8. PROMESSE INFRANTE E MANTENUTE

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Mi sveglio di soprassalto, madida di sudore, con un ricordo così vivido del suono dello sparo che ancora lo sento riverberarsi nelle ossa.
Il cuore mi martella nel petto e l'intrico di lenzuola che mi attanaglia le gambe mi provoca una sensazione di prigionia.

Mi libero a forza di calci e mi siedo sul bordo del materasso, massaggiandomi le tempie pulsanti.
Nella mia mente in subbuglio continuo a rivivere ogni singolo istante del mio incubo.
Anzi, del mio ricordo.

L'incidente, il furgone grigio, la voce dell'uomo, mia zia che lo prega di risparmiare me... la sua ingrata nipote che le aveva appena detto di odiarla. 

È morta pensando che non le volessi bene. Senza sapere che i momenti passati insieme sono stati l'unica cosa che mi hanno fatta andare avanti.
E che quando mio padre è partito, senza più tornare, è stata lei a riunire i frammenti della mia vita, del mio mondo andato in pezzi.

E adesso non c'è più. Mi ha lasciata, come ha fatto anche la mamma.
Sono sola.

A parte per...

Volto la testa e leggo l'ora dal display a led rossi della sveglia sul comodino. Le due e mezza.

Forse sono ancora in tempo.

Mi alzo di scatto e calpesto per sbaglio una massa grigia sul tappeto, che reagisce soffiando e graffiandomi la caviglia.
Per poco non caccio un urlo e mi allontano saltellando su un piede, imprecando sottovoce in tutte le lingue che conosco.

Mi fermo quando mi accorgo che la gatta, rifugiatasi sulla scrivania, mi sta fissando con disprezzo.

«Ehi, non è colpa mia se sei un ammasso di polvere!» esclamo infastidita.

Con un sospiro, attraverso di corsa l'ampia stanza dalle pareti color crema e spalanco la porta della terrazza.
Esco nel balcone, investita da un refolo mite che mi agita i capelli, e puntello i gomiti sulla balaustra di marmo, affondando il mento tra le mani.

Il panorama è magnifico. Una distesa di ville e palazzi abbarbicati sulle dolci colline di una Sunset Hills ancora dormiente.
Nonostante la distanza, posso scorgere il vecchio ponte di pietra che collega le due sponde della città. La superficie del fiume, che si increspa lieve alla brezza notturna, riflette l'immagine tremolante della luna piena, risplendendo del suo tenue chiarore dorato.

Senza auto, senza persone, senza rumori... tutto è avvolto da una calma eterea, quasi magica.
Posso sentire il tubare dei gufi e delle civette, lo stormire delle fronde degli alberi e la tiepida carezza del vento che mitiga il rigido clima autunnale del Missouri.
Se il giorno appartiene agli uomini, la natura è padrona della notte.

Sollevo lo sguardo al cielo, nero come l'inchiostro, ma trapunto di stelle, l'esatto opposto di com'era quella notte...
Dopo alcuni secondi, finalmente trovo il Lupo bianco, la nostra costellazione segreta. In realtà, somiglia più ad un trapezio ubriaco che ha saltato qualche pasto.

Ricordo ancora la risposta di mio padre, quando gliel'avevo fatto notare.
Devi usare un po' di fantasia, principessa. Chiunque può vederci un trapezio, ma solo noi due sapremo cos'è veramente”.

E così un angolo del trapezio era diventato un muso proteso in alto, uno dei suoi lati si era trasformato in una lunga schiena, un altro in una coda... e dal nulla era nato un lupo ululante, dal manto argentato come le luci delle stelle.
Il Lupo bianco, appunto.

Quando sentirai la mia mancanza, cerca la nostra costellazione segreta e sarà come se fossimo insieme. Parla, ed io ti ascolterò. Piangi, ed io asciugherò le tue lacrime”.

E se tu quella notte non dovessi guardarla, papà? Come farai a sentirmi?

E lui mi aveva fatto uno dei suoi sorrisi che per me avrebbero potuto aggiustare qualsiasi cosa.
Quelli che mi facevano sentire speciale, unica, come se fossi davvero la sua principessa per cui avrebbe anche spostato i continenti.

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