Capitolo ottavo - Le cinque leggende

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 La tirapiedi della Doganiera aveva ragione. Sibilla non capiva proprio quale fosse il suo ruolo in quello che stava accadendo. Ancora una volta sembrava essere parte di un piano più grande, un progetto che qualcun altro aveva deciso senza tenere conto dei suoi desideri, il che le dava davvero fastidio.

«Perché mai quegli infedeli del Ducato dovrebbero volere la Regina Maga?» Peonia sputò a terra come se le parole che aveva appena pronunciato le avessero lasciato un retrogusto amaro in bocca.

«Per ragioni che tu non sei tenuta a conoscere, Fata» rispose Polimnia con altrettanto disprezzo.

Sibilla sentì Peonia muoversi inquieta dietro di lei e allargò un braccio per trattenerla. Non voleva che le fosse fatto del male. Nessuno di loro doveva farsi male.

«Ero vostra ospite, potevate accontentarvi, lasciare che i miei amici tornassero a Sarnus sani e salvi, e io sarei partita per il Ducato senza opporre resistenza».

«E abbiamo vinto comunque», le ricordò Calliope. «Loro torneranno su quel maledetto treno e tu seguirai questi gentiluomini a bordo del dirigibile personale del Duca».

Gli uomini in nero si mossero verso di lei.

Ion fece un passo e in un baleno fu al suo fianco. «Non farete nulla che lei non voglia!»

«Sei disarmato, Erratico. Fatti da parte». Gli uomini del Duca risero del suo goffo tentativo. In effetti era molto coraggioso a farsi avanti a mani nude, armato solo del coraggio dei suoi sedici anni.

Sibilla si guardò intorno. Erano circondati ed in svantaggio. Non avevano alcuna speranza.

«Qualcuno ha un'idea brillante per andarcene da qui?» chiese ai suoi compagni, senza voltarsi.

«Forse io ho una mezza idea». La risposta di Peonia arrivò inaspettata.

«Veramente stavo scherzando ...» disse a bassa voce, lanciandole un'occhiata veloce.

La fata non perse tempo a controbattere. «Giovanni!» gridò, attirando l'attenzione del gigante. «Lanciami il tuo batticarne!»

Non che Giovannino si trovasse in una situazione migliore della loro. In quel momento era circondato da cinque soldati del Corbezzolo che cercavano di infilzarlo con le loro picche e il batticarne era l'unica cosa in grado di tenerli lontani. Il gigante non ci pensò due volte e facendo ruotare l'arma sopra la sua testa la scagliò verso Peonia con quanta forza aveva in corpo.

«Grande Madre, stai cercando di farci uccidere?» Sibilla vide la mazza arrivare verso di loro a tutta velocità. Nessun essere umano avrebbe avuto la forza di afferrarla a volo o di brandirla come faceva Giovanni. La sua mente matematica iniziò a calcolare il momento, la forza, la velocità e a chiedersi quando li avrebbe colpiti.

La fata la ignorò. In quel momento sembrava impegnata a recitare una strana litania.

«A terra!» gridò Ion, prendendo Sibilla per la testa e abbassandola con forza. La ragazza sentì il duro pavimento battere contro le sue ginocchia e imprecò per il dolore, mentre non poteva fare a meno di continuare a guardare il batticarne che roteava nell'aria con un sibilo sinistro. Poi, quando ormai li aveva quasi raggiunti, la mazza girò su se stessa tornando indietro e colpì il primo degli uomini del Ducato sotto il mento, sollevandolo in aria. Come se non avesse appena incontrato un ostacolo continuò il suo giro prendendo in pieno il secondo uomo primo di dirigersi come un bolide verso le guardie Doganesi che tenevano sotto tiro Giovanni.

«È una stregoneria!» I soldati cercarono di gettarsi a terra ma questo non impedì al batticarne di farne volare via due come bottiglie in una gara di tiro a segno.

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now