Capitolo dodicesimo - L'Uovo di Terro

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Tornare, prendere l'uovo senza essere visti e sgusciare via fu una cosa relativamente semplice nel silenzio della notte, nonostante il rumore dei passi di Giovannino e il suo respiro pesante mentre tirava il carretto. Più che le ruote del carro contro l'acciottolato era il suo respiro da muflone che trapassava il silenzio della notte e riempiva l'aria. Il gigante aveva qualche problema a gestire la sua massa imponente e sembrava perennemente in carenza di ossigeno. Sibilla aveva mantenuto lo sguardo fisso sulle finestre nel timore che qualcuno li potesse sentire e dare l'allarme. Chi poteva sapere quali sguardi curiosi si nascondevano dietro agli stipiti?

Solo quando attraversarono Porta Brunforte e uscirono finalmente dalle mura si concesse di rilassarsi. Le ruote del carro presero a scorrere silenziose sul sentiero di terra battuta e Giovannino rantolò, quasi stesse per spirare. Sibilla e Ion si guardarono e scoppiarono a ridere.

«Ce l'abbiamo fatta!» gioì lei.

«Biancofiore, vorrei farti notare che hai appena rubato un prezioso oggetto storico. Sei una ladra, ne sei consapevole?» chiese il ragazzo incrociando le braccia e con un tono di accusa che le ricordò quello di Ada.

«Oh, taci Erratico! Mia madre direbbe che frequento cattive compagnie».

«Sei ingiusta con me ora, non ho mai rubato niente, almeno non in tua presenza» la canzonò, mettendo il broncio.

Sibilla era euforica in quel momento e, per la prima volta, sentì che sarebbe andato tutto bene. Avrebbero riportato l'uovo nel luogo dove era stato trovato tanti anni prima e, una volta riempito d'acqua, lui gli avrebbe rivelato dove si trovava la Città del Sole. Avrebbero chiesto aiuto per difendersi contro il Ducato.

"Di solito nella realtà non funziona così. Sei un'idiota!" la rimproverò una vocina dentro la sua testa. Era la sua parte razionale che risvegliava il senso di colpa e le ricordava che non era da lei credere in stupide superstizioni, preveggenza, sogni e bazzecole di quel tipo.

«Sbrighiamoci» disse, ricacciando quella voce da dove era venuta. Il fiume Terro era alle pendici della montagna e avevano ancora un bel po di strada da percorrere e solo una notte di tempo per trovare una risposta alle loro domande.

***

Era passata da poco la mezzanotte quando arrivarono al fiume, lo scintillio dell'acqua appena visibile tra le fronde degli alberi.

«Non dovrebbe essere lontano da qui» disse Sibilla che aveva fatto tesoro dei vecchi racconti del nonno. Il percorso che partiva dal vecchio Mulino finiva dritto nel torrente e, poco più in là, in una insenatura coperta dai detriti avevano trovato una strana pietra, dalla forma tondeggiante che ricordava quella di un uovo.

Sul sentiero sterrato, il carro traballava ad ogni passo, rischiando di rovesciare il suo prezioso carico o di perdere una ruota e solo la forza incredibile di Giovannino riusciva a trainarlo, ma quando arrivarono sulla riva la difficoltà dell'impresa si parò davanti ai loro occhi con tutto il suo drammatico realismo: il fiume in quel punto era un vero e proprio torrente di montagna che correva impetuoso tra pietre aguzze arbusti. Non c'era verso di far passare un carro.

Il gigante scosse la testa impotente: «Giovannino non ce la fa!» sentenziò.

Sibilla tornò a sentire la vocina che le ricordava quanto era stata stupida. «Lasciamolo qui. Andiamo a dare un occhiata» disse ai suoi compagni «e speriamo di avere un'idea brillante».

Dietro di lei Ion emise un lamento acuto e imprecò: «Scusate, sono finito in un cespuglio di ortica. Non si vede niente».

«Stai attento!» Sibilla lo aveva appena rimproverato che rischiò a sua volta di cadere nel fiume.

«Attenti a dove mettete i piedi. Si scivola!»

«Giovannino aiuta» disse il gigante, allungando una mano affinché lei la afferrasse. Questo la aiutò a ritrovare l'equilibrio. Una volta stabilizzata si guardò intorno. Alla pallida luce della luna, le acque del torrente brillavano illuminate dal suo riflesso. Il fiume non sembrava profondo.

«Potremmo provare ad attraversarlo. Se lasciamo qui il carro, forse Giovanni può riuscire a portare l'uovo».

«Un po troppi "se", non trovi?» chiese Ion mentre tornava indietro verso il carro. «Serve un modo per portarlo senza rischiare di cadere nel fiume e finire sott'acqua sotto il suo peso».

«Possiamo prendere gli assi del carro e costruire una portantina con delle canne. Lo faremo scivolare sul terreno e poi lo solleveremo insieme per portarlo dall'altra parte». Sibilla fece cenno a Ion di passarle il coltello. Lui incrociò le braccia e guardò Giovanni che a sua volta si guardò intorno. «Che senso ha perdere tempo quando abbiamo uno degli uomini più forti della Marca?» chiese, facendo cenno al gigante di darsi da fare. Lui gli sorrise compiaciuto, sfilò un grosso macete dalla cintura e si mise all'opera. Il suo primo colpo risuonò come uno schiocco nel silenzio della notte e fece volare via una decina di uccelli che dormivano tra gli alberi.

«Un boscaiolo farebbe meno rumore» brontolò Sibilla guardandosi intorno.

«Siamo lontani dal paese, non ci sentirà nessuno» la tranquillizzò Ion. Il ragazzo spezzò un filo d'erba dal prato e se lo mise in bocca, poi si diresse verso il calesse e saltò sopra a sedere con un balzo felino.

«Cosa fai?»

«Pensavo di fare un pisolino».

«Stai scherzando?»

«Non sono di nessun aiuto qui e un po di riposo non può farmi che bene» le rispose sdraiandosi, le braccia incrociate sotto alla testa.

«Non posso crederci!»

«Puoi farmi compagnia se credi» le rispose lui, battendo una mano sulle assi del carro, proprio accanto a lui.

Sibilla scosse la testa. Sarebbe morta di sonno piuttosto che accettare il suo invito. Prese invece uno dei sacchi vuoti che avevano steso sul pianale e iniziò a disfarlo per ricavare dei legacci. Sarebbero serviti per legare le canne alle assi. Le bagnò per indurirle e renderle più resistenti prima di passarle a Giovannino. Il gigante seguì con precisione tutte le sue indicazioni e in meno di un'ora la portantina fu pronta per il suo uso. Ora dovevano solo caricarci l'uovo e cercare di trasportarlo dall'altra parte del fiume.

«Sveglia il tuo amico».

Giovanni guardò il carro dove Ion dormiva avvolto nel suo mantello. «Io sveglia amico» rispose docile. Non lo aveva sfiorato nemmeno per un'istante il dubbio che Ion si fosse comportato da egoista e che, invece di aiutarlo ne aveva approfittato per dormire.

Sibilla scosse la testa. Il cuore di quel gigante era più grande del suo pugno, pensò e per questo meritava di essere protetto. Averlo dalla loro parte era una sicurezza ma anche una grande responsabilità.

Ion si stiracchiò prima di prendere una delle estremità della portantina su cui Giovanni aveva appoggiato l'uovo con grande cura.

«Bene, ci siamo» disse l'Erratico, «adesso guidaci».

In quel momento la ragazza si sentì quasi schiacciare dal senso di responsabilità, nemmeno fosse lei da sola a portare il peso dell'uovo di Terro. Avevano fatto tutta quella strada e tanta fatica e ora stava a lei trovare la chiave. E se si fosse sbagliata? Scosse la testa e, sondando il greto del fiume con un piede, indicò una piccola spiaggia di sassi bianchi, sulla sponda opposta, verso monte. «Là» sentenziò con aria grave.

«E sia» le fece eco Ion. Con un cenno verso Giovanni fecero il primo passo ed entrarono nel torrente. La portantina ondeggiò. I due si coordinarono meglio prima di fare un secondo passo. «Ora!» L'Erratico diede il via al gigante che avanzò ancora.

«State attenti» li pregò Sibilla che, volgendo le spalle alla sponda opposta seguiva le operazioni trattenendo il respiro.

«Fermo! Al mio via proviamo a fare un altro passo». Ion si fermò a riprendere fiato. Era notte e il buio scoloriva ogni sfumatura, rendendola grigia ma era sicura che il suo volto, in quel momento, doveva essere di un colore rosso acceso per lo sforzo. L'uovo pesava più di lui.

«Via!»

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now