How to charm Micol Esposito [...

By _Miss_Arya_

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𝐏𝐫𝐒𝐦𝐨 π₯𝐒𝐛𝐫𝐨 𝐝𝐞π₯π₯𝐚 𝐭𝐫𝐒π₯𝐨𝐠𝐒𝐚 βœ“ Β«Ti amoΒ», sussurrai. Il mio era un mormorio talmente sot... More

Introduzione
Dedica
Prologo
Prima parte
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Seconda parte
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Epilogo
Ringraziamenti
In arrivo il secondo libro della trilogia!

Capitolo 27

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By _Miss_Arya_

You're breaking the girl

(She meant you no harm)

Think you're so clever

But now you must sever

You're breaking the girl

(He loves no one else)

Breaking the Girl, Red Hot Chili Peppers

Avevo rimandato la conversazione con Zef per tre giorni.

Non riuscivo a trovare un modo per iniziare il discorso.

Ehi, piccolo, vuoi conoscere tuo padre?, non mi sembrava un ottimo modo per iniziare. Ma, alla fine, ne esiste davvero uno?

Eppure, ero convinta che dovesse esserci.

E così pensavo e pensavo al modo migliore per dirlo.

Ci riflettevo così tanto che quel giorno scambiai per ben due volte il Gin Lemon con il Gin Tonic e la birra con il vino.

Capite come ero conciata?

Per una che in un bar ci lavorava da quando era adolescente era impensabile scambiare bevande così differenti tra loro per due volte di fila.

E se mio padre non diede peso al primo errore, lo diede al secondo.

«Tutto bene, honey?», chiese, lanciandomi un'occhiata in tralice.

«Sì, sono solo un po' stanca. Tra il lavoro al negozio, il mio lavoro qui e Zef, non ho ancora trovato un momento per me».

«Sai che - se hai bisogno di una serata libera - io, tua madre o tua zia saremmo disposti a passare qualche ora con Zephyr, vero?», domandò preoccupato.

(Se ve lo state chiedendo, Zephyr era il soprannome che mio padre aveva affibbiato a Zef fin dalla nascita).

«No, papà. Non ce n'è bisogno. Non saprei neppure che farci con una serata libera», scrollai le spalle, mentre finii di asciugare il bicchiere che avevo appena lavato.

«Beh, forse, potresti uscire con Luca... è da tanto che non lo fate», suggerì.

Non mi stava guardando, ma percepì la serietà nel suo tono.

Voleva davvero che uscissi con Luca.

«E da quando sei così aperto all'idea che io esca con lui?», chiesi.

«Da quando si è rivelato essere un ragazzo responsabile, che si prende cura di te e Zef, come se voi foste già la sua famiglia», spiegò, passandomi la bottiglia di vodka con cui riempire un bicchiere. «Non guasta il fatto che so che un po' ti piace in quel senso».

Non sapevo se mio padre si riferisse implicitamente alle mie avventure di una notte con Luca, ma preferivo rimanere nel dubbio.

«Non c'entra il ritorno di Teseo, quindi?», domandai.

Stavo versando la Coca-Cola all'interno di un alto bicchiere di vetro quando mi rispose: «Il ritorno di Teseo potrebbe essere un ulteriore motivo per cui ti ho suggerito di uscire ufficialmente con Luca».

Bene, non c'erano dubbi: lui sapeva.

«Papà, te l'ho già detto: Teseo non ha mai saputo della mia gravidanza, ma se l'avesse fatto ci sarebbe stato per noi», ribadì per quella che pensai fosse la milionesima volta.

«E allora te lo chiedo per l'ultima volta, honey: perché non glielo hai detto?»

Smise di fare quello che stava facendo per guardarmi. Non c'era segno di pietà nel suo sguardo: voleva sapere la verità una volta per tutte.

«Non posso dirtelo, papà», dissi, scuotendo il capo.

«Il tuo rifiuto di parlare conferma la mia teoria: Teseo ti ha mandato al diavolo una volta saputo della gravidanza e tu hai passato dodici anni della tua vita a cercare di difendere un coglione senza palle».

«No, papà. Non è così. E lo riconosceresti anche tu se per un momento smettessi di incolpare Teseo di tutto quello che è successo. Perché sai che il Seth che conoscevi non avrebbe mai abbandonato suo figlio».

Mio padre scosse la testa, ancora incapace di superare il suo rancore.

«Papà, potresti lasciare tutto il tuo risentimento alle spalle? Teseo è tornato e vuole conoscere Zef».

«Oh, adesso vuole conoscerlo? Non undici anni e mezzo fa quando l'hai dato alla luce?», sputò aspro.

Si spogliò del grembiule e lo sbatté sul bancone.

Lo guardai lasciare il bar con le spalle incurvate all'ingiù e le mani serrate in pugni.

Probabilmente sarebbe andato sul retro a fumarsi una sigaretta, poi sarebbe tornato come se nulla fosse successo.

Perché così era fatto Orso "Bear" Esposito: se ne andava arrabbiato, ma alla fine ritornava sempre con il sorriso.

«Vedrai che capirà», disse zia Cecil alle mie spalle.

«Tu dici?»

«Non lo dico, Miki, lo so», ribatté. «Prima o poi, capirà che non avresti potuto fare nient'altro».

Non avevo rivelato nulla a mia zia, ma molte volte credevo che sapesse. Che sapesse che niente era dipeso da me o da Teseo. Noi due eravamo solo marionette nelle mani del burattinaio.

«Lo spero», dissi. «Non voglio che provi risentimento verso Teseo, soprattutto ora che inizierà a passare più tempo con noi per conoscere Zef».

«Glielo fai conoscere, allora?», chiese.

Posò il vassoio sul bancone e mi guardò negli occhi, ma non c'era giudizio nel suo sguardo.

«Sì», risposi. «Lui l'ha chiesto e non potevo negare né all'uno né all'altro la possibilità di instaurare un rapporto».

Zia Cecil annuì comprensiva.

«Credo che tu abbia fatto bene. Non farli conoscere non è giusto sia nei confronti di Zef sia nei riguardi di Seth».

«Penso che tu sia l'unica a pensarlo in questo modo», commentai con un sospiro.

«Questo perché io sono la più intelligente in famiglia», disse, schiacciandomi l'occhio con espressione complice.

Risi, felice che stesse tentando di alleggerire la situazione.

«Sappiamo entrambe che il titolo ti è stato rubato appena Zef ha compiuto sei anni, ma farò finta che sia come dici tu».

«Il titolo non mi è stato rubato, ma momentaneamente tolto», mi corresse, puntandomi contro il dito indice. «Quando Zef entrerà nel pieno dell'adolescenza e farà le tue stesse cazzate, allora il titolo sarà nuovamente mio».

«Continua a sperare», le dissi.

Sistemai sul vassoio tutti i drink per il tavolo sette e le feci segno di portarlo al tavolo.

Prima che andasse, però, la fermai e le chiesi: «Zia, come dovrei dirglielo?»

«A Zef?»

Annuii.

«Tesoro, non c'è un modo giusto per dirlo. Prova a farlo con le tue parole, sono sicura che Zef capirà... D'altronde, l'hai detto tu, è il più intelligente in famiglia».

***

Quella sera, chiesi a Zef se voleva leggere con me prima di dormire.

Lui acconsentì, così - dopo esserci preparati per la notte - ci infilammo stretti stretti nel suo letto.

Zef prese in mano Il leone, la strega e l'armadio e iniziò a leggere.

La sua voce era come il suono del vento in primavera: tranquillizzante.

Man mano che proseguiva con la lettura i miei pensieri si zittirono e nella mia testa rimase solo la sua voce.

Alla fine del capitolo, chiuse il libro e lo mise sul comodino, spegnendo la luce.

«Mamma, ti senti bene?», chiese, girandosi su un fianco e infilando le mani sotto il cuscino.

Mi voltai anch'io verso di lui, nella sua stessa posizione. Gli sfiorai la fronte con le dita e sentii le sue ciocche morbide sui polpastrelli.

«Ti sei mai chiesto perché ti ho chiamato Zefiro?», sussurrai nell'oscurità.

«Ho pensato che ti piacesse la mitologia greca...non è così?»

«No, non è così», mormorai.

I suoi occhi si ingrandirono a causa della curiosità.

«Ti ho dato questo nome perché, la prima volta che io e il tuo papà ci siamo detti ti amo, sulla parete della stanza c'era appeso il quadro de La Nascita di Venere», spiegai. «Sai qual è, giusto?»

«Sì, non è il quadro con la donna nuda?»

Risi. In effetti, per un preadolescente, quella è proprio la prima cosa che viene in mente.

«Sì, ma nel quadro ci sono anche delle altre figure: la Ora che porge il vestito alla dea e due venti, Zefiro e Aura».

«Quindi, io mi chiamo così per via di quel quadro?»

«Sì», tentennai a continuare. «E perché anche tuo padre ha un nome associato alla mitologia greca».

Zef parve stupito che glielo avessi detto. Si alzò sui gomiti e mi guardò negli occhi.

«Davvero?»

«Sì, davvero», mi tirai a sedere anch'io. «Ed ha un nome bellissimo, proprio come il tuo».

«Come si chiama?», chiese trepidante. Non lo avevo mai visto così incuriosito.

«Teseo», dissi. «Il suo nome è Teseo».

«Teseo... non è quello che ha sconfitto il Minotauro?»

«Esatto, sì, è proprio lui».

«Anche il mio papà è così coraggioso?», domandò.

«Oh, sì. Teseo è un uomo coraggioso. Lui salva vite ogni giorno», dissi con enfasi.

«Davvero? Cosa fa?»

«È un medico. Un chirurgo».

Zef mi guardò attendendo altri dettagli.

«E poi? Cos'altro puoi dirmi su di lui?», chiese.

Non mi aspettavo di vederlo così emozionato per suo padre, non aveva mai mostrato interesse verso di lui.

«Beh, è un pianista. Suona tutti i pezzi difficili che la prof di musica ti fa studiare e anche alcuni brani pop e rock».

«Sul serio? Suona il piano?», sbatté gli occhi sbalordito.

«Esatto», dissi.

«E poi? Che sport gli piace?»

«Quando era giovane faceva tennis, ma ora penso che abbia smesso».

«Oh, figo... credi che gli piaccia il tiro con l'arco?».

«Questo non lo so, ma sono sicura che, quando lo incontrerai, potrai chiederglielo». Attesi che realizzasse ciò che avevo detto.

Zef pareva confuso: mi guardava con un'espressione accigliata senza dire niente.

«Incontrerai?», balbettò insicuro, aggrottando la fronte. «In che senso?»

«Nel senso che... se tu lo vuoi... potrai incontrare tuo padre», mormorai.

Il silenzio accolse quell'affermazione.

Mio figlio sembrò trattenere il fiato prima di chiedere con gli occhi emozionati fissi nei miei: «Davvero? Dici sul serio?»

«Sì, dico sul serio», lo rassicurai. «Se tu lo vuoi, a tuo padre farebbe tanto piacere conoscerti».

Zef scoppiò a piangere.

Non me lo aspettavo. Di solito era un bambino che teneva tutto dentro piuttosto che esternare le sue emozioni. Quindi, la sua reazione mi colse alla sprovvista.

«Zef, va tutto bene. Se non vuoi conoscerlo, lui capirà», dissi prendendolo tra le mie braccia. Appoggiai la testa sul suo capo e lo cullai.

«Shh, shh», tentai di tranquillizzarlo.

«Ma io voglio incontrarlo, mamma», borbottò, tirando su col naso. «Ma perché adesso? Perché non si è fatto vivo prima?»

Il senso di colpa mi strinse lo stomaco. Mi sentivo una madre di merda per aver allontanato un bambino da suo padre.

«Lui non hai mai saputo di noi, Zef. Mi dispiace, piccolo mio, ma non ho potuto dirglielo».

Zef si scostò da me e disse con le lacrime agli occhi: «Perché, mamma? Perché?»

Ero ancora sorpresa che quell'accusa non fosse saltata fuori anni prima, ma non era mai successo. Zef mi era sempre sembrato contento della nostra situazione famigliare, non aveva mai mostrato tristezza per l'assenza di un papà nella sua vita. Non l'aveva mai nemmeno nominato.

Ma in quel momento capii che lui non mi aveva mai chiesto niente, non perché non ne sentisse il bisogno, ma perché non voleva ferirmi. Perché lui era come suo padre: piuttosto che far male ad un'altra persona si sarebbe fatto a pezzi.

«Mi dispiace, Zef. Mi dispiace così tanto».

Ci volle del tempo per calmarlo, ma lo lasciai sfogare di tutte le lacrime che aveva trattenuto in silenzio, di tutta la mancanza che aveva sentito, ma di cui non aveva mai detto niente.

Alla fine, alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi: «Quando posso incontrarlo?» 

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