2. L'INDIANA JONES DEI POVERI

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Beh dai, magari non mi aprono.

È ciò che continuo a ripetermi mentre suono il citofono più volte a intermittenza, cercando di riprodurre il ritmo di Samarcanda.

«Mangiare, mangiare, mangiare ancora, ora la torta paura non fa» inizio a cantare, cambiando le parole della canzone come faccio sempre.

«Buonasera, che cosa posso fare per lei?» chiede una voce femminile dal citofono.

«Scopan davanti al fuoco i soldati la sera» canto sempre più forte.

«Come, mi scusi? È del servizio delle pulizie?»

«Brucia nella gola sperma a sazietà». Ormai sto praticamente gridando. «Musica di gemiti fino all'aurora...»

«Potrei sapere chi...»

«Ma la vuoi smettere di parlare mentre canto?» la interrompo innervosita.

«Che cosa?» obietta la voce perplessa.

«Fai pure la finta tonta». Scuoto la testa, pur sapendo che non può vedermi. «E poi tu chi sei?»

«Chi è lei?»

«Senti, cosa, l'ho chiesto prima io».

«Ma lei ha suonato il citofono!»

«Hai la scusa pronta per tutto, eh?» ribatto.

Silenzio.

E vabbe, almeno ci ho provato. Magari Fred è disposto a convidere la sua panchina con me.

All'improvviso, il massiccio cancello si spalanca senza emettere neanche un fruscio.

«Entri pure, signorina Storm» annuncia la voce.

Spalanco la bocca, stupefatta. «Sei parente del professor X, per caso?» Poi noto la minuscola telecamera che punta dritta verso di me.

Maledetta.

Con la valigia in mano, mi inoltro lungo il sentiero di ghiaia che si snoda per il giardino.
Guardandomi attorno, noto alcuni particolari che mi erano sfuggiti.

Al centro dello spiazzo erboso circolare, delineato dal vialetto, si trova una maestosa fontana con quattro cavalli impennati dalle cui narici zampilla acqua spumosa. La superficie cristallina è increspata dalla fredda brezza autunnale.
Di lato, dalla parte opposta alla piscina, c'è anche un'area giochi con altalene e scivoli, sovrastata dalla quercia più grande che io abbia mai visto. Deve essere alta almeno venticinque metri.
Tra i suoi rami, seminascoste dalle foglie secche che non sono ancora cadute dalle sue fronde, sono appollaiate delle civette che si esibiscono in un piacevole canto.
In lontananza, sul retro, posso scorgere un campo da basket, un capanno di legno dall'aria sinistra e una Maserati blu elettrico.

Io e quella bambina vivremo molte avventure insieme.

Appena arrivo di fronte all'ingresso non ho neanche la soddisfazione di bussare con i battenti di bronzo a forma di serpente. Infatti, il portone principale si apre immediatamente e appare una donna sulla quarantina, bassa e un po' rotondetta con le guance paffute e le labbra carnose piegate in un sorriso caloroso.

«Tu devi essere Cosa» esordisco.

«Cosa?»

Riconosco la sua voce come quella che mi parlava dal citofono.

«Sì, è quello che ho detto».

Quando entro nell'atrio non posso che rimanere stupefatta.
Il pavimento di marmo resinato è talmente lucido che vedo il mio riflesso. I miei passi riecheggiano tra le pareti ornate di arazzi ricamati in oro e argento, specchiere antiche e grandi scudi. Dal soffitto altissimo pende un magnifico lampadario con gocce di cristallo.

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