Capitolo sesto - La Doganiera

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La mascella di Sibilla cadde come se fosse dotata di vita propria lasciandola a bocca aperta come una perfetta idiota. Non aveva mai visto niente di simile. A dire il vero non aveva visto quasi niente nella sua breve vita a parte Sarnus. Si era sempre chiesta cosa ci fosse là fuori ed era certa che valesse la pena scoprirlo. In quell'istante ne ebbe la prova. Davanti a lei si innalzava la costruzione più originale e bizzarra che avesse mai visto. La sua fantasia non avrebbe mai potuto concepire qualcosa di simile. Chissà quanti architetti avevano lavorato per costruire quella meraviglia di pietra bianca che dalla collina dominava il mare. I sette piani dell'edificio squadrato che aveva visto dalla spiaggia lasciavano il posto ai due piani della facciata, completamente ricoperti di statue di creature marine. Tritoni e sirene sembravano nuotare leggeri tra le onde del mare che creavano un motivo fluido sulle pareti del palazzo mentre coralli, alghe e piante marine di ogni tipo si intrecciavano tra loro intorno al portone e alle finestre in un tripudio di molluschi, pesci e piccole creature degli abissi in una danza armoniosa. Quel palazzo sembrava costruito per il dio del mare. Fuori, sulla piazza proprio davanti a loro, le nobildonne che aspettavano di entrare, con i loro vestiti eleganti, erano un festa per gli occhi.

«Grande Madre!» esclamò. «È bellissimo!»

«Già».

L' umore di Ion non era dei migliori. L'erratico fissava il portone, oltre il lungo corridoio che portava all'interno del palazzo come se stesse andando verso la sua condanna a morte. Sibilla allungò la mano e gli prese la sua.

«Andrà tutto bene» gli disse, «ne sono certa».

Il ragazzo sorrise. «Era quello che volevo sapere» disse, strizzandole un occhio. «Le tue previsioni sono la migliore assicurazione sulla mia vita!» scherzò ricordandole il suo fato.

«No, Ion, non intendevo questo. Non era una profezia ...» ma l'Erratico era già cinque passi davanti a lei che si faceva largo tra i nobili ben vestiti.

«Non intendevo ...» borbottò oltrepassando anche lei il maestoso portone d'ingresso.

«Sibilla Biancofiore?» chiese una vocina facendola voltare per capire chi avesse parlato. Il corridoio era illuminato a giorno ma nonostante questo non riuscì a scorgere anima viva.

«Si?» chiese, guardandosi intorno.

«Qui, qui» proseguì la voce, ora chiaramente stizzita.

Sibilla guardò in basso e dietro alle gambe di un nobiluomo, riuscì a scorgere un esserino minuscolo dalla testa sproporzionata con un foglio in mano e una piuma d'oca nell'altra. L'ometto stava spuntando una lista.

«Guarda chi si rivede ...» sbuffò Peonia con il suo tono meno amichevole. «Il tuo amico nano!»

Tutti sapevano che tra nani e fate non correva buon sangue, pensò, poi scosse la testa: solo i bambini credevano nelle fate.

«Buonasera, mio signore» lo salutò, rispolverando le buone maniere.

Il nano la squadrò con disapprovazione dalla testa ai piedi, quindi tracciò tre righe sul foglio, depennando quelli che dovevano essere i loro nomi. «Aspettate qui dentro» disse indicando loro un punto alla sua destra, liquidandoli e passando ad una coppia elegante che era in fila proprio dietro di loro. Una porticina era appena visibile tra due colonne ricoperte di finti coralli e mangrovie. Sibilla, Ion e Peonia si guardarono condividendo la stessa preoccupazione, poi l'Erratico si fece coraggio e girò una piccola chiave d'oro infilata nella toppa aprendo l'anta con uno scricchiolio lugubre. Con grande sorpresa di Sibilla l'uscio dava su un grande androne luminoso che terminava in una imponente scala che doveva portare ai piani nobili. Piante vere, ficus, rododendri e decine di piante esotiche che aveva visto solo sui libri di botanica erano allineate davanti alle finestre e davano a quel posto l'aspetto di una piccola serra.

Sibilla e le leggende della MarcaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora