra un'università ti hanno offerto il posto da capitano non è così?" chiesi sperando di sbagliarmi. Mi era sembrato che John lo avesse accennato una volta mentre eravamo a cena, ma non ero del tutto sicura. Non volevo essere egoista e non volevo che lui rinunciasse ad una carriera sportiva solo per venire con me all'università, probabilmente da capitano di una squadra avrebbe avuto più possibilità di carriera sportiva.

Con sguardo rivolto vero la televisione annuì facendomi capire che non ne voleva parlare. Ovviamente io non avrei lasciato perdere, come sempre d'altronde. "Non voglio che tu venga nella mia stessa università" affermai spiazzandolo, tanto che i voltò di scatto verso di me.

"C-cosa?" domandò quasi spaventato dalle mie parole.

"Non voglio che tu venga nella mi stessa università" ripetei cercando di essere ancora più sicura. Lui mi guardò ad occhi sgranati come se lo avessi colpito in pieno petto.

"Non capisco" sussurrò allontanandosi da me. Era il per il suo bene. Lui meritava di giocare e non glielo avrei di certo imposto io. "Sono andato al colloquio, ci ho messo tutto me stesso per passarlo Melissa e tu adesso vieni a dirmi che non vuoi più che io venga? Che senso a scusa? Francamente io non ne trovo nessuno!" scattò in piedi passandosi una mano fra i capelli facendomi così capire che si stesse innervosendo e fosse piuttosto frustrato.

"Sarebbe stupendo se tu venissi nella mia stessa università Taylor, ma..."

"Ma cosa Melissa? Lo hai detto tu stessa che sarebbe stupendo!" mi interruppe. Mi alzai anche io in piedi e dopo aver preso un respiro profondo parlai.

"Lasciami finire di palare" borbottai "Non voglio che tu venga perché nell'altra università potresti avere più possibilità in capo sportivo Taylor! Lì ti hanno offerto un posto da capitano e come ogni tanto mi avevi accennato, è l'università migliore in ambito sportivo, mentre qui alle NYU ti hanno offerto un misero posto in squadra e per quanto l'idea di vederti ogni giorno mi alletti più del dovuto, non premettero che tu rinunci ad un'opportunità così grande!" affermai innervosendomi sempre di più.

"Cosa?" rise passandosi nuovamente le mani fra i capelli "Mi stai dicendo che tu non vuoi che io venga alla NYU perché non ho un posto da capitano nella squadra?" diventò improvvisamente serio e la cosa mi fece preoccupare. "Non sarai tu a decidere in quale università andrò Melissa" concluse con l'aria di qualcuno che non avrebbe più riparto quel discorso.

Quasi non mi misi a ridere. Erano le stesse parole che io avevo detto a mia madre, le stesse parole che rimbombavano nella mia testa da giorni. Sorrisi amaramente prima di spirare sconfitta. "No, non sarò io a decidere" sussurrai "Vado a fare un giro" aggiunsi prima di dirigermi verso l'uscita di casa.

Richiusi la porta di casa alle mie spalle e mi lasciai sfuggire un sospiro. Ero devastata, stanca e stufa di tutto ciò.

Passavamo un'ora al giorno a coccolarci mentre tutte le altre le impiegavamo urlandoci contro o comunque litigando. Perché non potevamo essere facile? Perché nulla non si ostinava ad andare nel il vero giusto, ma tutto peggiorava? Cosa sarebbe ancora successo? Cos'era programmato ad andare storto che non era ancora successo?

Forse le cose sarebbero andate bene come lui aveva detto o forse mia madre era riuscita a far cambiare idea a John. Alcune volte era peggio di un'incantatrice, riusciva a convincerti che le sue idee erano quelle giuste anche se non era realmente così e la cosa mi spaventava e non poco.

Avrei voluto passare almeno un giorno senza essere tormenta da tutto questo, un giorno senza dover pensare alle conseguenze, un giorno isolata dal modo, perfino da Taylor.

Non sapevo nemmeno più chi ero, erano accadute troppe cose in troppo poco tempo, tant'è che non mi capacitavo nemmeno fossero realmente successe.

Calciai un sassolino a terra che finì nel giardino ben curato di una casa a me fin troppo familiare. Sara aveva una vera e propria ossessione per il giardinaggio e quando aveva tempo si dedicava ad esso decorando il suo giardino di fiori colorati. Da piccoli io ed Alex ne rovinavamo la metà giocando a pallone o cadendoci sopra, tant'è che Sara, sua madre, ci rimproverava ogni volta.

Sorrisi al ricordo mentre lanciavo un veloce occhiata al garage aperto e alla macchina di Alex parcheggiata all'interno. Spostai lo sguardo verso la porta di casa totalmente spalanca e decisi di incamminarmi verso di essa.

Per qualche motivo sentì l'ansia impadronirsi di me mano mano che raggiungevo l'entrata della casa. Prima che potessi fare un'altro passo sentì un rumore, simile alla rottura di un oggetto di vetro, provenire dall'interno della casa. Mi bloccai sui miei stessi passi rabbrividendo visibilmente. Che cosa stava succedendo lì dentro? Non era un semplice bicchiere rotto a terra, sembrava essere stato scagliato con forza.

Senza accorgermene corsi fino a giungere allo stipite della porta, nascondendomici dietro.

"Vattene" affermò Alex cercando di mantenere la calma. Lo potevo vedere dal modo in cui indicava l'uscita di casa, a cui rivolge le spalle, e dal modo in cui stingeva l'altra mano in un pungo, talmente tanto forte da avere le nocche bianche. Non capivo però con chi stesse parlando. Così dopo aver acquisto un briciolo di coraggio mi preparai ad entrare dentro casa.

"Mi stai cacciando di casa?" rise una voce a me sconosciuta. Era una risata amara e piena di ribrezzo, quasi inquietante. "Questa è casa mia!" urlò scagliando una bottiglia già rotta per metà che sfiorarò il braccio di Alex.

Sentì qualcuno urlare nel momento stesso in cui quella bottiglia di vetro si infranse contro il pavimento. L'attenzione dei presenti si focalizzò su di me facendomi così capire che l'urlo che avevo appena sentito proveniva da me.

"Melissa?" domandò Alex quasi sbiancando "Cosa ci fai qui?" domandò lanciando una fugace occhiata all'uomo palesemente ubriaco difronte a lui che non impiegai molto a riconoscere. Era suo padre. "Torna a casa" aggiunse dileguandomi con un cenno di mano.

La madre di Alex spuntò da dietro di lui e tentò di raggiungermi. "Vai a casa Melissa" ribadì in tono dolce, ma non appena lei finì la frase, quello che una volta era suo marito le tirò uno schiaffo, talmente tanto forte che Sara si accasciò a terra. Repressi un'altro urlo mettendomi le mani davanti alla bocca scioccata dalla mostruosità di quell'uomo.

"BRUTTO BASTARDO NON TOCCARLA MAI PIU'!" urlò il biondo prima id avventarsi sul padre, che a causa dell'alcool e dalla forte spinta di Alex cadde a terra sbattendo la testa, ma non perdendo i sensi e il suo umorismo da ubriaco e drogato il quale sembrava essere. Il figlio dopo essersi messo a cavalcioni sopra di lui cominciò a colpirlo in pieno viso. "IO TI AMMAZZO!!" urlò "NON DOVEVI TOCCARLA, nemmeno sfiorarla con un dito!" aggiunse.

Ero paralizzata dalla scena che avevo davanti ai miei occhi, ma non ero l'unica. Posai lo sguardo su Sara che piangeva interrottamente e cercava di dire qualcosa. Riprendendomi un minimo corsi verso di lei e la abbracciai talmente tanto forte da romperle le ossa. "La polizia" sussurrò al mio orecchio "Se continua.....così Alex...lui lo ammazzerà" aggiunse singhiozzando. La guardai negli occhi e non potei fare a meno di vedere il terrore regnare le sue iridi color nocciola e il livido che giaceva vicino all'occhio. Non era la prima volta che la picchiava.

Tastai le tasche in cerca del mio telefono ma mi ricordai di non averlo portato con me quando ero uscita. Cazzo. Le lacrime cominciarono a rigarmi nuovamente le guance. Posai lo sguardo su Alex che, distraendosi da qualcosa, si beccò un pungo in faccia.

Dovevo fare qualcosa, chiamare la polizia, trovare un fottuto telefono prima che il mio migliore amico avesse commesso un omicidio o ancora peggio fosse stato lui ad essere ammazzato. Mi alzai di scatto in piedi facendo vagare lo sguardo in tutta la casa in cerca di un telefono.

Sul ripiano della cucina c'era quello di Alex, così con tutto il coraggio che avevo in corpo superai il mio migliore amico e il padre che però mi afferrò per un piedi facendomi cadere. Sara urlò seguita da me.

"NON TOCCARLA CAZZO, GIURO SU DIO CHE TI AMMAZZO!" urlò scagliando altri pungi verso il padre. Tuttavia Alex si distrasse accertandosi che io stessi bene, beccandosi così un colpo da parte del padre. Presi velocemente il telefono guardando la scienza che avevo davanti.

Le mie mani tremavano talmente tanto che mi era impossibile sbloccare il telefono che sembrava sul punto di cadermi dalle mani. Mi guardai intorno vedendo che Sara mi scongiurava, con lo sguardo, di chiamare la polizia e che il padre di Alex fosse riuscito a capovolgere la situazione, il figlio era steso a terra subendosi i suoi pugni.

Velocemente sbloccai il telefono e chiamai la polizia. Le lacrime non smettevano di rigarmi il viso e il respiro sembrava essere sul punto di cessare per sempre, il battito cardiaco era troppo irregolare tanto che bei paura il mio cuore avesse potuto smettere di battere.

"Pronto polizia di New York che succede?" risposero dopo il terzo squillo.

Che avrei dovuto dire in quel momento? Il panico mi assalì, ma non lasciai che prendesse il sopravvento. Velocemente e confusionariamente spiegai la situazione e fra i singhiozzi gli riferì l'indirizzo, dopodiché mi dissero che sarebbero giunti lì a minuti.

Lo stava ammazzando, Alex non riusciva più a difendersi e il padre continuava a colpirlo. Posai il telefono guardandomi nuovamente intorno alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto salvare il mio migliore amico. La bottiglia di vino ancora piena per metà catturò la mia attenzione. L'afferrai dal tavolo non molto distante e la svuotai senza fare troppo rumore. Poi lentamente e silenziosamente mi avvicinai alle spalle del padre con in mano la bottiglia e senza pensarci due volte glie la spaccai in testa facendolo accasciare addosso ad Alex che però si precipitò a buttarlo a terra con una forte spinta.

Lasciai cadere il collo della bottiglia a terra e soffocai un'urlo mettendomi le mani davanti la bocca e indietreggiando tenendo lo sguardo fisso sull'uomo a terra, privo di sensi, o almeno speravo fosse solo privo di sensi.

Le sirene della polizia si fecero spazio nel silenzio che era calato in quel momento. Alex si era alzato e nel frattempo era andato verso la madre accertandosi stesse bene.

L'avevo ucciso? La domanda mi rimbombava in testa tanto da farmi venire i conati di vomito e dei forti giramenti di testa.

Sentì gli agenti della polizia entrare in casa e parlare con Alex e la madre. Gli vidi ammanettare l'uomo a terra e tirarlo su nel tentativo di portarlo in macchina e poi al commissariato di polizia.

Vidi le luci della polizia illuminare la casa, il rumore delle sirene che non cessava. Sentivo il vociare degli agenti che si ostinavano a domandare cosa fosse successo a Sara.

"E' stata lei a chiamare?" domandò il poliziotto affiancato da Alex che aveva il labbro spaccato, così come il sopracciglio, da dove usciva troppo sangue, davvero troppo sangue. "Signorina si sente bene?" domandò, ma mi sembra impossibile parlare.

"Melissa?" mi richiamò Alex. Stava girando tutto intorno a me e nulla accennava fermarsi. E poi ad un certo punto fu come se la forza di gravità avesse cessato di esistere, che le luci rosse e blu della polizia e le sirene fossero state rimpiazzate da un'inquietante buio e da un fischio assordante, che mi fecero cadere a terra priva di sensi.


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Ho aggiornato finalmente. Non ho mai trovato tanto difficile scrivere un capitolo, non so perché, ma non avevo l'ispirazione o robe varie. Non che il capitolo sia qualcosa di favoloso, ma non riuscivo comunque a scrivere qualcosa di meglio.

Scusate il ritardo.

Spero il capitolo vi sia piaciuto, in tal caso mette la stellina e commentate.

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