𝐑𝐔𝐈𝐍𝐒 | HS |

By Ilala90

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Il passato custodisce dolore, ma la memoria è gioia. Lui aveva perso pezzi del suo passato, oscuro quanto l'... More

0. Intro: Nur - pietre
1. Argyròphleps nesos - l'isola dalle vene d'argento
2. Tibulus - pino
3. Is Arenas Biancas - la sabbia bianca
4. Mùita di Mari - Il rumore del mare
5. Fritum Janii - porto di Giano
Anticipazioni
6. Tzaramonte - sopra una collina da cui si gode un bell'orizzonte
7. Verbos - parole magiche
8. Harbūtu - desolazione
9. Janas - fate
10. Fanum Maltis - il tempio di Marte
11. Saurra - rugiada
12. Kadoš-Šēne - Madre Santa
14. Tholos - Cupola
15. Kodi - il tempio della luna
16. Aêdes - focolare domestico
17. ALALÀ - al lavoro!
18. Fers omnia - tutto si porta
19. Lùra-a - alloro
20. Thingàno - toccare
21. Er.gidha - lamento
22. Cantones - poesie
23. AGŌ - (aka sumerico) agire
24. Olvidàdu - dimenticato
25. Mannos - giganti
26. Acabar - finire
27 Bisonza de tenner'ide - è necessario avere fede
28. Brebus - sigillo

13. Medius locus - luogo mediano

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By Ilala90


Harry

Era salito su quel muro dissestato per trovare un riparo, una fuga dal mondo da cui non faceva altro che difendersi, quando si sentiva rigettato da tutti, dalla vita, da suo padre, persino da se stesso.

Seduto in quell'angolo eroso quanto i suoi ricordi, Harry ispirò l'aria salmastra che la furia del vento gli issava alle narici e si sentì inglobato in quei profumi accesi che l'isola continuava a offrirgli. Erano così intensi, così definiti, che se avesse avuto l'abilità, il avrebbe riconosciuti uno ad uno. Gli volavano nei polmoni come una sensazione di sollievo.
Erano potenti come una magia che li rendeva familiari.

Una folata di frustrazione si coagulò nel sangue, la gola si chiuse appesantendogli il respiro poiché quei pensieri potevano solo essere il frutto delle elucubrazioni di uno che, come lui, aveva perso parte della normalità e cercava di appigliarsi a qualunque cosa pur di recuperarla.
Poteva essere impazzito dopo solo pochi giorni di permanenza, avvelenato da qualcosa di sconosciuto che veleggiava nell'aria di quell'isola, con tutti quegli odori, quella flora, quel mare e quei misteri.

Fissare il movimento ipnotico delle onde per rigenerarsi nella tormenta di vento che era diventata una culla di ostile silenzio. Nonostante tutto, il mondo sembrava meno inospitale da lassù. Fin quando quella voce non lo buttò giù dalla sua altalena di riflessioni e silenzi.

Chiaramente era lei, colei che non lo lasciava in pace neanche durante i picchi di sofferenza acuta che gli sconvolgevano corpo e animo, che non rispettava il suo bisogno di silenzio anzi, lo sconsacrava con urla aguzze, saccheggiando senza contegno quel limbo di serenità precaria. L'aveva tirato giù quasi di forza, per poi coinvolgerlo nella cattura di una capra e nel fare da scorta ad una centenaria.

A quel punto una cena sarebbe stata ininfluente. Tanto non avrebbe mai ceduto, non si sarebbe fatto manovrare da lei né ora, né mai.

Ma c'era una cosa che non aveva previsto, un riflesso involontario del suo corpo che non poteva controllare.

Non che gli importasse di quella strana ragazza dalla parlantina sempre accesa, anzi, per un attimo aveva creduto che il suo malessere fosse stato una balla per impietosirlo, ma poi lei l'aveva invitato a precederla mentre restava accovacciata a terra. Si sarebbe considerato un verme se l'avesse davvero lasciata lì. Così, senza sventolare un annuncio, l'aveva caricata come un sacco da boxe senza alcuno sforzo.

Ma, apatico o no, il suo amichetto aveva reagito come se fosse stato un'entità separata dalla sua volontà, quando, con lei sulla spalla che si agitava, gli era bastato roteare le pupille per accorgersi di uno spacco indecente sui suoi jeans. Era proprio all'altezza del principio della natica e sembrava gridare: guardami, guardami! E lui, come un idiota, si era soffermato su quella curvatura che sbucava in modo evidente dal lembo strappato di tessuto mentre il sangue aveva cominciato a pompare proprio contro il basso ventre.

Dannazione, era denutrito di emotività, ma non era cieco o immune alle curve femminili, e quel sedere era qualcosa di indescrivibile, un mezzo cerchio perfetto, sporgente, ipnotico, quasi da osannare. Sbigottito che tanta assurda perfezione appartenesse ad una figura tanto fastidiosa e apparentemente insipida, si accorse in ritardo che la tipa in questione gli stava scivolando dalla spalla per colpa dei continui movimenti esagitati. Come se la sua mano fosse stata spinta da una forza magnetica, con la scusa di non fare cadere la psicopatica, andò a sorreggerla con il palmo proprio ad un soffio dallo sgarro dei jeans. Le sue dita erano al confine dove la stoffa era strappata e sul punto di andare direttamente contro la pelle.

Ma che accidenti gli era preso.

Il sangue ribollì come se fosse infuocato ed era stato frustrante già doverla aiutare, ma quello era davvero troppo. Così, afferrata nuovamente salda la sua gelida lucidità, aveva depositato la ragazza con poco garbo su una sedia in legno con un cuore inciso nello schienale.
Quella casa sembrava davvero la dimora delle bambole, contemplò schifato.

Lei l'aveva guardato con il solito feroce astio, i suoi occhi si accendevano trasformandosi in cascate di luce che sembravano volerlo inglobare e sputare fuori per la ferocia, il suo volto era così espressivo che poteva leggere a chiare lettere la scritta "pervertito" tra le luci dorate delle sue iridi. Ma lui non si scompose, come al solito.
Non sarebbe stato attratto dalla selvaggia neanche se fosse stata l'ultima ragazza del pianeta.
Un paio di belle chiappe non significavano nulla, anche se sembravano davvero perfette...

Riemerse dai suoi pensieri quando lei gli domandò ancora una volta cosa intendesse fare per cena e a quel punto, rifiutare gli sembrò inutile e controproducente. Non che avesse appetito, ma il digiuno non era indicato in nessun caso e, infine, consumare un pasto in comune non avrebbe mai scalfito le sue granitiche intenzioni.

Ciò che non aveva previsto era di dover persino cucinare.

Si accomodò a tavola dopo aver distribuito in porzioni quella strana roba che lei gli aveva offerto come una prelibatezza ricca di storia.

Quella pietanza aveva un aspetto demoralizzante con quello strato di qualcosa di bianchiccio sopra e delle erbette sparpagliate sulla superficie. L'odore forte gli perforava le narici. Si chinò con la testa per annusare meglio e trovare un briciolo di stimolo che lo invogliasse a mangiare e, per un istante, il tempo placò la sua corsa cristallizzandogli il movimento delle cellule nel corpo, quando la forza di un déjà-vu lo colpì come un'onta, un affronto perché non poteva essere reale. Un moto fluido di insoddisfazione gli pervase le cellule come un tumore maligno, così come quell'odore riempiva polmoni e atmosfera. Era lì e non poteva estirparlo perché non ne conosceva l'origine, ma ogni parte del suo corpo era contaminata, ormai. Eppure, non riusciva a distinguere niente, a trattenere nulla tra le mani, come l'aria immagini o suoni sfuggivano dalla sua stretta, lasciando la scia solo di qualche odore.

-    Ti piace? – quella domanda apparentemente innocente lo destò infrangendo la cappa di confusione che gli volteggiava in testa e gli contraeva i muscoli.

-    Sono mai stato qui? – chiese con un impeto che non sapeva di possedere. La voce era arrivata direttamente dall'abisso che gli viveva dentro le viscere. Come se una forza oscura dentro di lui si fosse impadronita del suono e delle parole.

-    Cosa? – Harry non alzò gli occhi da quella forma strana, bianchiccia che aveva nel piatto fumante e che non gli ricordava assolutamente nulla. Allargò le narici ispirando ancora quel pizzicorio di formaggio e spezie che gli regalava una consistenza familiare sulla lingua, ma che sembrava più un inganno dovuto alla circostanza, al troppo vento che gli aveva picchiato la fronte. Strinse le dita in un pugno, la mano nascosta sotto il tavolo, sentendosi spoglio nel mostrarsi titubante davanti a lei, oltre che un idiota per essersi fatto sfuggire quella domanda insulsa.

-    Che cosa sai? – riformulò allora lento, chiaro e preciso.

-    In merito a questa? – alzò gli occhi e trovò la selvaggia che indicava con la forchetta la roba flaccida che avevano entrambi nei piatti, apparentemente ignara della sua segreta inquietudine. Harry emise un suono gutturale di avvertimento, la mandibola quasi immobilizzata da un brivido che gli impediva di muoversi. Lei alzò le spalle disinvolta - Ho solo letto i giornali -

-    Cosa dicono –

-    Pensavo lo sapessi –

-    Voglio sapere cosa sai tu – mirò lui prudendo di impazienza. Assottigliò le palpebre studiando i lineamenti distesi di quel viso semplice. Gli sembrava così facile decifrarla, che lo pungeva il sospetto che fosse un'altra illusione. L'ingenua ragazza di paese era un cliché superato e lei, di ingenuo, non aveva nulla.

-    Non molto – iniziò disinvolta ed Harry alzò il livello di attenzione come mai fino a quel momento, quasi avesse voluto decifrare qualcosa oltre le parole - So che più di un anno fa hai avuto un incidente in macchina – la sua voce precipitò in un baratro di tensione che affettò l'aria, che si rifletté in un'ombra che le divise in due il viso. Harry strinse i muscoli per coprire il leggero tremore che lo investì netto come una scarica in pieno petto - Ipotizzavano avessi bevuto troppo o fossi fatto, perché quando ti hanno trovato eri in una zona periferica di New York, quelle in cui si va in certi posti, insomma –

-    Non mi sono mai drogato – digrignò i denti come tutte le volte in cui aveva letto quella solfa. Lui stentava ancora a crederci, persino nel suo periodo peggiore non aveva mai fatto uso di certe sostanze, eccedeva ogni tanto nell'alcol, ma non quello. Ma la cosa peggiore era che lui era rimasto l'ultimo a credere in quella versione di se stesso e non ne aveva neppure vere conferme. Lei continuò cadenzando respiri e voce in un sottile ritmo che gli fece tendere la mascella. Era preoccupata.

-    Poi hanno parlato della perdita parziale della memoria e che nessuno immaginasse cosa fosse successo. Neanche i tuoi amici – un sibilo amaro gli segnò le ossa. Nessuno si era fatto avanti. Ricordava che, dopo essere entrato a lavorare per suo padre, avesse chiuso i rapporti con le vecchie frequentazioni delle corse clandestine. Ma dopo di loro, il buio aveva avvolto ogni nome, ogni volto. E quel silenzio stampa, non faceva presagire nulla di buono. Apparentemente gli era rimasto solo Silver, fedele compare fin dalle corse. Ma lui era tornato di recente da un viaggio in giro per il mondo per disintossicarsi, e delle sue vicissitudini aveva perso le tracce. Ma Sil gli aveva sempre confermato la sua lontananza da certe sostanze anche durante quei periodi di bagordi – Dovresti mangiare, si raffredda – lo esortò poi, inforcando un pezzo di quella strana roba che gli aveva spacciato per una prelibatezza locale. Ma da come fumava, sicuramente era ben lontana dall'essere fredda.

-    Tutto qui? –

-    C'è qualche giornale di gossip che racconta le tue avventure sentimentali – il suo tono tornò saldo, come quello di una conversazione tra amici, mentre soffiava su quel boccone ardente che sembrava voler a tutti i costi mangiare. Harry liberò un sibilo tra le labbra dato che di amichevole, con lei, non c'era nulla.

-    Che non ho mai avuto – fu allora che il sopracciglio della selvaggia si impennò verso l'altro.

-    Non ti sei portato a letto un giro di ereditiere e modelle? – domandò scettica, retorica. Fu il suo turno di alzare le spalle con disinvoltura.

-    Solo qualcuna – e quella mezza verità sembrò bastarle.

-    Ecco, loro devono averlo dichiarato ai giornalisti e da lì si è parlato di questa tua... - storse le labbra lei, roteando le pupille come se fosse stata alla ricerca della giusta scelta di parole da utilizzare e Harry tese ancora una volta la mascella. Non che la preferisse in versione confidenziale, ma così controllata era peggio. Lo faceva sentire ancor più diverso. Ma poi lei agitò la forchetta, dopo aver ingoiato il boccone – Carenza di emozioni, se così possiamo definirla –

-    Apatia – proferì secco, ma lei storse il naso insoddisfatta.

-    Volevo essere più soft –

-    Non esserlo – la freddò lui ostile e lei non sembrò intimorirsi, lo sguardo tornò quello appena altezzoso che aveva sempre.

-    Lo prendo alla lettera. Comunque questo è tutto e non credo tu sia mai stato qui, quest'isola non può essere dimenticata – per la prima volta, non poteva non essere d'accordo.

-    Per questo mi guardi sempre come se mi conoscessi – era un'affermazione che cadde sulla sua testa come una colpa, quella di quanto lo graffiasse di fastidio ogni volta che lo guardava dritto negli occhi.

-    Io non ti conosco – ma lei negò con un impeto indecente che segnò un cambio repentino del suo tono fino a quel momento pacato.

-    Allora hai solo la presunzione di sapere chi sono – decretò la sua condanna piatto, nascondendo il silenzioso ordine di non farlo più. E per lui la conversazione era finita. Anzi, era durata anche troppo. Masticò un pezzo di quella roba, ormai alla giusta temperatura e la trovò piacevolmente gustosa. Tanto brutta quanto buona, incredibile.

-    Neanche tu sai chi sei – quella fu una pugnalata inaspettata e decisa, una lama che affondava nella carne già massacrata, già sanguinante – Ma quello che mi fa specie è che non ti interessa scoprirlo –

-    Non penso ad altro – la forchetta rimase sospesa in aria, come la sua mano, fluttuava in quella confessione scucita dalla tela dei suoi più profondi tormenti.

-    Pensi a chi eri, non a chi sei, perché quello puoi scoprirlo solo vivendo – quella voce studiata e penetrante graffiò come tanti artigli affilati la sua cappa di apatia, il sangue della pelle lacerata gli defluì dentro all'organismo marcio come un veleno.

-    Questo tuo fare la saputella tienilo per le rovine di cui ti piace tanto parlare – reagì di scatto come se le sue insoddisfazioni gli fossero appena eruttate dentro. Bruciavano di più sulla scorza già ferita. Gli occhi di lei saettarono sui suoi come due fulmini e quella sensazione fastidiosa tornò a pizzicargli la pelle.

-    Guarda che hai chiesto tu – alzò la voce di colpo.

-    E ho fatto male, non mi interessa cosa pensi tu o chiunque altro imbecille decerebrato che vive qui – e lui la imitò di getto, come se le catene dei suoi istinti si fossero appena allentate.

-    Ora chi ha la presunzione di conoscenza? Almeno io cerco di aiutarti –

-    No, tu cerchi di aiutare te stessa e questi quattro paesi arretrati – lei strinse i pungi incamerando il suo attacco.

-    E cosa ci sarebbe di male se invece servisse anche a te – sibilò poi con un'enfasi che congelò la lava bollente che lo stava consumando dall'interno. Harry si concesse qualche istante di silenzio, e lei sembrò non opporsi, riprendendo a mangiare con movimenti nervosi e a scatti.

-    Io non ho bisogno di nessuno – esalò infine lui, esausto. Deglutì a vuoto in una gola secca, il corpo prosciugato da quello sforzo. Per lui era come tenersi in equilibrio sul bordo di un abisso con cucita addosso sempre la paura di precipitare. Era solo più semplice vivere in cortocircuito di emozioni. Rimettere in moto l'ingranaggio era spaventoso.

-    Lo so – Harry squadrò interrogativo come lei abbassò le palpebre, lo sguardo caduto su una coltre plumbea che ne spense ogni luce, ogni fervore – Mi sembra evidente, ma tieniti stretta questa convinzione, perché è l'unica che hai e non sai neppure se sia giusta – fu il suo turno di incassare, anche perché lei non gli concesse diritto di replica, riprendendo a mangiare come se avesse voluto inforcare persino il piatto. Cavernicola.

Ciò che più non tollerava di lei era la sua naturale predisposizione a irritarlo, a farlo reagire. Era sempre più frustrante e insopportabile stare lì. Ma riprese a mangiare anche lui quasi per disperazione e poi, quando lei si alzò per sfornare anche le patatine fritte, il suo zompettare su una gamba sola accese una fiammella di curiosità che sapeva più di rivalsa.

-    Invece tu? –

-    Io cosa – replicò lei con un cipiglio burbero che lo istigò ancora di più.

-    Come mai zoppichi? – alzò il mento per indicarle la gamba destra, il piede che non poggiava terra.

-    Perché dovrei dirtelo – si sedette e posò sul tavolo una scodella in cui aveva versato le patatine, da cui iniziò a servirsi agguantandole con le mani senza alcun riguardo.

-    Tu qualcosa su di me la sai – lui fece spallucce solo per avvalorare la sua tesi. La selvaggia roteò gli occhi prima di parlare.

-    Avevo una microfrattura che non ho curato – disse svicolando veloce come un'anguilla, addentando una patatina – Non era niente di grave ma, da allora, ho l'anca metereopatica, sensibile ai cambiamenti temporali, soprattutto alla pioggia – fece una pausa lei, ingurgitando l'ennesima patatina, evitando il suo sguardo come avesse voluto nascondersi o, peggio, come se fosse in imbarazzo. Harry sfornò un leggero ghigno di soddisfazione a quella titubanza. Finalmente – Ogni tanto mi fa male anche se la sforzo, ma poi passa in fretta – concluse infine, snocciolando la questione con estrema banalità prima di sfoggiare un sorriso disinvolto che gli bloccò il flusso sanguigno.
Rimase a fissarlo per qualche secondo, chiedendosi come avesse fatto a comparire da nulla nel mezzo di un simile discorso e come riuscisse a non infastidirlo. Non era forzato, anzi, era decente, poteva quasi ammettere che le donasse - La cosa positiva è che potrei prevedere il tempo meglio dei meteorologi, beh solo quando sta per piovere – ciò che destò il suo stupore non fu cosa disse, ma come lo disse, con le labbra ancora piegate in quello strano e corposo sorriso. Non sembrava volersi addolcire la pillola, sembrava convinta o, peggio, soddisfatta.

-    Perché lo fai? – chiese masticando per la prima volta un'affascinante consistenza di curiosità.

-    Cosa? – lei lo squadrò torva ancora una volta.

-    Trovare un lato positivo -

-    Mi viene naturale – ammise con un'onestà che gli sbattè in faccia come un guanto di sfida - Cosa dovrei fare? Deprimermi ogni giorno perché quando sta per piovere fatico a muovermi? Non se ne parla e lo trovo anche stupido -

-    È obiettività – replicò con una nota maggiore di energia, cogliendo il riferimento nascosto, che lei poi non si trattenne dal tirare in causa.

-    No! – replicò con enfasi - Guarda te, potevi non ricordare nulla, brancolare nel buio come un cieco e invece non hai perso tutta la memoria -

-    Perché mi tiri sempre in mezzo, cosa cerchi di dimostrare? – Harry si accigliò, colpito ancora in quello squarcio di pelle deteriorato, il fruscio dei palmi che scorrevano sulla stoffa dei pantaloni era indice che la sua sopportazione era al limite, ancora una volta. E non sopportava neanche questo.

-    Che il tuo atteggiamento è sbagliato in primis per te stesso – ma quello fu troppo anche per lui. Ogni volta che lei gli affibbiava una stupida frase fatta senza senso, sbattendogliela in faccia con una disinvoltura non richiesta e neanche gradita, lui era costretto a contrarre i muscoli per nasconderne il tremore provocato dalla rabbia. Non era abituato a dover nascondere la collera, aveva imparato a lasciarla andare, eppure lei sembrava così brava a gettargliela nuovamente addosso anche quando lui faceva di tutto per evitarlo.

Le emozioni erano una condanna alla quale non sarebbe più voluto sottostare. Almeno fin quando non avesse ritrovato i tasselli mancanti nel puzzle della sua esistenza.

Mosso da quella convinzione, Harry si alzò dal tavolo a metà frase, dirigendosi verso il corridoio a denti stretti, nascosti dietro alle labbra sigillate. Erano tutti bravi a giudicare la sua dannazione.

-    Bel tentativo – soffiò atono prima che anche lei si impennasse sul tavolo, sbattendo i palmi contro il legno e puntandolo con livore.

-    Sei uno zuccone! Tanto lo trovo un modo per trascinarti in giro che tu lo voglia o no! – Harry si voltò solo per assecondare le sue occhiate assassine, per incamerare una briciola di goduria nel vedere le sue guance addensarsi di rossore, la fronte corrugarsi di alterazione mentre lo spigolo della bocca si arricciava verso l'alto, infame.

-    Allora giocati tutte le tue carte, fiorellino – la prese in giro a denti stretti, l'amaro gusto di scherno alimentava i suoi tormenti.

Una scintilla accese i suoi occhi come una cascata di luce e fu costretto a tendere i muscoli per ignorare un fremito improvviso.
La sensazione misteriosa che scorreva nelle sue iridi di topazio gli si riflesse addosso, come se quella scia accecante gli fosse appena defluita dentro. L'acido pizzicare di soddisfazione si disperse mutando in una consistenza che non riconobbe, ma lo costrinse istintivamente a fare un passo indietro, prima di chiudere la conversazione definitamente - Tanto non starò mai dalla vostra parte -

***

Il giorno seguente l'ennesima telefonata di lamentele con suo padre si era rivelata un buco nell'acqua, sembrava che il genitore godesse di una sadica soddisfazione nel tenerlo imprigionato lì.

Camminava lungo la spiaggia e sapeva che non avrebbe potuto continuare così all'infinito. Aiutare quegli incivili era fuori discussione, fraternizzare con la selvaggia benché meno. Eppure trascorse in quel modo, le giornate si trasformavano in infinite torture in cui il tempo sembrava dilatarsi, protrarsi fino all'esasperazione. Anche perché l'unico fulcro che le alimentava era quello di cercare di evitare lei il più possibile.

La mattina successiva era di nuovo sul letto, steso dal mal di testa e dalla prospettiva insoddisfacente di un'altra giornata buttata via senza senso.

Aveva passato qualche minuto al telefono con Frank, il suo assistente all'interno della compagnia e, dopo la cascata di domande curiose che gli aveva rivolto, Harry aveva colto la palla al balzo per farne solo una a lui: Elene Vessels. Qualche informazione in più sulla selvaggia gli sarebbe potuta tornare utile. Lei giocava sporco, perciò l'avrebbe fatto anche lui.

Ma le ricerche di Frank non avevano portato a nulla, a New York non esisteva nessuno con quel nome e, dato che lei viveva su quell'isola abbandonata dimenticata dal mondo, su internet era come un fantasma. Eppure quella ragazza non lo convinceva e il fatto che si fosse informata sulle sue vicende lo rendeva irrequieto. Aveva bisogno di avere qualcosa in mano anche lui. A New York avrebbe potuto fare ulteriori ricerche, avrebbe potuto...

La porta della stanza si aprì con uno scoppiettio sinistro e lui serrò le palpebre svogliato. Non aveva bisogno di guardare per sapere chi fosse ed era fastidiosamente ridicolo di come quei blitz non lo cogliessero più di sorpresa.

-    Sorgi e brilla! – il suo urlo esaltato si infilò dritto nei timpani, ma lui non si mosse – Andiamo, abbiamo dei giri da fare – neanche per idea, pensò lui mantenendo il silenzio – Inutile che ti fingi sordo, o potrei trovare qualcuno di più interessante con cui parlare – quella minaccia sarebbe stata vana se non fosse stato per le tre parole che lei si affrettò ad aggiungere – Tipo tuo padre – Harry scattò in piedi come spinto da una molla appena caricata, parandosi di fronte a lei che manteneva il centro della stanza con una postura salda e rigida e una riflesso negli occhi che si sbucciava trionfante.

-    Non oserai – il suo avvertimento scivolò su un sorriso sadico e definito che non gli fece presagire neanche un grammo di paura in lei. Gli aveva detto di giocarsi le sue carte e le sue intenzioni in risposta erano accese in quello sguardo fatto di luce.

-    Oh, ma allora il tuo udito funziona ancora bene. Scommettiamo? – lo provocò beffarda sventolando il telefono davanti al suo viso. Harry fece scattare in avanti una mano per afferrarlo, ma lei fu più veloce a nasconderlo dietro la schiena balzando all'indietro di qualche passo con agilità. Nessuno strascico degli ammacchi della sera prima – È inutile, anche se sequestrassi il mio, mi basterebbe andare da Tyler – dannazione, tutta colpa di suo padre e della sua personalissima concezione di protezione.

La voglia di affrontare i suoi dispetti si spense con l'ennesima fitta di emicrania. Harry si sedette sul letto, chinando il capo mentre si spostava i capelli da un lato. Avere a che fare con quella pazza era asfissiante.

-    Che cosa vuoi? – mantenne il viso rivolto verso terra, fissando il piede di lei, chiuso in una scarpa da ginnastica semplice, che batteva nervosamente contro il pavimento.

-    Sia chiaro che io non spasimi per avere la tua compagnia – Harry scrollò il capo a quella superflua precisazione, come se gli potesse mai importare qualcosa - Ma devi venire con me, abbiamo dei giri in programma – avrebbe mandato al diavolo con estrema soddisfazione il suo ordine perentorio. Invece s'impose di cedere, allentando la tensione dei muscoli di colpo, precipitato nuovamente nella totale apatia. Precipitato nella sua vita.

-    Quando? –

-    Adesso – le sue previsioni si concretizzarono drastiche e risolute e, ciò detto, la selvaggia si dileguò a lunghi balzi, tanto che i soprammobili della stanza tremolarono. Rimase immobile per una frazione in più di tempo, seguendo la sua ombra sparire nel corridoio alla svelta, lasciando cadere nell'oscurità anche quel profumo di vendetta che lo invogliava a darle del filo da torcere ogni qual volta che lei calpestava la sua agonia trasformandola in una personale vittoria. Ma lasciò andare i propositi bellicosi, così come si liberava sempre di ogni impulso.

Ingoiò alla svelta un antidolorifico, la sua solita emicrania era nulla in confronto a lei, ma giurò che quella situazione non sarebbe durata a lungo perché, fino a prova contraria, lei avrebbe potuto portarlo in giro come il fantoccio privo di anima qual era, ma sarebbe stato sempre lui ad avere l'ultima parola.

Ciò che invece ancora non era proprio in grado di sbriciolare era quella sensazione di terrore e presagio di morte che lo investiva ogni volta che era costretto ad entrare in quella trappola a quattro ruote contro la sua volontà.

Ricattato da una selvaggia. Incredibile quanto in basso fosse precipitata la sua vita. Per lo meno la ragazzina aveva pensato bene di lasciarlo in pace durante il tragitto, anche se non sopportava quella solita euforia soddisfatta con la quale la vedeva muoversi, guidare, persino guardarlo. Non gli aveva dato una meta, indicazioni, nulla e quel silenzio poteva considerarsi una piccola consolazione per lui.

Fino a quel momento.

-    Alla tua destra puoi ammirare la valle delle rovine – Harry roteò gli occhi solo per puro istinto, senza muovere altro fuorché le pupille. Ma il panorama desolante che aveva stancamente osservato non era mutato, tanto che si limitò a schiarire la gola con un leggero brusio. Era convinto lo stesse prendendo in giro, invece lei frenò la macchina all'improvviso e nel mezzo della strada – Ma non c'è nulla – l'inflessione stupita apparteneva alla voce femminile della creatura al suo fianco. Harry alzò un sopracciglio perplesso, almeno non era cieca.

Aveva sempre il viso rivolto verso il finestrino e verso quella vallata spoglia, quando qualcosa gli sfiorò il braccio sinistro – Eppure doveva essere qui – la psicopatica aveva aperto una piantina grande quanto un tavolo da pranzo, tanto che aveva invaso persino lo spazio del lato del passeggero con quella carta ingiallita e smangiucchiata. Avvicinò due dita solo per tastare la consistenza quasi trasparente del foglio, ma lei la ritirò brusca – Non toccare, è fragile –

-    I navigatori satellitari vanno in tilt in questo posto? – piegò le labbra in un ghigno sottile che lei non poté scorgere, troppo concentrata a tracciare con un dito un percorso immaginario su quel foglio ingiallito e sottile.

-    È l'antica mappa di Tyler, patrimonio dell'isola e disegnata a mano dagli antichi abitanti – la scintilla di orgoglio con la quale illuminò il suo tono avrebbe potuto accecarlo, di fastidio però. Anche perché si trattava di una carta logora con qualche scarabocchio sbiadito.

-    Allora ci porterà lontano –

-    Intanto proseguiamo, dovremmo essere nei paraggi, quest'area cerchiata indica Mesumundo, il "luogo di mezzo" per gli antichi -

-    Toglimi questa cosa muffosa di dosso – lui alzò un gomito per allontanarla per niente interessato alla spiegazione da saputella.

-    Fai piano! È antica – ottima da bruciare allora, una scintilla flebile di vendetta volò tra l'arida steppa dei suoi istinti – Ora andiamo nel paese fantasma, la Valle delle Rovine la cercheremo al ritorno -

-    Fantasma perché non esiste neanche quello? – fu come se la scintilla fosse diventata una fiammella, poteva sentire il calore dell'istinto scaldare il ghiaccio che aveva dentro, tanto che in quel momento trovò quasi insensato trattenersi. Era quasi assurdo macchinare piani di vendetta, quando lei riusciva a boicottarsi da sola.

-    È solo disabitato da molto tempo – la sua protesta accesa riuscì solo a far attecchire altra benzina in quel terreno senza spazio o dimensione. Punzecchiarla e innervosirla veniva quasi naturale.

-    E il piano è quello di attirare i turisti con un paese abbandonato. Mi chiedo perché nessuno ci abbia mai pensato prima – la nota di sarcasmo riempì l'aria rarefatta dell'abitacolo e lei voltò la testa di scatto fissandolo sgomenta come se fosse stato impossibile. Quello sguardo stupito lo fece sentire fuori posto, traballante su gambe non sue che però erano attaccate al suo corpo.

-    A parte che gode di una vista incredibile, ma c'è una leggenda che... - allora Harry emise un sonoro sbuffo, tornando a voltare la testa verso il finestrino, stanco, scombussolato. Quella si svegliava la mattina e ideava leggende – Arrangiati – brontolò allora offesa. Avevano finito le diatribe, invece altre parole, troppe quel giorno, gli sfuggirono via dalle corde vocali.

-    No, ti prego, illuminami – inaspettatamente però, lei riprese a guidare, lanciandosi come se fossero stati sui go-kart, su una strada sterrata fatta di tornanti a gomito che si inerpicava su una collina.

Lo stomaco si schiacciò tra gli altri organi come se fosse stato una boa in mezzo alle onde. Se da un lato si affondava su un dirupo a strapiombo, dall'altra l'ennesima curva presa con quello slancio gli incitò nuovamente il un conato. Di quel passo, una volta giunti in cima lui avrebbe vomitato l'anima.

Che lei lo facesse apposta ormai era chiaro.



Spazio Ila 🐿
Buonasera!
Qualcosa si smuove nelle sensazioni del nostro Harry oppure è solo un momento sporadico?
Lo scopriremo insieme ❤️
Vi piacciono le foto? Vi prego dite di si perché ci ho messo un sacco di tempo a farle, ve ne proporrò una valanga 😂❤️
Un abbraccio fortissimo ❤️

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