Capitolo tredicesimo - Il Consiglio

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Seduta nella Sala del Consiglio, la Matriarca fingeva di essere impegnata nella lettura di un breviario. Nel tempo aveva imparato a nascondere le sue emozioni dietro ad una maschera impenetrabile. Nessuno avrebbe potuto immaginare i suoi pensieri mentre sfogliava il manoscritto con lentezza, quasi fosse annoiata da quell'attesa e non tremendamente irritata. Nemmeno Adelmo, che la conosceva da anni, avrebbe potuto leggere nei suoi occhi il fuoco che la bruciava dall'interno. Un fuoco le cui fiamme rischiavano di bruciare anche chi aveva intorno. D'altronde non aveva bisogno di guardare dalla finestra per sapere se la maledetta vipera dai capelli rossi e i suoi amici stessero arrivando, c'era già chi lo faceva per lei: Brunforte era in piedi accanto al camino, immobile come l'asta di una bandiera, e fissava la piazza come se attendesse l'arrivo del salvatore mentre Frate Adelmo camminava nervoso, percorrendo la stanza avanti e indietro per la sua lunghezza e ogni volta che passava davanti alla finestra lanciava sguardi preoccupati verso l'esterno tradendo la sua impazienza. Sembrava un animale in gabbia.

Quando il campanile batté nove rintocchi Brunforte sospirò. «Sono certo che stiano per arrivare» si giustificò.

"Un altro uomo senza attributi", pensò la Matriarca. I suoi occhi non si mossero dal breviario, consapevole che il suo apparente distacco contribuiva ad aumentare il nervosismo nella stanza. Nascose un sorriso perfido sotto la sua maschera di impassibilità e, senza essere vista, continuò ad osservare la scena davanti a lei. Nell'angolo, Peonia, cercava di confondersi con la tappezzeria, chiaramente a disagio. Si chiese da che parte sarebbe stata e dove avrebbe riposto la sua fedeltà, se nell'Ordine che l'aveva cresciuta o in Sibilla Biancofiore. Entro poco lo avrebbe saputo.

«Arrivano!» La voce sollevata di Brunforte spezzò la tensione.

La Matriarca chiuse il libro con uno schiocco attirando su di sé l'attenzione. «Credete davvero che ci diranno qualcosa di nuovo?» chiese, senza nascondere una punta di sarcasmo.

«Lo spero» rispose lui, serio. Stava per aggiungere qualcos'altro ma un funzionario lo interruppe per annunciare l'arrivo della Sibilla. I passi affrettati per le scale le dissero che erano già li. La ragazzina aveva fretta.

«Prego» disse Brunforte, facendo loro cenno di entrare.

Con sua sorpresa "la banda" era cresciuta. Allo zingaro, al gigante e alla piccola strega dai capelli rossi si era aggiunta una ragazzina smunta e sporca che sarebbe stata sicuramente più graziosa se non avesse indossato un cappotto di una taglia molto più grande della sua i cui bordi pulivano il pavimento. Trattenendo una smorfia di disgusto la Matriarca fece forza sui braccioli per alzarsi dalla sedia e dare al gruppetto il degno benvenuto, prima ancora che potessero aprire le loro bocche menzognere e imbonire Brunforte. Era più che evidente che il Governatore voleva sentirsi dire che c'era una speranza, che qualcuno sarebbe arrivato in suo soccorso e Sibilla Biancofiore avrebbe approfittato della sua debolezza per svignarsela e sparire una volta per tutte.

«Bentornata» le disse, con un tono mellifluo che cercava di nascondere la rabbia bruciante che quella piccola sciocca era in grado di accendere in lei. Ma Sibilla non rispose. Il gruppetto si era fermato sull'arco della porta, dove Peonia vigilava nell'ombra.

La Matriarca ingoiò il resto delle parole.

***

Sibilla aveva percorso la salita verso Piazza Alta continuando a ripetere al suo gruppo che non ce l'avrebbero fatta. L'Ordine non avrebbe creduto ad una parola, per quanto ci fosse la moneta e i simboli della Città del Sole sull'Uovo di Terro.

«Ma abbiamo la mappa!» aveva continuato a ripetere Giovanni, mentre gli altri restavano in silenzio.

«No» ribatté per l'ennesima volta «abbiamo solo un enigma che ci porta fino a Matelga. Da lì in poi brancoleremo nel buio».

Sibilla e le leggende della MarcaWhere stories live. Discover now