Preview secondo volume

218 18 12
                                    


La giornata stava volgendo al termine sull'isola e Nime sbirciò fuori dalla finestra per vedere se i suoi compagni erano di ritorno. Il monte di Cresma, un vulcano ormai inattivo da secoli, si stagliava all'orizzonte con la sua sagoma maestosa, la sommità macchiata appena da nevi perenni e lambita da nuvole basse che ne ingentilivano gli aspri contorni.

Quel giorno erano rimasti a casa per via del tempo inclemente che si era abbattuto sulla cittadina portuale in cui risiedevano. Nime aveva accolto con piacere l'opportunità di starsene al coperto, distesa mollemente sull'ottomana di velluto della sala, alternando stati di sopore a brevi meditazioni in cui ripassava mentalmente le sue formule magiche, un piccolo esercizio quotidiano cui si dedicava per impedire che le sue abilità si facessero rugginose. Per Heris invece era stato tutto un altro paio di maniche, il dover rimanere segregata l'aveva resa agitata e lamentosa e aveva quindi chiesto a Nime di leggerle delle storie, asserendo che la sua voce delicata la tranquillizzasse. La ragazza albina faceva fatica a leggere durante il giorno, per via della luce diurna che feriva le sue iridi trasparenti, ma in momenti come quello si sforzava per farle piacere.

A volte durante la notte Heris parlava.

Mormorava una sorta di nenia a voce talmente bassa che non riusciva mai a discernere le parole esatte tra quei bisbigli. All'inizio l'aveva spaventata a morte, ma in seguito Nime ci aveva fatto l'abitudine. Altre volte capitava che Heris si svegliasse nel cuore della notte in preda all'angoscia. In quel caso colmava rapidamente la distanza tra i loro due letti e s'infilava nel suo in una tacita ricerca di conforto. Nime non aveva certo il cuore di mandarla via, ormai erano talmente legate da amarsi come sorelle, ma sovente pensava che avrebbe preferito una sorella un po' meno espansiva, specialmente durante le torride notti estive, quando l'afa si faceva densa e bruciante come caligine.

"Heris, mi stai troppo addosso" si era lamentata una di quelle sere, sibilando sul viso della sua compagna. Lei si era scusata ed era arretrata di poco. Il concetto di spazio personale sembrava esserle estraneo e Nime si era rassegnata a quella verità ormai assodata.

Durante il giorno, invece, Heris si comportava come sempre, il suo atteggiamento non mutava ed era sempre la solita: rumorosa, fastidiosa, esuberante. Riusciva a dissimulare alla perfezione i suoi sporadici turbamenti notturni e Nime si guardava bene dal parlarne con altri.

La maga si riscosse dai suoi pensieri e si alzò muovendo pochi passi svogliati, continuando a occhieggiare fuori dalla finestra. Nel tardo pomeriggio il cielo si era rischiarato e Heris aveva deciso di uscire insieme a Kone per fare provviste. Da allora era passato del tempo e ancora non si erano visti. Nime non era preoccupata per la loro incolumità, ma sapeva che a Heris piaceva fin troppo stare fuori in mezzo alla gente e tendeva a perdere la cognizione del tempo.

Vide che il crepuscolo stava tingendo le nuvole e l'orizzonte di un tenue color pesca che presto sarebbe sfumato in un rosa acceso, per poi lasciare spazio alla notte. Sospirò contrariata e si risolse ad andarli a recuperare prima che facesse buio. Si mise uno scialle attorno alle spalle per proteggersi dal venticello freddo e pungente, residuo dell'acquazzone appena terminato.

Camminò rapida per le strade tirandosi su la veste quel tanto che bastava per evitare le pozzanghere e il pantano. Il terreno di quell'isola vulcanica era nero e farinoso, inzaccherava facilmente gli abiti se non si prestava attenzione, ma per fortuna dopo la pioggia si asciugava in fretta.

Nime giunse infine al mercato sul lungomare. Si guardò intorno frastornata dal chiasso, tentando di schermarsi gli occhi dai raggi obliqui del tramonto e in poco tempo individuò la presenza massiccia di Kone in mezzo a quell'assembramento. Come immaginava, Heris era con lui e sembrava impegnata in un'accesa trattativa a una bancarella di viveri. Complice la sua avversione per la pagina scritta, Heris ancora faticava ad apprendere e parlare la lingua del posto, tuttavia aveva fatto sua la pratica del contrattare, che pareva essere usanza comune su quell'isola di commercianti incalliti; sembrava addirittura trovarvi diletto, quasi solleticasse il suo spirito combattivo.

Avvicinandosi, Nime la udì pronunciare alcune parole stentate nell'idioma locale, una curiosa mescolanza di consonanti secche e vocali aspirate che spiccicava a fatica, per poi colmare le sue lacune linguistiche con gesti ariosi e accentuati. Il mercante, un uomo barbuto e rubicondo con qualche dente in meno, sembrava trattenere a stento le risa a vederla sbracciarsi in quel modo. Alla fine lo vide acconsentire alle sue richieste, forse più per simpatia che per la reale efficacia dei suoi mezzi persuasivi, e Heris alzò le braccia al cielo in un gesto di trionfo. Kone si caricò due sacchi sulla schiena, mentre la ragazza si riempì le braccia di involti di varie dimensioni. Nime udì il gigante grugnire scontento, per poi tentare di sottrare uno dei fagotti a Heris, che lo schivò lesta facendogli sberleffi.

"Ce la faccio da sola" disse offrendogli comunque un sorriso per ringraziarlo della goffa premura, poi voltandosi vide finalmente Nime e le corse incontro euforica.

"Guarda quanta roba abbiamo preso, stasera banchettiamo!" esclamò con un certo orgoglio. "Sono riuscita ad accaparrarmi due libbre di patate e un sacco di farina d'avena a metà di quanto lo abbiamo pagato la volta scorsa e poi... formaggio di capra, gallette salate, sei uova..." continuò a elencare le cibarie che aveva così eroicamente conquistato.

"Come faremmo senza di te?" ironizzò Nime incurvando appena le labbra.

"Mi prendi in giro?" disse Heris pizzicandole un fianco, poi chiese: "Izmir non è con te?"

Nime fece un segno di diniego. "Credo sia rimasto in camera a riposare, si sentiva molto stanco."

Heris annuì, un velo di amarezza a offuscare i suoi vivaci occhi scuri.

Due anni erano quasi trascorsi da quel giorno infelice in cui erano stati costretti a fuggire come dei malviventi e ancora non avevano ricevuto nessuna nuova dal continente, i pochi messaggi che venivano loro recapitati non segnalavano alcun cambiamento di rilievo. La loro vita sull'isola di Cresma procedeva in una calma quasi letargica mentre Thannaus, oltre l'orizzonte, taceva come un titano dormiente. Heris fissava l'oceano con sempre maggior trepidazione, quasi si aspettasse di vederne emergere il messo che avrebbe finalmente portato loro la notizia tanto attesa. Nel frattempo trascorreva le sue giornate continuando a fare pratica con Kiogin oppure passava oziosi pomeriggi ricamando e ascoltando storie. Lei e Izmir avevano preso l'abitudine di fare una passeggiata mattutina tutti i giorni, godendosi la brezza odorosa di salsedine che spirava dal mare e il rumore delle onde che si rifrangevano sulla battigia ghiaiosa, anche se quella consuetudine stava diventando sempre più difficoltosa per via delle condizioni fisiche del cavaliere.

"Diciannove anni" enunciò Izmir durante il breve tragitto che percorsero quella mattina. Lui le aveva offerto il braccio, ma sembrava fosse più lei a sostenerlo mentre arrancava per il viottolo stretto che conduceva verso la costa. "Sei davvero sbocciata."

Heris aveva accettato il complimento con una breve risata, ma pensava si trattasse solo di una lode gratuita, a lei non sembrava di essere cambiata poi molto. I due anni trascorsi non erano stati molto generosi con lei in termini di statura, era rimasta piccola ma non gracile, e aveva compensato in floridezza e prestanza. I suoi modi forse si erano rifiniti e il suo contegno si era fatto più maturo, ma la sua personalità prorompente e cocciuta non di rado riemergeva nella sua mimica e nel suo modo di parlare.

 Per contro, Izmir era appassito a una velocità spaventosa. Il deterioramento l'aveva travolto, repentino come un fiume che abbatte gli argini; era stato un mutamento ineluttabile a cui tutti loro avevano assistito impotenti. In meno di due anni avevano visto il suo fisico robusto disseccarsi come una lisca, i capelli passare da neri a bianchi per via della canizie, la pelle scura irruvidirsi, avvizzire. I contorni e la materia del suo volto si erano sgretolati come una zolla secca. Colui che era stato il Primo Cavaliere di Kenmare aveva subito quell'invecchiamento con acquiescenza, anzi sosteneva di esserne lieto, era felice che il suo corpo potesse finalmente obbedire al suo ciclo naturale, invece di rimanere imprigionato in una giovinezza fasulla che non si conciliava più con il suo spirito. Il suo unico cruccio, diceva, era di non poter essere più molto utile in quello stato.


Note autrice: piccolo  assaggio del secondo volume, mi scuso se mi fermo qui, ma non voglio svelare troppo (sono una persona cattiva 😜). Ovviamente si tratta di calma prima della tempesta, ma non credo ci sia bisogno di dirlo.

Captivated - Il sangue e la spadaWhere stories live. Discover now