Presagi oscuri

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Quella notte era intrisa di un presentimento infausto. I suoi sensi erano all'erta e vibravano, forieri di burrasca. Yagen non seppe spiegarselo, non aveva mai appurato se la magia che scorreva nel suo sangue gli conferisse doti di preveggenza, o se era il suo semplice istinto che lo pungolava fastidioso come una scheggia nella pelle.

Qualunque cosa fosse, decise d'ignorarla.

Quella sera era trascorsa calma e serena; si trovava sul letto, appoggiato alla testiera mentre Heris sedeva tra le sue gambe, la testa adagiata sul suo petto e gli occhi chiusi mentre lui le spazzolava i capelli con delicatezza. Le aveva regalato una spazzola d'argento lavorato, per evitare che si svegliasse tutte le mattine con una selva intricata in testa e se ne lamentasse. Heris aveva accettato quel dono per lei inconsueto, ma gli aveva chiesto che fosse lui a usarlo su di lei e Yagen aveva accettato di buon grado. Non avrebbe mai pensato di trovare un tale piacere in quei gesti dal sapore intimo e quotidiano, e se l'aveva fatto in passato, di certo lo aveva scordato.

Eppure quel sentimento malevolo era sempre là, in un angolo della sua mente, e lo rendeva inquieto. Si sentiva come se il tempo a sua disposizione stesse per scadere, come se i grani di sabbia di una clessidra invisibile stessero per esaurirsi, fuggendo via troppo velocemente.

Heris si volse e lui vide il biasimo saettare dai suoi occhi.

"Sì, ho capito" disse Yagen senza che lei avesse bisogno di parlare. "Domani mi farò controllare la mano, te lo prometto."

"Avresti dovuto farlo prima."

Lui avvolse le braccia intorno alle sue spalle e la tirò a sé:

"Non è così semplice quando ti trovi nella mia posizione. I tuoi sudditi ti prendono come punto di riferimento e non puoi vacillare neanche per un attimo, quindi ho sperato fino all'ultimo che la cosa si risolvesse da sola".

"Che motivazione stupida" rispose lei senza peli sulla lingua.

Yagen rise; era incredibile come si sentisse a suo agio persino in quei bisticci da coppia attempata. Gli piaceva sentirla parlare in dyriano. Nonostante il cattivo sangue che correva tra i due regni, doveva ammettere che era una lingua melodica, soffice come lana cardata. O forse così gli suonava perché usciva dalle labbra rosate di lei. Heris la pronunciava con un accento particolare, tendeva a strascinare la parte finale delle parole, e a volte parlava così velocemente che si mangiava le vocali, tanto che Yagen faceva fatica a seguirla, sebbene padroneggiasse quell'idioma e si esprimesse con scioltezza. Ogni tanto lui faceva qualche piccolo errore ma lei non lo correggeva mai, non sembrava esattamente una purista della sua lingua materna, anzi spesso gli insegnava il gergo dei minatori facendolo ridere di gusto.

Lei per contro detestava il kemari, gli confessò che studiarlo era stata un'autentica tortura.

"Ha lo stesso suono di quando sputi addosso a qualcuno! E poi perché mettete i nomi in fondo alle frasi? Non ha alcun senso e non si capisce niente" aveva esclamato indispettita mentre armeggiava con una ciocca annodata.

Yagen, con le lacrime agli occhi per le risate, si era spesso offerto d'insegnarle meglio, ma lei aveva fatto una smorfia e aveva declinato, diceva che preferiva mangiare i pesci-verme del fiume Saikon.

 Quei piccoli, sciocchi, insensati momenti erano la perfezione. Ne voleva altri così, ne voleva all'infinito.

Poi Heris chinava leggermente il capo e lo fissava con quei grandi occhi bruni, profondi come un incubo, e lui capiva che lei lo voleva, che il suo desiderio era ricambiato. Anche di quei momenti ne desiderava un'infinità.

Provò di nuovo quella sensazione spiacevole; per quanto si sforzasse non riusciva a scacciarla in alcun modo. L'atmosfera era rarefatta, irreale come quella di un sogno, sembrava che Heris potesse disfarsi da un momento all'altro tra le sue dita. La strinse più forte a sé, come a sincerarsi che fosse tangibile, che fosse ancora carne vibrante tra le sue braccia. Lei si rigirò in quell'abbraccio soffocante e lo guardò con una luce strana negli occhi. Senza dire nulla gli prese la mano sana e ne baciò le dita lunghe e affusolate una aduna, soffermandosi su ogni falange. Gli aveva detto più volte quanto adorasse le sue mani, sottili al punto da essere quasi femminee ma allo stesso tempo forti e ruvide per via del tempo che le aveva, seppur lentamente, trasformate. Ben presto Yagen non fu più capace di resistere a quella bocca, quel misto d'innocenza e impudicizia di cui solo lei era capace lo faceva andare fuori di testa, riusciva a fare le cose più sconce mantenendo sempre una certa sembianza d'ingenuità e candore. Le braccia e il viso erano bruni, scuriti dal sole, ma una volta svestita, il ventre e i seni erano candidi, di luna, si muovevano come un'onda soffice sotto le sue labbra. L'aria della camera si fece rovente e mentre la schiacciava su quel letto così ampio, respirando i suoi ansiti, in quel groviglio di sospiri e gemiti, capì che l'amava e che sarebbe stato disposto anche a metterla sotto chiave pur di tenerla legata a sé. 

Captivated - Il sangue e la spadaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora