31. IL PASSATO

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Odio il rap.

È una verità che mi è stata chiara fin da quando, alla tenera età di nove anni, ho rigettato un triplo cheeseburger sotto le note di Mockingbird.
È stata un'esperienza così traumatica che il mio cervello, per meccanismo di difesa, ha attribuito la colpa a tutti i cantanti della risma di Eminem.

Rinunciare al rap era più umano che rinunciare ai cheeseburger.

Per questa ragione, ho deciso di coronare la peggiore giornata della mia vita con una playlist di brani appartenenti a questo genere.
Il risultato è che, alle sei di sera, sto ancora saltando per la biblioteca mentre ascolto Jim Dean sparata a tutto volume nelle mie orecchie.

Nonostante ciò, i miei pensieri riescono a sovrastare il frastuono assordante della musica, serrandomi nella morsa di una confusione assoluta.
Tre domande continuano a tormentarmi, malgrado gli sforzi per confinarle in un angolo remoto della mia mente.

Perché ho baciato Simon?

Perché pensavo a Klaus mentre baciavo Simon?

Perché quel gatto è inquietante?

Ho trascorso le ultime ore a nascondermi da entrambi quei fratelli Hallander. E dal bambino demoniaco.
Ho evitato anche Eileen, dato che potrebbe mettermi il cianuro nel cappuccino della colazione, se dovesse scoprire cos'è successo.

Ho baciato Simon.

Non avrei dovuto farlo, non sono neanche certa che lo volessi davvero, ma avevo bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi. Di provare un sentimento che non fosse il dolore.
La verità è che desideravo soltanto sentirmi di nuovo amata, e sono stata tanto egoista da non pensare alle conseguenze.

Per pochi preziosi secondi, sono riuscita a dimenticare che ho perso tutto: mia madre, mia zia, mio padre... la mia famiglia.
Simon era l'antidoto al veleno che mi consumava. Mi ha fatto stare bene, come non mi succedeva da tanto tempo e come credevo non sarei mai più stata.

Ma è sufficiente per definirlo amore?

«Al diavolo».

Mi accascio sulla sedia e tolgo gli auricolari, da cui ancora si propaga il brusio della canzone.
Mi volto appena verso sinistra e noto che Sparrow non ha smesso di scrutarmi, acciambellata sul davanzale.

«Ti invidio» sospiro rassegnata. «Se fossi castrata come te, avrei molti meno problemi».

All'improvviso, qualcuno si schiarisce la gola alle mie spalle e rovescio la testa all'indietro sullo schienale. La figura al contrario di Edric si staglia davanti ad una delle finestre ad arco, il vetro istoriato che getta riflessi blu e rossi sui suoi capelli color inchiostro.

«Potrei chiederti perché stavi ballando come una scimmia ubriaca in biblioteca o perché parli con un gatto» mi dice in tono austero. «Ma non lo farò per il bene della mia sanità mentale».

Mi supera con indifferenza, si siede al capo opposto del tavolo e apre un enorme libro rilegato in pelle su cui sono incisi filetti d'oro e fregi sul dorso.
Con un balzo, la gatta atterra leggera sul pavimento d'ebano e, attraversata la sala, comincia a strusciarsi ai suoi piedi.

«Fantastico» esclamo ironica. «Sono l'unica che odia allora».

Con un lieve sorriso, Edric si china per raccogliere Sparrow, che gli si accoccola sulle gambe a pancia scoperta. «Non si fida di te. È stata abbandonata da piccola ed è molto diffidente verso gli estranei. L'ha trovata Klaus con una zampa ferita in mezzo alla strada».

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