Epilogo

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Fluttuava ormai da giorni in uno stato febbricitante, in un perpetuo alternarsi di sonno e veglia che aveva quasi un che di confortante. Diversi volti preoccupati si erano avvicendati davanti ai suoi occhi, in una sfilata di maschere grottesche e quasi comiche.

Quanta apprensione inutile, quanti scrupoli sprecati!

Non sarebbe morto e lo sapevano, qualche giorno da allettato non lo avrebbe di certo ucciso, potevano risparmiarsi tutto quel teatrino. A ripensarci adesso però, in quale altro modo poteva definirsi ciò che gli era successo se non una grande spietata commedia, di cui lui era stato lo zimbello?

Era iniziato come qualcosa di semplice. Un gioco. Una scommessa infantile. Una provocazione beffarda contro il destino, come quello sfregio incosciente che gli era infine costato la mano. Heris era stata così, come quella ferita in apparenza innocua. L'aveva fatta avvicinare troppo, si era lasciato segnare con avventatezza, con presunzione, e lei l'aveva azzannato, si era portata via un pezzo, glielo aveva strappato come un arto incancrenito. Eppure il suo ricordo persisteva, come la sensazione di quella mano ormai fantasma che ancora gli doleva, che a volte ancora aveva lo stimolo di muovere. 

Heris era quella parte di sé che aveva smarrito, che aveva fatto cadere ad un certo punto del suo percorso e che non aveva più ritrovato, era la determinazione, il candore, la resilienza, la volontà di andare avanti in quel mondo marcescente, dove ogni virtù era divenuta frangibile, effimera.

Yagen l'aveva osservata con interesse morboso mentre si sfaldava tra le sue mani, mentre tutte le sue certezze crollavano e i dogmi in cui aveva sempre creduto si erano rivelati ingannevoli. Si era illuso di poterla trascinare con sé, giù fino al fondo limaccioso della sua miseria, ma lei non era caduta, si era divincolata, gli era sfuggita e con la sua volontà granitica aveva imboccato la via maestra, quella del coraggio, della virtù, della nobiltà d'animo, quella che a lui era sempre stata preclusa, o che forse aveva ormai rinunciato a intraprendere. Per questo l'amava e per questo l'aveva persa. Quei momenti insieme, quando la stringeva soffocando i respiri nel suo collo, afferrando quelle ciocche crespe, ribelli, mentre le loro fronti umide si toccavano, tutti quegli istanti lui li aveva rubati, sottratti a tradimento a un fato che gli remava contro, che premeva per portargliela via, fuori dalla sua portata. 

Yagen non provava alcun rimorso, era un impenitente e lo sarebbe sempre stato, ma il suo tempo era infine scaduto, il destino aveva reclamato il suo pegno. Izmir era stato la mano di quella sorte avversa, il suo cavaliere più fidato, la serpe in seno. Lo aveva irretito, aveva disertato e abbandonato quel ruolo in cui lo aveva costretto per così tanti anni. Yagen sapeva di avere la sua parte di colpa, ma quel tradimento l'aveva comunque straziato oltre ogni dire, soprattutto perché non sapeva per quanto tempo il cavaliere umano sarebbe sopravvissuto lontano da lui, non sapeva se l'avrebbe più rincontrato.

Heris e Izmir, entrambi se n'erano andati, forse perduti per sempre, in più si era ritrovato mutilato, un contrappasso assai crudele ma consono ai suoi peccati passati. L'unica consolazione era che perlomeno aveva avuto il buonsenso di non ferire la mano dominante.

Yagen socchiuse gli occhi stanchi quando sentì dei passi lievi, e una mano fredda posarsi sulla sua fronte rovente per dargli refrigerio. Maryn era passata per il controllo mattutino, come faceva ormai da giorni. Mamma Arnauk di solito veniva a trovarlo al pomeriggio e Kair la sera, anche se gli scacchi erano ovviamente banditi, date le sue condizioni. Non che avesse una gran voglia di dedicarsi ai suoi vecchi passatempi. 

In fondo provava compassione per i suoi sottoposti, chissà che patemi dovevano aver sofferto a causa sua. Li avrebbe ringraziati sentitamente a parole, quando la voce gli fosse tornata, ma in quel momento non poteva, non riusciva. Poteva solo sperare che lo scorrere del tempo sarebbe stato sufficiente per calmare la sua anima martoriata.

Heris non era più sua e forse non lo era mai stata davvero.

Forse un giorno si sarebbero rivisti, si sarebbero ritrovati ai confini del mondo, in una giornata gelida o bruciata dal sole. Oppure si sarebbero stretti in un ultimo abbraccio, sulle ceneri ancora calde di quella terra fatiscente, prima che tutto collassasse e i frantumi venissero risucchiati dal gorgo dell'oceano.


Note autrice: non ho molto da dire stavolta, grazie per chi ha letto e seguito fin qui!

Captivated - Il sangue e la spadaWhere stories live. Discover now