How to charm Micol Esposito [...

By _Miss_Arya_

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𝐏𝐫𝐒𝐦𝐨 π₯𝐒𝐛𝐫𝐨 𝐝𝐞π₯π₯𝐚 𝐭𝐫𝐒π₯𝐨𝐠𝐒𝐚 βœ“ Β«Ti amoΒ», sussurrai. Il mio era un mormorio talmente sot... More

Introduzione
Dedica
Prologo
Prima parte
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Seconda parte
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Epilogo
Ringraziamenti
In arrivo il secondo libro della trilogia!

Capitolo 25

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By _Miss_Arya_

All you need is love

All you need is love

All you need is love, love

Love is all you need

All you need is love, The Beatles

Mi svegliai nella stanza di Zef, ancora rannicchiata sulla poltrona che affiancava il letto.

Lo guardai dormire serenamente, la febbre ormai un lontano ricordo.

Il pediatra dell'ospedale, il dottor Gianni Peletti, aveva individuato la causa della febbre in un'otite e aveva detto che qualche volta capitava che la temperatura corporea si alzasse fino ai 40 gradi. Gli aveva dato degli antibiotici e la febbre presto era passata.

Era ritornato a casa la mattina dopo e le sue condizioni miglioravano di giorno in giorno. La sera prima, la febbre era sparita del tutto e Zef aveva insistito che andassi al bar ad aiutare i nonni. Avevo ceduto alle sue suppliche solo quando lui aveva acconsentito a passare la serata in compagnia di Luca, mio collega al negozio di dischi e carissimo amico.

Non fate quella faccia. Eravamo amici, solo quello.

Okay, forse qualche volta avevamo fatto di più di quello che si dovrebbe fare tra amici. Ma solo due volte... O forse di più.

Comunque sia, non eravamo mai diventati una coppia.

Nonostante sapessi che Luca lo avrebbe voluto.

Una sera di due anni fa, persino, era stato sul punto di chiedermelo.

Eravamo distesi sul divano a fissare la città fuori dalla finestra del mio appartamento e lui si era schiarito la gola e aveva detto: «Miki...»

Dal suo tono di voce avevo subito capito che quello di cui voleva parlarmi era una cosa seria.

«Voglio chiederti una cosa...», mormorò.

A quel punto, ero andata nel panico più totale.

Per fortuna, il mio piccolo salvatore era arrivato in mio soccorso.

Zef si era svegliato perché aveva mal di pancia ed era corso da me perché gli dessi quella che io chiamo la sciarpa magica, che - se stretta attorno all'addome - ha il magico potere di guarire da ogni tipo di mal di pancia.

Il discorso venne quindi interrotto e, sebbene Luca avesse tentato più volte di ritornare sull'argomento, non l'avevo mai più permesso.

Non volevo rovinare quello che avevamo per darci un'etichetta che mi sarebbe stata stretta. Non ne avevo proprio l'intenzione.

Guardai Zef dormire beatamente e mi mancò essere una bambina, che correva tra le braccia del papà appena qualcosa di brutto accadeva.

Zef non aveva avuto un padre da cui andare quando stava male... aveva solo me.

Eppure, mi era sembrato sempre contento del nostro piccolo duo.

Ma se non fosse stato così?

Se avesse avuto davvero bisogno di una figura maschile su cui fare affidamento?

Sapevo che Teseo aveva sofferto molto per la mancanza di un padre nella sua vita, ma non potevo fare a meno di pensare che se avessi accettato di farli incontrare tutto sarebbe andato a rotoli.

Le palpebre di Zef si sollevarono e le sue iridi verdi incontrarono il mio viso.

«Mamma? Devo andare a scuola oggi?», chiese assonnato.

Gli toccai la fronte con la mano, scostandogli i ricci che gli erano finiti davanti agli occhi.

«È sabato, piccolo. Non c'è scuola oggi».

Mise il broncio.

Era l'unico bambino sulla faccia della Terra che sarebbe andato a scuola volentieri anche quando stava male.

Era proprio figlio di suo padre.

«Perché sei già sveglia, allora?», chiese, sbattendo gli occhi.

«Pensavo», risposi.

«A cosa?»

«A cose da grandi», dissi.

«Ho quasi dodici anni ora, mamma, puoi parlarne con me», mi fissò con un'espressione corrucciata.

«Grazie per l'offerta, piccolo. Ma ho bisogno di pensarci ancora un po' prima di parlartene».

«Perché? È una cosa grave?»

«No, tesoro. Credo che sia una cosa bella... ma parlartene lo rende reale e non sono ancora pronta».

A Zef si stavano già chiudendo gli occhi, ancora troppo stanco a causa della febbre e degli antibiotici, ma trovò lo stesso la forza di dire:

«Io sono qui, mamma... Quando sarai pronta, vieni a dir-», la voce si spense e venne sostituita dal piacevole russare di Zef.

Oh, il mio piccolo vento.

Proprio come il suo papà, non poteva fare a meno di essere così spettacolare.

***

Dopo che Zef si fu addormentato di nuovo, mi alzai e uscii dalla stanza con passo felpato.

Avevo bisogno di riflettere e per farlo dovevo innanzitutto bere una tazza di caffè nero super-amaro.

In cucina, tirai fuori la moka, misi dentro l'acqua nella parte superiore e la polvere di caffè nello scomparto inferiore. Lo sistemai sul fornello, che accesi a fuoco basso, e attesi che fosse pronto.

Dopo alcuni minuti, versai il contenuto in una tazza con la scritta I'm the best mum in the world. Me l'aveva regalata Zef per il mio compleanno, lo scorso dicembre.

Sorseggiai la bevanda calda mentre riflettevo seduta al tavolo della cucina.

Con un gomito appoggiato al legno e la mano a sorreggermi la guancia, sfogliai i cruciverba che Zef aveva lasciato in giro la mattina prima.

Aveva lo strano vizio di fare colazione mentre si divertiva ad indovinare almeno tre parole di un cruciverba. Aveva iniziato due anni prima e aveva già terminato un numero spropositato di riviste.

Come facesse era ancora un mistero per me.

Io non ne avevo completato uno in trent'anni di vita.

Un tintinnio segnò l'arrivo di un messaggio.

Stella

Videochiamata di gruppo?

Rob

Ci sto :)

Picchiettai le dita contro il lato della cover. Avevo voglia di sentirli, visto che non riuscivamo mai ad incontrarci di persona perché troppo distanti fisicamente, ma sentirli avrebbe significato raccontare ciò che era successo e questo mi spaventava.

Loro, però, erano le uniche persone in tutto il mondo a conoscere il vero motivo della rottura tra me e Teseo e avrebbero capito la ragione per cui avevo paura di mandare tutto a rotoli.

Io

Okay, ho una cosa importante da dirvi.

Accesi il computer e attesi che arrivasse l'avviso di chiamata. Poco dopo, eravamo connessi.

Le facce sorridenti di Rob e Stella comparvero sullo schermo, lui a sinistra e lei dal lato opposto. Nell'angolo in basso a destra, un piccolo riquadro mostrava il viso stanco di una mamma single, le occhiaie di chi dorme di fianco a suo figlio per paura che lui si svegli e stia male da solo e al buio.

«Ehi!», mi salutò Stella. «Come stai?»

La videocamera la riprendeva distesa a letto a pancia in giù, con le gambe che dondolavano dietro di lei.

Aveva di nuovo cambiato taglio di capelli a causa della sua carriera da modella e quella volta, al posto di una caschetto dal taglio netto, le avevano fatto un taglio pixie, corto sui lati e lungo sulla fronte.

Stava benissimo.

Sembrava una piccola fatina proveniente da un mondo lontano e magico.

«Oddio! Stai benissimo!», esclamai.

«Grazie! L'ho fatto appena ieri, ma già lì adoro! Penso che li terrò per un po'».

«A me non dici niente, Miki?», chiese Rob indignato.

Lo guardai: era ancora uguale a un mese fa, l'ultima volta che avevamo fatto una videochiamata.

Aveva i capelli un po' più lunghi e riccioluti di quando era alle superiori e il suo viso non era invecchiato di una singola ruga.

«Sei uguale a sempre, Rob. Per cosa dovrei farti i complimenti?», domandai.

«Per la mia incredibile bellezza, per esempio».

Alzai gli occhi al cielo. Era sempre il solito Rob.

«Allora, cosa devi dirci?», chiese Stella, impaziente di nuovi gossip.

Non me la sentivo ancora di rivelare il motivo delle mie borse sotto gli occhi, oltre alla malattia di Zef, quindi incoraggiai loro a parlare per primi.

«Prima voi. Avete qualcosa da dirmi?», mi attorcigliai i capelli dietro la testa e li fissa con l'elastico che tenevo al polso.

«Niente di ché. Le solite cose: sfilate, servizi fotografici ed eventi tra celebrità della moda e del cinema», disse Stella.

«Cose normali, insomma...», commentai.

«Esatto», borbottò lei. «Sai, penso di avere bisogno di una pausa da tutto questo... Magari mi prendo un periodo di ferie e passo a trovarti».

L'idea di rivedere Stella mi rese felice. Era da tanto che non ci parlavamo faccia a faccia e mi mancava poterle dire tutto quello che mi succedeva durante la giornata, tutte le piccole cose che mi facevano notare quanto Zef stesse crescendo.

«Mi farebbe piacere. In qualunque momento tu voglia tornare, sappi che il mio divano è disponibile».

«Il divano?! Alla tua migliore amica non daresti nemmeno un vero letto su cui dormire?», esclamò con espressione oltraggiata.

«Faresti meglio a tornare a vivere con tua mamma, Stella... Dormire una sola notte su quel divano ti spezza la schiena», le suggerì Rob.

«Dillo ancora e la prossima volta non avrai un posto in cui dormire quando torni», lo minacciai.

Lui sbuffò e fece finta di non aver sentito.

«E tu, Rob? Hai qualcosa da dirci?», chiese Stella.

«Non molto, in realtà...». Silenzio sospetto. «Io e Danny stiamo finalmente convivendo».

Un coro di esclamazioni accolse quella notizia.

Non ci aveva detto che avevano deciso di fare quel grande passo e venirlo a sapere così ci ha colto di sorpresa.

«Cosa?! Non ce l'avevi detto!»

«Stronzo, perché non ce l'hai detto prima?!»

Quelle furono le nostre reazioni.

«Ehi, ehi! Calme! È stata una cosa decisa al momento, io e Danny non ci abbiamo pensato molto».

«Ancora peggio! Perché non l'avete fatto? Non si può prendere una decisione del genere su due piedi», lo riproverò Stella.

«Disse quella che è andata a vivere con il suo ragazzo del liceo quando non aveva ancora compiuto vent'anni».

«Sì, e guarda com'è finita. Si è rivelato uno stronzo senza palle», ribatté lei

Rob borbottò qualcosa sottovoce e, benché non avessimo percepito tutto, avevamo sentito qualche insulto.

«Come osi?!», strillò Stella.

«Ragazzi, non litigate», intervenni io prima che cominciasse una lotta senza fine.

«Non cominciare a fare la mamma di turno, Miki!», dissero nello stesso momento.

«Io sono una mamma a tempo pieno, non posso esserlo part-time», replicai.

La cosa li fece così ridere che vidi delle lacrime di gioia lungo le loro guance.

«Dio, se mi avessero detto quindici anni fa che saresti stata tu la prima nel gruppo a diventare genitore non ci avrei creduto», disse Rob.

«Già, nemmeno io. Ho sempre pensato che sarei stata io», concordò Stella. «Invece, guardami, a trent'anni esco da una relazione all'altra come se fossi ancora al liceo».

«Tu non sei mai andata al liceo», precisò Rob.

«È vero», annuì tristemente Stella.

«Va bene, cambiamo argomento», suggerì il mio amico.

Sapeva che ogni qualvolta Stella si metteva a ripensare agli anni delle superiori iniziava inevitabilmente a piangere.

«Giusto. Cosa avevi di importante da dirci?», chiese Stella.

In quel momento, tutta l'attenzione era puntata su di me.

Non c'erano più vie di scampo tra me e la notizia che avrei dovuto dare già da un pezzo.

«Teseo è tornato», dissi tutto d'un fiato.

«Cosa?», urlarono in sincrono attraverso gli altoparlanti del dispositivo.

«Teseo è in città», scandii ogni sillaba affinché non dovessi ripeterla una seconda volta. Non sapevo se sarei stata in grado di farlo senza attraversare un altro attacco di panico. Per quel mese, me ne bastava già uno.

«Teseo è in città e vuole conoscere nostro figlio».

Un silenzio tombale giunse dall' altra parte dello schermo. Entrambi i miei migliori amici erano rimasti paralizzati dalla notizia. Uno aveva la bocca spalancata come un pesce lesso, l'altra teneva una mano sul petto, completamente sotto shock.

Potrebbe essere peggio, pensai. Potrebbero iniziare a strillare entrambi.

«Cosa? Non ci credo».

«Non ci posso credere».

«Dopo dodici anni è finalmente tornato?»

«Dov'è stato tutto questo tempo?»

«Sta con qualcuno?»

«Come vi siete incontrati?»

«Quando è successo?»

«Ha già visto Zef?»

«In che senso vuole conoscerlo? Vuole fargli da padre?»

«Ci ha provato con te? Vuole rimettersi insieme a te?»

«Ti ha chiesto perché l'hai lasciato?»

Fu come se una bomba fosse scoppiata nella stanza. Mi fischiavano le orecchie e sentivo la testa come sott'acqua.

«Stoooop!», urlai per frenare le loro grida isteriche. «Risponderò a tutte le vostre domande, ma prima calmatevi».

Si zittirono all'unisono.

«Okay, ora, se me lo permettete, vi racconterò tutto».

Loro annuirono, ancora con le labbra serrata in una linea stretta.

E così iniziai.

Partii dal nostro incontro fuori dal negozio di dischi, continuai con Zef che stava male ed io che lo portavo all'ospedale nel bel mezzo della notte, poi raccontai della ragazza tutta curve che era insieme a lui e di quanto era sembrato sconvolto quando aveva visto Zef in quel letto.

Lo aveva capito subito, che lui era suo figlio. Avevo visto la realizzazione nei suoi occhi un momento prima che il dottore ci interrompesse e sapevo che sarebbe venuto a cercarmi.

E lo aveva fatto. Mi aveva cercato e mi aveva trovato come aveva fatto quando avevo diciassette anni.

Aveva incontrato i miei genitori e mia zia prima che io potessi vederlo e poi mi aveva urlato contro tutto il rancore di dodici anni di silenziosa lontananza.

Il senso di colpa che mi aveva colpito era indescrivibile. Sapere di aver negato a me e al mio piccolo vento la possibilità di essere una famiglia mi faceva stringere lo stomaco in una morsa di ferro.

Era stato come essere calpestata, spezzata e triturata. E sapevo che la colpa era tutta mia.

«Non è stata colpa tua, Miki», disse Rob. «Sai che non lo è stata».

«La colpa è di quello stronzo del padre di Teseo che non poteva sopportare che suo figlio fosse felice insieme alla figlia di due semplici baristi rockettari», aggiunse Stella.

Avevo detto loro di quello che era successo la sera della cena a villa Montecchi in un pomeriggio di marzo, prima della nascita di Zef.

Stavo scegliendo il colore della nursery per mio figlio quando un attacco di panico mi aveva colto di sorpresa.

Rob e Stella erano accorsi al mio fianco e non mi avevano lasciato finché la crisi non era passata.

Solo allora, con la gola riarsa e le lacrime asciugate sulle guance arrossate, avevo rivelato che avrei voluto che Teseo fosse lì accanto a me ad aiutarmi a scegliere. Che stavo impazzendo senza di lui e che avevo paura di essere una pessima madre per non averlo richiamato una volta scoperto della gravidanza.

«Chiamalo, allora. Sei ancora in tempo, lo sai», mi avevano detto.

Ed io ero scoppiata.

Avevo confidato loro tutto: le minacce del signor Montecchi, la lettera che avevo lasciato sul cuscino e che conteneva nient'altro che bugie ad eccezione del mio amore per lui.

Rob e Stella erano stati bravi allora. Prima mi avevano calmato e poi avevano cercato di convincermi a chiamarlo lo stesso perché tutto sarebbe stato più difficile senza lui al mio fianco.

Alla fine, però, quando le lacrime avevano smesso di scorrere lungo la mia pelle e respirare era diventato più facile, ero riuscita a decidere il colore della nursery.

Era stato in quel momento che avevo capito che, senza un compagno a darmi una mano, sarebbe stato più complicato, ma che ce l'avrei fatta comunque.

Per Teseo.

E per il suo sogno.

«Cosa succede ora?», chiese Stella.

«Accetterai che lui rientri nella tua vita e diventi un padre per Zef?»

«So che Zef sta bene anche con me soltanto, ma vorrei tanto che avesse un'infanzia normale, che non si sentisse un bambino diverso dagli altri perché non ha un padre presente».

«Allora, hai già la tua risposta, Miki», disse Rob.

«E se il signor Montecchi dovesse intromettersi di nuovo?», chiesi.

Era quella la mia vera preoccupazione. Che il padre di Teseo riuscisse a portarmi via tutto una seconda volta.

«Teseo è un uomo adulto ora. Può sopportare di andare contro il padre per il bene suo e della sua famiglia».

«Credi che lo farebbe davvero?», domandai perché ormai anche le cose di cui prima ero sicura sono diventate solamente motivo di incertezza.

«Da quanto ci hai raccontato, hai la risposta anche a questo», concluse Stella.

Era vero.

Avevo le mie risposte, non c'era più motivo di tentennare.

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