Capitolo tredicesimo - Il Consiglio

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Nella stanza, fino a quel momento rumorosa, calò un silenzio improvviso e innaturale. Sibilla inspirò e trattenne tra l'aria tra i denti. Ciò che quelle parole implicavano era tanto doloroso da renderlo impronunciabile.

Brunforte balbettò qualcosa, parole monche di cui era impossibile decifrare il significato, incapace di articolare una frase sensata.

«L'Ordine non può lasciare Sarnus!» Ion diede voce a tutto lo sdegno che gli altri avevano trattenuto fino a quel momento. «Non potete portarci via la Regina Maga!» replicò l'attendente del Governatore. Nella frazione di un secondo la stanza tornò a riempirsi di voci e la gente ad animarsi come se lei potesse sparire da un momento all'altro.

Le carte erano state scoperte. Le intenzioni dell'Ordine erano chiare: mettersi in salvo fintanto che fosse stato possibile; che lo stessero ammettendo apertamente era un fatto inatteso, talmente contrario alla natura delle cose che lo rendeva difficile da credere. L'Ordine, da tempi che si perdevano nella memoria, aveva sempre rappresentato il baluardo dietro al quale la gente del paese si sentiva protetta. I monaci non erano solo una rappresentanza religiosa ma anche soldati che nelle guerre passate avevano lasciato il saio e avevano sanguinato combattendo al fianco del Governatore. Ora quella certezza veniva meno proprio nel momento più buio e, come se non bastasse, avrebbero portato con sé anche la Regina Maga. Alcina viveva come un'eremita ma grazie alla presenza della Schola e delle consorelle nessuno aveva mai dubitato della sua protezione e, in qualche modo, della sua vicinanza.

La Matriarca mise un segno nel suo breviario, spostando il segnalibro tra le pagine che stava leggendo e lo chiuse con un movimento secco e deciso. Quello emise un tonfo, ricacciando tutta l'aria dal suo interno.

«Capisco il vostro sconforto, ma la priorità è quella di proteggere la Regina Maga. Non possiamo metterla in pericolo», disse, per mettere la parola fine alle proteste.

Brunforte accusò il colpo ma scrollò la testa come un pugile annebbiato che ha deciso di non darsi per vinto.

«Voi cosa avete da dire Signora? E' anche la vostra decisione?» chiese, rivolgendosi direttamente a lei, riconoscendole un potere che non aveva, quello di influire, in qualche modo, sulle scelte dell'Ordine.

O forse, al Governatore e alla gente di Sarnus bastava solo sapere che non era d'accordo con quel piano di fuga per non perdere tutte le speranze. In quel momento non avrebbe saputo dirlo ma capiva che molto dipendeva da come avrebbe risposto.

«Sono d'accordo con voi» rispose, guardandolo negli occhi ed evitando accuratamente di guardare la Matriarca. «Questo non è il momento di scappare. Credo che dobbiamo tutti mettere da parte i nostri egoismi ed accettare il disegno che in modo inatteso il destino ha tratteggiato per noi, ... anche se non ne vediamo bene i contorni e non ci piace». Si rese conto che le sue parole valevano per ognuno dei presenti e, soprattutto nel suo caso, erano un'amara verità, difficile da mandare giù, proprio come un sorso di uno sciroppo amaro.

«Non ho mai sentito tante stupidaggini nella stessa frase!» esordì Suor Sabatina, saltando in piedi tutta rossa in viso.

«Resterete quindi?» chiese Brunforte, facendo un gesto per zittire la Sorella.

«No» gli rispose, prendendolo di sorpresa. «Io e i miei compagni andremo a cercare la Città del Sole e a chiedere aiuto. Abbiamo trovato noi la mappa, dovremmo essere noi a portare a termine la ricerca».

Il disegno del destino. Quello che non piaceva a nessuno, tanto meno a lei.

La Matriarca era ormai sulla porta e si girò a guardarla, il sopracciglio destro che quasi scompariva nell'attaccatura dei capelli.

"Accidenti! non la sta prendendo bene."

«Lodevole» disse, la voce dolce come miele mentre il suo sguardo raccontava un'altra storia. «Tanto attaccamento alla causa vi fa onore, ma non siete nella posizione per decidere da sola. Non siete ancora la Sibilla» disse, fugando ogni dubbio su quale fosse la sua idea sul suo ruolo e, soprattutto, sul suo livello di autonomia.

La ragazza fu tentata di dirle che, in ogni caso, non avrebbe avuto alcuna libertà di scelta, sia che fosse diventata la Regina Maga sia che fosse rimasta un'allieva della Schola con la passione per la matematica, ma tenne per se i suoi pensieri.

«Tre mesi» rispose, invece, sorprendendo tutti i presenti.

«Prego?»

«Dateci tre mesi di tempo, per andare e tornare. Dopodiché attraverserò gli Inferi e farò tutto quello che chiedete» disse, con tono che avrebbe voluto più deciso.

«Non se ne parla» rispose per lei Suor Sabatina, mentre Frate Adelmo si lasciava scappare un'imprecazione.

«Peonia può venire con noi e assicurarsi che non mi succeda niente e che io rispetti la mia parola» continuò.

La Matriarca non fece nemmeno lo sforzo di nascondere il proprio disprezzo, tanto era contrariata da quel contrattempo. «Forse non ci siamo capite, tu non sei nella posizione di decidere per Peonia» le rispose, le parole taglienti come lame.

«Non ci sono problemi. Andrò con lei». Le parole della fata spezzarono la tensione che si era creata, prendendo la monaca di sorpresa. Il suo sguardo gelido guizzò da Sibila a Peonia.

«Non ce n'è bisogno» sibilò.

«Ma io voglio andare con lei» puntualizzò la fata. «Credo che se qualcuno può portare a termine questa impresa è proprio Sibilla Biancofiore. Ha dimostrato in più di un'occasione di essere capace di grandi cose.»

Improvvisamente la Matriarca sembrava più vecchia, più ossuta e quasi perse l'equilibrio. Si appoggiò allo stipite della porta e le sue labbra si aprirono e richiusero in uno strano balbettio, quasi fosse indecisa su come rispondere a quella sortita inattesa.

«Non ha potere sulle fate» bisbigliò Ion al suo orecchio. «Se Peonia vuole accompagnarti, non può impedirglielo».

Fortuna Ion che conosceva le tradizioni di Sarnus e che, in quel momento, era lì a consigliarla.

«Benissimo, allora siamo tutti d'accordo» intervenne Brunforte, come a chiudere il discorso. «La proposta della Sibilla è saggia. Da parte nostra faremo tutto il possibile perché la missione abbia successo.»

Sibilla si fece da parte e lasciò parlare il Governatore. Ormai la ruota aveva iniziato a girare e non c'era più niente che potevano fare per arrestarla. Guardò Peonia e lei abbassò la testa in segno di rispetto. Era chiaro che aveva deciso da che parte stare.

«Andiamo» disse, prendendo Ion sotto braccio e avviandosi verso la porta.

«Dove?» chiese lui sorpreso.

«Dobbiamo prepararci per un lungo viaggio e qui non hanno più bisogno di noi, inoltre abbiamo diverse persone da salutare prima della partenza» rispose sottovoce. Nella stanza Brunforte, Adelmo e la Matriarca avrebbero definito i particolari senza di loro.

****

Era sera quando i monaci dell'Ordine scortarono la Matriarca fuori dal palazzo. Ormai Sarnus era avvolto dalle ombre della notte e il freddo gelido entrava nelle ossa degli sventurati che si avventuravano per le strade del paese.

Alla vecchia sembrò di sentire lo stesso vento gelido che aveva soffiato sul monte la notte della morte di Alcina. Sibilla era stata risoluta nell'ottenere quello che voleva ma lei doveva esserlo di più.

Fece cenno ad Adelmo di avvicinarsi e si avvicinò a lui quasi a volersi riparare dal freddo dell'inverno.

«Quando saranno partiti, manda qualcuno. Liberati di lei», gli sussurrò all'orecchio e attese un cenno di assenso prima di lasciare andare il suo braccio. 

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now