63. WAYLATT

725 50 962
                                    

P.O.V. KLAUS

Alla luce del giorno, il Quartiere francese è un'esplosione di vita, musica e colori. Un groviglio di strade situato nel cuore della città e trafitto dal corso sinuoso del Mississippi che risplende come un nastro argenteo sotto il drappo azzurro del cielo. Jackson Square pullula di artisti che espongono le loro opere sulla recinzione di ferro o gettano le prime pennellate su una nuova tela, accompagnati dalle note vivaci del jazz che risuonano nell'aria. Un grande albero di Natale è stato addobbato al centro della piazza, accanto alla statua di un uomo in groppa a un cavallo impennato, nastri colorati decorano le facciate degli edifici circostanti e finti scheletri con travestimenti natalizi salutano dai terrazzi delle case. Tutto intorno a me sembra fremere di adrenalina, di eccitazione, avvolto da un'aura di misticismo e mistero.

Ora capisco perché Keeley le sia tanto affezionata: c'è qualcosa di magico in New Orleans.

Con le mani nelle tasche e il giacchetto chiuso fino alla gola, mi alzo dalla panchina e riprendo a camminare, passando in mezzo alla piccola folla radunata attorno a una band di musicisti truccati da vampiri. Un sorrisetto spunta sul mio volto quando mi imbatto in un illusionista intento a stupire il pubblico con dei giochi di prestigio, facendo strillare i bambini per l'emozione. Da piccoli, io e i miei fratelli adoravamo osservare i trucchi di Matt con le carte a tal punto da obbligarlo a continuare anche per ore intere. Non saprei dire se eravamo più affascinati da come sembrava in grado di leggerci nella mente o più infastiditi dal fatto che, nonostante i nostri tentativi, non riuscivamo proprio a scoprire i segreti dietro le sue "magie".

Supero i cancelli della piazza e, mentre aspetto il passaggio di una fila di carrozze trainate da cavalli sbuffanti, il mio sguardo viene attirato sulla maestosa chiesa gotica di fronte a me. È identica a quella che ho visto tra i disegni di Keeley, perfino nei dettagli delle croci sulle guglie, dell'orologio nella torre centrale o le coppie di colonne ai lati dell'ingresso che si arrampicano per tutta l'altezza della facciata.

Ignorando la stretta al cuore, attraverso la strada e supero la cattedrale di Sant Louis; dopo neanche cinque minuti, arrivo davanti a un locale con la scritta dorata "Sylvain" sulla vetrata ornata da una cascata di lucine spente.

Prima di entrare, mi blocco davanti alla gioielleria accanto; non è eccessivamente raffinata, anzi alcuni dei ciondoli e degli anelli esposti sono così insoliti che a molte donne non piacerebbero. A catturare me, però, sono state due bellissime pietre d'ambra luminose come stelle cadute incastonate nell'argento.

Al suo interno, il Sylvain è un ambiente accogliente con le pareti color indaco su cui sono appesi numerosi quadri in bianco e nero e piccoli ritratti. Una ventina di clienti siedono attorno ai tavolini quadrati ordinatamente disposti per la sala, sorseggiando drink dai loro bicchieri o chiacchierando tra di loro. A differenza di quanto mi succedeva a Sunset Hills, nessuno si accorge del mio arrivo né mi presta la minima attenzione, anche se noto di sbieco una ragazza dai capelli castani che continua a lanciarmi occhiate furtive. Nell'istante in cui si rende conto che me ne sono accorto, arrossisce e torna subito girata verso la sua amica.

«Buongiorno» mi accoglie l'uomo calvo dietro il bancone, abbassando lo schermo del portatile. È piuttosto robusto, con una folta barba scura sulle guance e sul mento e un paio di occhietti piccoli e vigili dietro le lenti. «Che cosa ti porto?»

Lo raggiungo a passo tranquillo, abbastanza lento da poter individuare le confezioni di sigarette sugli scaffali, insieme a tazzine di porcellana e bottiglie di alcolici. «Salve! In realtà, avrei bisogno di aiuto» rispondo con un'espressione volutamente imbarazzata. «Sono arrivato da poco in città con mio zio. Volevo fare un giro per vederla un po', ma lui doveva fare una cosa e allora ci siamo separati e... beh, mi sono perso come un idiota. Se mi potesse prestare un telefono per chiamarlo, mi farebbe un favore enorme».

RememberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora