Capitolo quarto - Le Terre Libere

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Sibilla e i suoi compagni avevano dovuto attendere il buio prima di uscire dalla cantina. Il vecchio libraio era stato gentile e aveva insistito per condividere con loro quello che aveva nella dispensa. Non era molto, se si considerava il fatto che viveva di cultura e tutti sanno che la cultura non rende ricchi.

Era ormai notte fonda quando i tre arrivarono in vista della costa. Un villaggio di pescatori dalle case colorate sonnecchiava illuminato solo dalle fiaccole appese alle finestre.

«Non vagare nelle tenebre, ma bada, piuttosto, a tenere accesa la tua piccola lampada» cantò Ion. Con la mano sembrò cercare qualcosa nella sacca alle sue spalle, la stessa in cui aveva infilato le provviste. Ne estrasse un oggetto di legno lucente che brillò alla luce delle fiammelle con un bagliore caldo: un violino.

«Laggiù, mie signore» disse, indicando la linea dell'orizzonte dietro le case colorate. «Questa sera mangeremo sulla spiaggia!» dopodiché, senza aspettarle, iniziò a correre in quella direzione.

«Aspetta!» Sibilla lo chiamò, ma il giovane era già lontano e stava ballando tra le onde rischiarate dalla luna. «Venite! Cosa aspettate!» La musica del violino spezzò il silenzio e le note di una allegra ballata ravvivarono l'atmosfera. La ragazza sentì le labbra incurvarsi in un sorriso. Era ad un passo dal realizzare il suo sogno e lo stupore di Ion per un attimo la contagiò: si sfilò le scarpe e lasciò che la sabbia fredda e umida le pizzicasse la pelle nuda.

«Sveglierai tutti!» lo rimproverò Peonia. «Insegnare l'educazione ad un Erratico è un'impresa senza speranza» brontolò.

Ion non le rispose. Sembrava isolato dal resto del mondo, perso nella sua musica. Sibilla si sorprese a fissarlo a bocca aperta.

«Cosa guardi Biancofiore!» La sua voce la riscosse da un sogno ad occhi aperti. «Non ci sono bei ragazzi a Sarnus?» le chiese, ammiccando.

Le guance della ragazza avvamparono. «Sei un idiota!» balbettò e per un attimo pensò di affogarlo nell'acqua gelida. Non aveva mai conosciuto nessuno come lui. Sfrontato e spavaldo, si lasciava scivolare addosso ogni cosa, a partire dagli insulti di Peonia.

«Non guarderei mai uno come te!» gli rispose, pentendosi subito delle sue parole. Si morse il labbro maledicendosi per la sua impulsività.

Un'ombra fugace attraversò lo sguardo di Ion o forse fu solo un'impressione perché subito dopo sfoderò il suo miglior sorriso da dongiovanni: «Sarai anche la Sibilla ma le profezie non sono il tuo forte Biancofiore!»

«Cosa vuoi dire?» ringhiò lei, sempre più irritata dalla sua gran faccia tosta.

«Non te ne rendi conto ma io ti piaccio e un giorno la tua armatura lucente cederà e allora...»

Sibilla batté le ciglia, incredula. Per un attimo le mancarono le parole.

«Bene. Detto questo, mangiamo, prima che lei decida di ucciderti rovinandoci la cena, Erratico!» Peonia aveva raccolto la sacca con le provviste dalla sabbia e teneva il cartoccio con il pane sottobraccio mentre frugava nella bisaccia alla ricerca del formaggio.

Si. Ucciderlo poteva essere una buona idea, ma lui aveva ricominciato a suonare il violino e la ragazza si rese conto che quello era il suo modo per chiudere lì la discussione. «Ti do una mano» disse, rivolta a Peonia.

La cena fu rapida e frugale, accompagnata dalla musica ad un tratto nostalgica di Ion e dal silenzio di Peonia. Sibilla si perse a guardare le onde del mare. In vita sua le aveva viste solo un'altra volta, da bambina, quando la sua famiglia era venuta in vacanza sulla costa. Il vento gelido le gettava i capelli in faccia e ululava tra le case accompagnato dalle note di quella che sembrava una ninna nanna.

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now