Capitolo XLII

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C'era un discreto traffico tra le vie di New York, forse perché il destino voleva mettersi in mezzo e rischiare di rovinare tutto.

Non sapevano quanto tempo ancora avevano a disposizione prima che Malone tentasse il tutto per tutto, ma un presentimento faceva presagire a Loran il peggio. 

«Certo che tu sei proprio strano», la voce, incuriosita di Connor lo distrasse dalle preoccupazioni per qualche secondo. La carrozza procedeva lenta e la paura di non riuscire ad arrivare era tanta.

Si voltò per fissare il suo accompagnatore, seduto accanto a lui. Non parlò, ma nella sua espressione c'era tutto quello che voleva chiedere.

«So perfettamente che hai perso la testa e il cuore per mia sorella...», prima ancora che Loran potesse smentire o dire qualsiasi altra cosa, lui continuò: «Anche un cieco se ne accorgerebbe! Ed è per questo che non capisco perché ti sei precipitato insieme a me da Martin per chiedergli questo favore».

Loran avrebbe voluto dirglielo, spiegargli a parole quello che provava, ma se Connor gli aveva fatto quella domanda, voleva dire che non era ancora pronto a comprendere il significato della risposta.

«Sai che se si sposerà con lui, la perderai per sempre, vero?».

Loran aveva annuito, ed era tornato con la mente a qualche minuto prima, quando era rimasto solo con Agatha, mentre Connor si preparava ad uscire, e lei era parsa altrettanto sconcertata.

«Accetterai davvero di vedermi sposare Martin?», gli aveva chiesto, tornando al loro tono più familiare e poco ufficiale. Come se fosse veramente intimi, perché in fondo era proprio quella conversazione ad esserlo.

L'aveva vista così bella, anche più del solito, mentre lo osservava con sguardo incerto. Una parte di lei si stava chiedendo forse se fosse tutta una tattica per apparire migliore ai suoi occhi.

Ma Loran non ci aveva pensato affatto. Il suo unico desiderio era renderla felice, con o senza di lui. 

«Se è questo quello che vuoi...», non c'era alcun tono nella sua voce, come se fosse indifferente, anche se dentro il sangue ribolliva. 

Non l'aveva mai amata così tanto come in quel momento, con la consapevolezza che stava per perderla. 

«E tu cosa vuoi?».

La domanda lo aveva colto in fallo, forse perché non si era mai fermato a pensare ad una possibile risposta. E riflettendoci, non lo aveva mai fatto.

Fin fa quando era andato ad abitare a casa dei suoi zii, non aveva fatto altro che trovare un modo per sdebitarsi, per far sentire loro quanto fosse grato del loro aiuto.

Non aveva mai pensato a se stesso, e aveva sempre messo il loro bene prima di tutto. Poi lo zio aveva deciso di portare tutta la famiglia a New York, e lui li aveva seguiti.

Poteva scegliere di restare, era grande abbastanza, ma non se l'era sentita di lasciarli da soli, perché in realtà i Murray erano sempre stati il suo tutto. Il suo unico motivo per continuare a vivere.

Lo zio gli aveva salvato la vita, si sentiva in debito, e sapeva che avrebbe dovuto continuare a vivere per dimostrargli di non aver perso tempo con lui.

Poi lo zio si era ammalato, e prima di lasciarli per sempre, gli aveva chiesto di prendersi cura di Kale, e quindi anche di tutta la famiglia. Lui si era definitivamente preso carico delle preoccupazioni dei Murray e, anche se non si sentiva mai all'altezza, aveva fatto il meglio che poteva.

Si era occupato della zia e dei suoi cugini, interpretando il ruolo di uomo di casa, quello responsabile, con la testa sulle spalle, che si fa carico di ogni problema al posto degli altri. 

Fàilte -Storia di speranza e di riscattoWhere stories live. Discover now