69. I DON'T THINK I CAN SAVE YOU

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Prendo un respiro profondo, poi ne faccio un altro... e me ne vado.

No, okay, non è vero.

Abbasso lentamente la maniglia, sgattaiolo dentro in punta di piedi e richiudo cercando di fare il meno rumore possibile. Nonostante sia ancora primo pomeriggio, le tapparelle sono abbassate quasi del tutto e solo una flebile luce rischiara la camera. Una figura lunga e snella è distesa sul letto matrimoniale, avvolta nelle coperte tirate fin sopra la testa, ma anche al buio i suoi capelli risplendono come un'aureola dorata che spunta sul cuscino.

Tolte le scarpe, mi avvicino in silenzio. O almeno ci provo, dato che inciampo su uno zaino buttato a terra e devo fare un paio di saltelli per recuperare l'equilibrio, evitando di cascare addosso a Klaus. Dall'esterno proviene un frastuono attutito di musica jazz, grida e clacson; nonostante la confusione, il suo respiro lento e regolare mi suggerisce che è immerso in un sonno profondo.

«Stai bene?»

Il cuore mi balza in gola e mi volto di scatto. I miei occhi, che si sono ormai abituati alla scarsa illuminazione, individuano subito il profilo di Liam sulla poltrona nell'angolo.

«Stavo meglio prima che tu mi facessi venire un infarto!» sussurro indignata. «Dovresti girare con un campanellino appeso al collo».

Lui non risponde. Il suo volto è immerso nella penombra, lo sguardo fisso sul piccolo oggetto che rigira tra le mani. Ci metto qualche secondo a capire che è l'anello con il leone. Grazie al microchip impiantato sotto la pietra d'onice, che ha registrato la confessione di Vincent sul reale svolgimento dei fatti nella notte della presunta morte di Elizabeth, Klaus potrà essere scagionato da tutte le accuse.

«Hai notizie di tua madre?»

«No» sospira lui, dopo un secondo di esitazione. Dal suo tono schivo deduco che non muore dalla voglia di affrontare l'argomento.

Gli do le spalle, mi siedo sul bordo del materasso e scosto un poco le lenzuola. Klaus è sdraiato sulla pancia con il braccio sinistro piegato ad arco sopra la testa. Ha una guancia gonfia, entrambi i polsi scorticati e la schiena è solcata da un intrico di tagli lunghi e sottili, sferzate rosse che spiccano sulla sua pelle d'alabastro. Segni di una cintura.

Ne sfioro delicatamente una e sento lo stomaco ribaltarsi con violenza quando lui reagisce emettendo un debole mugolio. «Dovevamo lasciarglielo uccidere» ringhio, assalita da un misto di orrore e rabbia.

«Se ne sarebbe pentito» replica Liam pacato. «E, visto il suo stato, non ero sicuro su cosa avrebbe potuto fare dopo...»

Aggrotto la fronte, voltandomi. «Per questo lo sorvegli?»

«Voglio evitare che escogiti qualche nuovo metodo per farsi del male. È un suo talento naturale, si direbbe». Esala un altro lungo sospiro, guardando il fratello con un affetto infinito che mi fa quasi provare un moto d'invidia. Se le cose fossero andate diversamente, forse anche io ed Elizabeth avremmo potuto avere un legame così forte, incondizionato e indistruttibile. «E io l'ho aiutato a farlo, da vero sciocco».

Per un attimo, ripenso all'indifferenza con cui ha incassato la provocazione di Vincent di essere responsabile, in parte, delle sofferenze di Klaus. Di un passato che sarebbe spettato a lui. Ha scoperto che l'uomo che ha creduto lo stupratore di sua madre e odiato per gran parte della vita è il suo padre biologico, eppure non ha fatto una piega nemmeno per questo.

Non posso fare a meno di chiedermi quanto ci sia di autentico nella facciata di calma impeccabile e pazienza imperturbabile che continua a esibire.

«Non è colpa tua. Non potevi sapere che ti aveva mentito su data e luogo dell'incontro né che era convinto di essere un pazzo omicida. Cosa su cui solamente lui potrebbe avere dei dubbi, tra parentesi».

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