Menzogna

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Nei tre giorni successivi il Re Demone tenne fede alle sue promesse, tentando di circuire quell'ostinata ragazzina, d'istillare il vizio in quel giovane cuore innocente. Se gli fosse stato chiesto, Yagen avrebbe voluto dire che era iniziato uno stuzzicante tira e molla di cui lui tirava le fila come un abile burattinaio, avrebbe voluto raccontare di come lei fosse diventata come morbida creta tra le sue mani, eppure ciò non sarebbe corrisposto alla realtà.

Poco importava cosa lui facesse, a poco servivano i piccoli doni, le gentilezze, le lusinghe neanche troppo velate. Heris non sembrava neanche fare troppo caso al suo portamento, al suo aspetto piacevole, alla sua voce suadente, qualsiasi attributo fisico scivolava via, ignorato.

Heris sembrava non amare troppo la sua compagnia, la tollerava per tutto il tempo in cui lui gliela imponeva, mentre il resto delle sue giornate preferiva trascorrerle con le ragazze della servitù, tra le quali aveva riscosso una certa fama e suscitato molta curiosità. Del resto, non capitava molto spesso per loro d'incontrare qualche estraneo che portasse un pezzo di mondo esterno in quelle quattro mura, nelle loro piccole e limitate vite.

Dopo quel primo disastroso colloquio, lei non gli aveva più gridato insulti addosso. Non era, come Yagen capì presto, per arrendevolezza quanto piuttosto per un'indifferenza tenace. Non vi era la minima traccia di malizia in quell'animo, lei si limitava a osservarlo con distacco per poi tornare a fissare con convinzione dinnanzi a sé. I beni materiali non la tentavano, le lusinghe non sortivano alcun effetto.

Incessantemente, inesorabilmente, Heris guardava avanti, e nulla di ciò che Yagen faceva per distogliere quegli occhi e deviarli su di sé serviva, non riusciva neanche a scalfire la sua determinazione. 

Quella fanciulla poco più che bambina era fatta di una fibra coriacea.

Un pomeriggio Yagen la trascinò con sé per una passeggiata nei giardini. Sperava che quel dedalo fiorito potesse ammorbidire la sua posizione diffidente.

"Ti piacciono i fiori?" le chiese, carezzando i petali di una gardenia.

"Non molto."

"Ah, ma ci sarà pur qualcosa che ti piace."

Lei non rispose subito e Yagen pensò che stesse di nuovo facendo il gioco del silenzio. Invece, alla fine, aprì bocca, senza però degnarlo di uno sguardo: "Ci sono tante cose che mi piacciono, ma nessuno di esse si trova qui, in questo posto. Amo stare in mezzo alla folla, alle persone umili che non conoscono la fame di potere e sono felici con poco. Amo ascoltare le storie dei cantori di strada e voltarmi per vedere le reazioni della gente, per vedere se provano ciò che sento anch'io. Mi piacciono le vesti comode, l'odore di fieno, di frutta matura e della polvere di ferro". Lo guardò dritto negli occhi solo per un attimo, prima di spostare di nuovo lo sguardo verso un punto indefinito di fronte a sé. "Ma soprattutto non amo le gabbie, per quanto ampie e lussuose siano."

Yagen sorrise a quelle parole, cercando di non farsi vedere da lei.

"Io invece sono convinto che la mia dimora potrebbe stupirti, potresti trovarvi molto più di quanto tu creda. Tante persone generose sono pronte ad accoglierti, se solo vorrai darci una possibilità."

Lei sembrò stupita, era chiaro che non fosse la risposta che si aspettava, ma non disse niente e Yagen sperò di aver fatto breccia.

Alla sera del quarto giorno qualcosa cambiò. Fu come un'incrinatura in quella facciata impenetrabile.

L'aveva invitata a cena nelle sue stanze e lei vi si era recata con riluttanza, senza dimostrarsi una commensale molto loquace e limitandosi a piluccare ciò che aveva nel piatto, mentre lui la sommergeva di vaniloqui e di vino bello forte.

Captivated - Il sangue e la spadaTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon