Capitolo terzo - Attraverso la Marca

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Ion aveva impiegato dieci minuti di cammino per raggiungere le due donne. Sibilla camminava spedita per la sua strada seguita da Peonia a distanza di sicurezza. Nessuna delle due parlava e quando lui le raggiunse solo Peonia si voltò a guardarlo.

«Che vuoi fare?» le chiese, affiancandola.

«È mio compito proteggerla. Se non posso convincerla a seguirmi andrò con lei, dovunque vada».

Poco più avanti Sibilla emise un suono simile ad uno sbuffo di vapore, chiaramente contrariata.
«E tu?»

«Vengo con voi. Sono un cantastorie e questa non voglio proprio perdermela!» sorrise.

Per un istante Sibilla si fermò e si voltò a guardarlo. Cosa era quell'espressione che poteva leggerle in volto? Gli sembrò sorpresa mista a paura. Poi, così come si era fermata la ragazza riprese il cammino e accelerò il passo.

«Non ho intenzione di farti del male, Biancofiore!» la derise. «Voglio solo cantare le tue imprese!»

Un brontolio sordo rispose alla sua battuta.

Quelle furono le sole parole che i tre si scambiarono per ore. Il paesaggio intorno a loro era diventato pianeggiante. La geometria regolare dei campi arati era spezzata ogni tanto da qualche casa di contadini e dai filari di cipresso. I monti azzurri erano lontani ormai, il loro profilo nascosto dalle colline. Il verde dei lecci e delle querce aveva lasciato il posto ai colori bruni della campagna invernale.

«Prima o poi ci dovrà rivolgere la parola, non può continuare a fare la sostenuta» disse Ion, indicando a Peonia la sagoma di Sibilla che camminava qualche decina di metri davanti a loro.

La fata lo guardò di traverso. «Devi contare molto sul tuo fascino gitano per esserne sicuro!» rispose, con un sarcasmo che era sicuramente frutto dell'esasperazione. Avevano camminato tutto il giorno, senza mettere niente in pancia, e questo non contribuiva di certo all'umore.

«Si, penso di avere un discreto fascino» rispose, girando il volto a destra e sinistra, così che lei lo vedesse bene, «ma non era a quello che pensavo. Ha bisogno di noi se vuole sopravvivere in questo posto. Guardala. Non ha alcuna esperienza di viaggio, la sua sacca è piccola e sicuramente ha già terminato il cibo».

Peonia annuì.

«A proposito, chi erano quei banditi?» le chiese. Ora che il ghiaccio sembrava rotto, parlare era più semplice. Non che lui si fosse mai fatto dei problemi ad attaccare bottone, però la fata gli incuteva un sano timore.

«Banditi» rispose lei, l'essenza stessa della sintesi.

«Ma perché dei banditi dovrebbero travestirsi da Erratici per rapire altri Erratici?» Ion era certo che lei potesse rispondere alle sue domande.

«Forse per far credere che i gitani sono ladri e furfanti».

Il ragazzo la guardò negli occhi, incerto se la risposta fosse seria o se la donna lo stesse portando per i fondelli.

«Ah, proseguì lei. È vero! Ma gli Erratici sono ladri in fondo! Un popolo in cui gli uomini non lavorano e le donne lasciano i bambini correre in giro nudi e sporchi come animali. Chi mai penserebbe che se ne vadano in giro a rapire la gente?

Ion inspirò e poi fece uscire l'aria come un sibilo. «Così mi ferisci!» disse, fingendosi offeso. «Ma perché rapire un'intera tribù di gitani?»

La fata guardò fissa davanti a sé, poi scosse la testa. «Non lo so», concluse. «In effetti non ha alcun senso».

Ion annuì, poi la superò con due ampie falcate, raggiungendo la loro vedetta. «Ehi, principessa! Vogliamo fermarci? Il sole sta per calare e dobbiamo trovare un posto per la notte».
La ragazza non rispose e continuò a camminare. Altri due, tre, quattro passi, poi si fermò. Accanto a lui Peonia sibilò sorpresa. Ion non poté fare a meno di sorridere mentre si voltava a guardarla.

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now