16. NON TI CAPISCO

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Perché diavolo lo sto facendo?

La domanda continua a ronzarmi nella mente mentre sgattaiolo fuori dalla mia stanza e mi fermo davanti alla porta dal numero 6 in ottone.

Stringo la maniglia ed esito mentre cerco di ricordarmi la ragione per cui non sto beatamente dormendo nel mio letto.

Sono ancora in tempo per tornare indietro, al calduccio sotto le coperte... nessuno verrebbe mai a sapere di questo mio attimo di debolezza.

Sì, è un piano geniale!

Ritiro il braccio e faccio per voltarmi, eppure qualcosa me lo impedisce, come se una parte di me volesse davvero compiere questa follia senza senso.

«No!» esclamo tra me. «Non me ne frega nulla, d'accordo? Quell'ingrato non mi ha nemmeno ringraziata, figuriamoci! E poi io non faccio queste stupidaggini da ragazzine tredicenni appassionate di fanfiction! Okay, basta, ora vado...»

Proprio quando mi sono decisa, la porta si spalanca e un artiglio di luce soffusa lacera il mantello di tenebre del corridoio.

E Klaus compare di fronte a me.

È ancora vestito, ma ha sostituito la camicia rovinata con una felpa nera con il cappuccio. Dalla manica sinistra, sporge il braccialetto di cuoio ormai consumato.
Chissà perché, con tutti i soldi che ha, porta qualcosa di così vecchio e rovinato.

«Allora è vero che il karma è un gran bastardo» bofonchio incredula.

Il livido sulla guancia, la cui tonalità nerastra è in netto contrasto con la carnagione pallida, unito alla cicatrice gli conferisce un aspetto tetro, ma anche un misterioso fascino.
Ciocche di capelli biondi, piuttosto scompigliati, gli ricadono sugli occhi velati dalla stanchezza, che mi stanno fissando con uno sguardo truce.

«Cosa stai facendo?» mi chiede stancamente.

«Non lo so neanch'io».

Klaus sbatte le palpebre, interdetto, ma poi scrolla le spalle con fare rassegnato.

«Beh, qualunque cosa sia, falla in silenzio. È notte».

«Ma davvero? Pensavo fosse ora di pranzo».

«Se non l'hai notato, questa giornata ha fatto schifo. Al momento, non ho affatto voglia di... di te».

Tenta di richiudere la porta, ma infilo un piede in mezzo per bloccarla.

«Ormai sono qui. Come dice un famoso proverbio: sei alla festa, tanto vale che ti ubriachi».

«Sono abbastanza sicuro che non esista questo...»

Non riesce a finire la frase che mi sono già intrufolata all'interno della stanza.
È identica a come l'ho vista l'ultima volta: tutto disposto nel solito ordine impeccabile.
Tuttavia, forse per le ombre gettate dall'abat-jour accesa sulla scrivania, accanto ad un portatile, l'atmosfera è molto più sinistra.
Da dietro le ondeggianti tende di lino, la finestra si apre sul terrazzo, sovrastato da uno squarcio di cielo spoglio di stelle e addensato di nubi nere e minacciose, che offuscano il chiarore della luna.

«Certo, accomodati pure» borbotta Klaus.

«È quello che ho fatto».

D'istinto, lancio un'occhiata al monitor illuminato e, sulla pagina di Google aperta sui risultati della ricerca, leggo: “famiglia Walker Sunset Hills”.
Accanto alla tastiera, c'è il taccuino rilegato in pelle, chiuso con una matita che spunta tra le pagine.

Klaus abbassa di scatto lo schermo. «È più forte di te, vero, ficcanaso?»

Faccio spallucce. «Prima o poi, scoprirò i tuoi segreti, fiorellino».

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