Prologo

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Tic...tic... toc, toc, toctoctoctoc. I ciottoli scivolarono ancora una volta sotto le sue scarpe rotolando lungo il pendio mentre i monaci che la seguivano si limitarono a schivarli, senza un lamento. Il corteo funebre aveva smesso da tempo di cantare inni sacri e di recitare preghiere agli dei della montagna. Gli unici rumori che turbavano la quiete notturna erano ormai solo il respiro affannoso degli uomini ed il rumore dei sassi sotto i loro piedi.

I ricordi della Matriarca si perdevano nelle nebbie del tempo, tanto era vecchia, eppure era sicura che l'ultima volta che aveva percorso quel sentiero la strada era stata più dolce e la salita meno ripida.

«Grande Madre» sospirò, raccogliendo con le mani grinzose le pieghe della veste che rischiava in ogni momento di farla inciampare.

«Hai scelto il momento peggiore per morire, Alcina!» borbottò tra sé, maledicendo la defunta. Lei, ovviamente, non rispose. «Nubi scure si addensano all'orizzonte. Il nostro tempo sulla terra sta giungendo al termine e tu, tu te ne sei andata. Ci hai lasciati proprio quando i tuoi figli avevano più bisogno di te!» la rimproverò pentendosi subito delle sue parole, se non altro perché le avevano rubato quel poco fiato che ancora le restava nei polmoni.

In quel momento il sentiero sassoso iniziò a farsi più dolce. La donna se ne accorse ancora prima di avvertire il sollievo sulle sue vecchie gambe, dalle esclamazioni di stupore dell'avanguardia. Il panorama che si apriva davanti a loro era uno spettacolo della natura.

Le cime frastagliate della montagna si innalzavano nel buio, illuminate dalla luna, mentre centinaia di stelle riflettevano la loro luce sullo specchio di un lago. Così quella superficie di acqua scura, lucida come ossidiana, sembrava aprire uno squarcio di cielo nella nuda roccia.

Il lago della Sibilla, il luogo in cui il mondo terreno e quello dei morti si toccavano, l'ultima tappa del viaggio della Regina Maga. Lì nasceva ogni storia e lì finiva.

La donna fece un cenno al corteo che riprese a cantare una melodia antica, di cui a stento si ricordavano le parole, di quelle che di solito gli anziani fedeli ripetevano storpiandone il significato. Mentre cantavano i monaci si disposero lungo le rive del lago di montagna. Il corpo di Alcina venne adagiato a terra. Era avvolto in un lenzuolo di lino bianco, semplice come la gente dei Monti Azzurri di cui era stata regina per secoli. Una donna senza tempo, come quei luoghi in cui ora ritornava.

«Grande Madre», la preghiera spezzò la magia del silenzio. «Noi ti riportiamo tua figlia, Alcina. Custodiscila nel tuo abbraccio».

Un monaco prese con delicatezza il corpo della regina e lo adagiò sul letto di una piccola barca fatta di giunchi intrecciati. Gli accoliti che l'avevano adorata in vita ora si preparavano a darle l'ultimo saluto. Con un movimento impercettibile spinsero insieme la barca verso il centro del lago, in quell'oscurità in cui risplendevano migliaia di piccole stelle.

La Matriarca rimase a guardare mentre l'imbarcazione procedeva verso la sua destinazione, come tirata da una mano invisibile. Poi ad un tratto l'acqua iniziò a passare attraverso i rami intrecciati e ad appesantire il suo carico che prese a sprofondare lentamente in quell'abisso, fino a quando Alcina sparì dalla loro vista.

Ecco, era fatta. Ora non c'era più modo di tornare indietro, la storia doveva continuare.

«Signora», disse ancora, invocando la Dea madre di tutta l'umanità, «tu che risiedi in queste montagne, simbolo della nostra vita e della nostra prosperità, noi ti preghiamo». La donna esitò. Era la prima volta che nel suo ruolo si trovava a presiedere quella cerimonia e si sentì cogliere da un brivido di paura. E se non avesse funzionato? Se la Madre non avesse risposto alle loro invocazioni?

«Alcina è morta» gridò, con voce rotta dall'emozione, «ma la storia non deve finire e proprio in questo luogo sacro avrà un nuovo inizio. Per questo ti invoco, Signora, dicci, qual è il nome della nuova Sibilla?»

La voce della Matriarca rimbalzò sulle rocce intorno al lago che la deformarono ripetendo le sue parole in una eco distinta: «Sibilla, Sibilla, illa, illa».

La donna fece una smorfia. Sicuramente aveva posto male la domanda. Non avrebbe dovuto pronunciarla in quell'ordine.

«Ti prego, Signora» riprovò, «la Sibilla è morta, dicci chi dovrà prendere il suo posto alla guida del nostro popolo. Che le tue parole illuminino il nostro cammino».

La montagna rispose ancora una volta: «Sibilla, Sibilla».

La Matriarca rimase impietrita mentre intorno a lei i canti e le preghiere cessarono improvvisamente.

«Ha detto Sibilla» azzardò uno dei monaci, timoroso.

«Non può essere vero» il mormorio di voci ora si era fatto più deciso.

L'anziana donna si passò una mano tra i capelli bianchi, tentata di formulare un'altra domanda. Avrebbe potuto provare, cosa sarebbe potuto accadere di tanto grave? Sicuramente niente di peggio di quello che si prospettava all'orizzonte. C'era una sola novizia di nome Sibilla tra le ragazze che aspettavano in preghiera nella Schola, desiderose di essere la Prescelta della Madre e quella era la scelta peggiore.

«Madre premurosa» disse, dopo un momento di riflessione, «qual è il nome della Regina Maga che deve succedere ad Alcina?» Tra le novizie c'era una Alcina, ed era tra le sue preferite. Una ragazza studiosa e ambiziosa quanto bastava. Forse era solo una questione di eco dopotutto!

La montagna questa volta non rispose ma un vento improvviso si alzò da valle e prese a fischiare tra le rocce e ad agitare gli steli d'erba. I monaci si strinsero nei loro mantelli per proteggersi, impauriti, mentre il vento sembrava sibilare in modo familiare: «Sibillaaaaaa».

La Matriarca abbassò la testa, sconfitta. «Abbiamo una nuova Regina Maga» disse, «la Madre ha parlato».

Il vento si calmò e sparì così come era arrivato lasciando il gruppetto sbigottito per la manifestazione divina a cui aveva appena assistito.

«Dobbiamo avvisare Suor Sabatina ... e scendere da questa maledetta montagna» borbottò tra sé dando le spalle al lago. Non sarebbe rimasta lì un momento di più, quel posto le faceva venire i brividi. Scribacchiò il nome della prescelta su un pezzo di pergamena e lo passò al monaco più vicino. «Pensateci voi fratello» disse, chiaramente contrariata. Dopodiché sollevò il bordo della veste e ritornò indietro per il sentiero di sassi da cui erano arrivati.

Davanti a lei il sole aveva iniziato la sua salita nel firmamento e tingeva d'oro le cime innevate dei Monti Azzurri, testimoni indifferenti delle miserie umane. 

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now