Capitolo sesto - La Doganiera

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La notte di Dogana era magica. A Ion era sempre bastato poco per sentirsi ispirato: un tetto di stelle e il suo violino come compagnia, ma in quel luogo tutto sembrava studiato per trasportare i visitatori in una vera e propria favola. Le candide colonne della terrazza, illuminate dai raggi della luna, riprendevano i motivi della facciata e alternavano coralli a banchi di anemoni che si alzavano verso il cielo e le piastrelle sotto ai suoi piedi erano di ceramica bianca e azzurra e ricordavano i colori del mare. La terrazza era illuminata da migliaia di cande nascoste tra i rami dei coralli, tra le alghe e i rododendri e piante di ficus dalle larghe foglie grasse e rigogliose creavano ombra nelle afose giornate di estate. La notte invernale era riscaldata da bracieri dalle forme più bizzarre e, ovviamente, dal vino. Vino a profusione.

La risata cristallina di una nobildonna che civettava proprio davanti a lui lo riportò per un attimo con i piedi per terra ma poi la sua musica ebbe la meglio e lo trasportò via, in luoghi lontani, dove era solo con i suoi sogni.

«Cantastorie, perché non ci canti qualcosa? Non conosci qualche romanza?» La stessa nobildonna che aveva riso qualche minuto prima reclamò la sua attenzione, come un bambino che tira a sé un aquilone ribelle. Le sue parole ebbero l'effetto di un catalizzatore e, improvvisamente tutti gli occhi si voltarono verso di lui e le persone presero ad avvicinarsi, per non farsi sfuggire i posti migliori. Aveva la loro attenzione. Ion sorrise tra sé, non aveva mai desiderato niente di meglio.

«Certo mia signora, vi racconterò una storia che ancora non è mai stata udita da alcuno. La leggenda di Sibilla, la Regina Maga».

Versi di stupore e meraviglia si levarono mentre l'Erratico si aggiustata il violino sul petto e con una riverenza iniziava la sua canzone.

«Questa è la storia della Sibilla,

della magia signora e scintilla.

Ascolta la storia o pubblico bello,

di come Alcina la maga morì,

ascolta poi di Sibilla l'appello

che dal Monte Severo deciso partì.

Scritto l'editto del peso il suggello,

fronte al suo fato Sibilla fuggì.

Non per timore, badate bene,

ma per il rigetto delle catene».

Ion stava per attaccare con il ritornello quando il suo sguardo cadde su Sibilla. Era in piedi, tra il suo piccolo pubblico e indossava l'abito più bello che avesse mai visto. Aveva i colori dell'alba sui monti innevati: malva, porpora, rosa e argento, colori che risaltavano la sua bellezza ancora acerba e la luna, oh, la luna che giocava con la sua pelle chiara. Poteva quasi vederla, la giovane donna che un giorno sarebbe diventata, quando avrebbe perso i suoi tratti da bambina e ebbe paura delle proprie emozioni. Se un giorno qualcuno gli avesse chiesto il momento esatto in cui si era innamorato di Sibilla Biancofiore avrebbe detto che era proprio quello, sulla terrazza del palazzo di Dogana.

La gente iniziò a protestare per l'interruzione ma lui non ci fece caso, si rimise il violino sulle spalle e si avviò verso di lei lasciando tutti con un palmo di naso, nemmeno fosse stato il più grande cantastorie di tutta la Marca.

«Canzone interessante ...» commentò mettendolo subito di fronte alle sue responsabilità. D'altronde la ragazzina diceva sempre quello che pensava, la diplomazia non le apparteneva.

Ion sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi da dongiovanni, di quelli che di solito facevano breccia nei cuori delle dame, ma a cui la ragazza sembrava stranamente immune. «Sono sempre stato sincero con te, mia Signora. Sapevi che ti ho seguito per cantare la tua storia».

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now