Capitolo secondo - Il cantastorie

13 4 2
                                    


«Oh, le onde dell'oceano rollano

e i venti di tempesta soffiano

mentre noi poveri marinai andiamo su

mentre i terricoli rimangono giù

mentre i terricoli rimangono giù»

Ion era in cammino da giorni e finalmente riconosceva la sua terra: la pianura aveva lasciato il posto alle colline e all'orizzonte il profilo dei monti oscurava il cielo. Aveva seguito il sentiero che portava a Sarnus, continuando a canticchiare una vecchia ballata che parlava di una ciurma di sventurati e di una sirena e quando finalmente la strada iniziava a salire verso il Piano aveva accelerato il passo. Poteva già sentire l'odore dell'arrosto della Tia, anche se solo nella sua testa. Aspettava con impazienza quel momento! Ogni volta che tornava a casa non vedeva l'ora di ripartire per i suoi vi aggi ma dopo un po' sentiva nostalgia. Tornava sempre, anche se la sua natura era quella di un girovago.

«Un Erratico nasce e muore libero!» 

Era ancora un lattante quando la Tia gli aveva spiegato che tutto quello di cui aveva bisogno era una sacca abbastanza grande per infilarci dentro le sue cose.

«Se puoi portare con te la tua casa sarai l'uomo più felice del mondo».

Aveva fatto tesoro delle sue parole e a dodici anni era partito per il suo primo viaggio. Da quel giorno erano passati cinque inverni. Non sapeva dire quante città aveva visitato, anche perché non sapeva contare, ma le ricordava tutte. Conosceva i loro nomi e, soprattutto, le persone che le abitavano. Sorrise, perso in un ricordo.

« ... Mentre i terricoli rimangono giù», canticchio ancora, aggiustandosi la sacca sulle spalle, preparandosi ad affrontare l'ultimo tratto di salita prima del Piano. Le terre in cui abitava la sua tribù costeggiavano il fiume Largo, fuori Sarnus. Una piccola pianura tra le montagne, coltivata e lavorata con pazienza.

«Sento già l'odore del legno sul fuoco» si disse sfregandosi le mani e ricacciando in gola la saliva. Era giovane ed in salute e non era strano che una bella camminata gli facesse brontolare lo stomaco. Accelerò l'andatura coprendo la distanza con ampie falcate. In fondo ai campi arati poteva già vedere le prime tende colorate: arancio, viola, verde. Che meraviglia. Nessun popolo amava i colori come il suo. Cercò di scorgere la sagoma di Pali e Lala che giocavano nell'erba alta o quella di Tomas che a quell'ora di solito rientrava dai campi tirando l'aratro curvo sotto il suo peso, ma non vide nulla, Solo il fumo che si alzava denso dall'accampamento. Improvvisamente fu assalito dalla sensazione che in quello che vedeva ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato.

L'accampamento era in fiamme.

Ion iniziò a correre verso il fumo, stringendo le cinghie della sacca sul petto. Nessun Erratico avrebbe mai lasciato indietro le sue poche cose. Corse a perdifiato fino alle prime tende. Alcune erano ancora in piedi, altre stavano bruciando.

«Tia! Pali!» chiamò a gran voce. Nessuno rispose. L'accampamento sembrava deserto.

«Tia!»

Niente. Il silenzio che regnava in quel posto era irreale. A quell'ora le donne dovevano essere impegnate intorno ai fuochi mentre gli uomini aspettavano la cena strimpellando la chitarra e cantando vecchie canzoni.

Ion si stava chiedendo dove fossero tutti e che cosa fosse successo alla sua gente quando lo schiocco di un ramo secco che si rompeva alle sue spalle lo fece sussultare. Si voltò ma l'unica cosa che riuscì a vedere fu l'ombra scura di un bastone che si abbatteva sulla sua testa.

Poi tutto diventò nero.

* * *

Quando Sibilla aveva raggiunto Sarnus, un'ora dopo aver salutato Guerrino, il paese era addormentato, rischiarato solo dalle stelle che brillavano nel cielo invernale. Lei però non sentiva né il freddo, né la stanchezza. Stava compiendo un'impresa che aveva immaginato tante volte: andarsene da quel posto in cui il tempo si era fermato secoli prima e che non le riservava niente di bello per il futuro. Si, lì c'era la sua famiglia, ma alla fine l'avrebbero perdonata. Doveva solo aspettare di essere al sicuro su una barca per Orbinum prima di scrivere ai suoi genitori. Nel frattempo, ci sarebbe stata una nuova Regina Maga. Non aveva mai avuto il coraggio di mettere in atto il suo piano di fuga, fino al momento in cui aveva ricevuto il braccialetto di Alcina. Quel regalo inatteso aveva fatto precipitare le cose. La corona di rovi, il simbolo della Sibilla dei Monti Azzurri. Non aveva mai incontrato la vecchia, cosa voleva da lei? Perché disturbarsi a mandare un regalo ad una perfetta sconosciuta in punto di morte? Il solo pensiero le fece venire i brividi da testa a piedi. La ragazza accelerò il passo e superò il paese senza guardarsi indietro, intenzionata a mettere più strada possibile tra lei e quel destino scritto da qualcun'altro. Si fermò solo due volte a riposare e per mangiare qualcosa che era riuscita ad infilare nella borsa. Il tempo per preparare quello che le serviva era stato poco, solo qualche minuto per sgattaiolare in cucina e rubare un po' di pane dalla dispensa. Aveva trovato dei biscotti, salame, formaggio. Le provviste sarebbero finite presto e forse per questo continuava a sentire i morsi della fame! Stava pensando proprio alla crostata al cioccolato di Ada quando intorno a lei gli uccelli iniziarono a cantare. Lontano, dietro l'orizzonte, il sole stava sorgendo.

«Ehi! Fai attenzione ragazzina!»

Sibilla si accorse all'ultimo momento del carro alle sue spalle. Saltò di lato per evitare di essere travolta e nel farlo finì nel fosso che seguiva il corso della strada. Cercò con tutte le sue forze di mantenere l'equilibrio afferrandosi ai ciuffi dell'erba ma non riuscì ad evitare la caduta. Con un "plonf" umido finì seduta sul greto del fossato tra l'acqua gelida e il fango.

«Maledetto idiota!» gridò, «vuoi ammazzarmi?». Cercò di rialzarsi ma il fango sotto alle sue scarpe era scivoloso e il suo goffo tentativo finì solo per peggiorare la situazione. In quel momento vide una mano tesa verso di lei e un volto rugoso in cui spiccava un sorriso beffardo chiazzato d'argento. «Vuoi una mano ragazzina?» Gli occhi vivaci, neri come il carbone, tradivano il suo divertimento. Le trecce bianche annodate sopra la testa, legate con un nastro giallo lo identificavano per quello che era: un Erratico. Sibilla lo ripagò con uno sguardo di fuoco ma accettò il suo aiuto. Dopotutto se voleva uscire da lì non aveva scelta. Con uno strattone deciso il vecchio la tirò fuori dal fosso.

«Maledizione, i miei vestiti, ... le scarpe. Oh Madre, la borsa! Dov'è la mia borsa?» Si guardò intorno alla disperata ricerca delle sue cose. La sacca penzolava da un cespuglio di rovi ma metà del suo contenuto era finito in acqua. La ragazza sentì l'impulso di mettersi ad imprecare. L'Erratico se ne stava in disparte con le braccia conserte, il sorriso ancora stampato in faccia. Nel frattempo, la scena aveva attirato altre persone che erano scese dal carro per vedere la causa di tutto quello scompiglio. Bene! Aveva un pubblico ora!

«Ascolta ragazzina. Mi dispiace» si difese l'uomo, forse per timore di dover assistere ad una crisi di pianto. Sibilla si toccò le guance: erano in fiamme. «Se vuoi possiamo darti un passaggio a casa».

«No!» si affrettò a dire, con un po' troppa foga. Sicuramente gli Erratici si stavano chiedendo cosa ci facesse una ragazzina come lei per strada a quell'ora del mattino. «Sto andando al mare a trovare una ... cugina».

«Ma guarda un po'! Anche noi andiamo da quella parte. Se vuoi nel carro c'è posto».

Sibilla guardò la strada e poi l'uomo e poi ancora una volta la strada. Sua madre le aveva detto tante volte di non fidarsi degli estranei, tanto meno dei gitani perché erano un popolo di ladri e di scansafatiche. Lei però non aveva mai seguito alla lettera i consigli di Ada. Accettò con un cenno del capo mentre una vocina nella sua testa le diceva «Non farlo, non farlo! Sono ladri, scansafatiche e pure sporchi. Ti prenderai una brutta infezione!» Quando passò accanto al vecchio zingaro dai denti d'argento, lui le fece un inchino e le porse la mano per aiutarla a salire gli scalini del carro mentre un suo compagno, un altro uomo con una faccia da galera, apriva le porte che erano bloccate da un asse di legno per farla entrare. Perché mai le porte dovevano essere sprangate dall'esterno? Sibilla si sentì assalire dal panico mentre quel particolare sbagliato metteva in allerta tutti i suoi sensi. Fece per tornare indietro ma l'Erratico la spinse dentro con forza.

«Buon viaggio, principessa!» le augurò, tra le risate dei suoi compagni richiudendo le porte dietro di lei. L'asse di legno tornò al suo posto con un rumore secco e Sibilla si trovò al buio in un carro che puzzava di stalla.

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now