Reincontrarsi

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Cavalcarono di buona lena per tutta la notte, fermandosi solo una volta per far riposare i cavalli e guardandosi costantemente le spalle per accertarsi di non essere inseguiti, dimentichi del sonno e della fame. Stranamente non videro nessuno dietro di loro e all'alba varcarono il confine senza altri ostacoli. Heris si sporse aggrappandosi all'ampio busto di Kone, che conduceva un frisone dal lucente manto d'ebano, l'unico cavallo in grado di sorreggerlo in quella fuga rocambolesca. Vide quella terra familiare e le apparve morbida e soave come una madre.

La compagnia procedette al trotto seguendo il corso quieto di un fiume, poi decisero di fermarsi e smontare per riprendere fiato, come se fossero appena emersi da una lunga apnea.

"Dev'essere successo qualcosa di grave al re se non ci hanno seguiti" disse il cavaliere Izmir. "Quello stupido" masticò poi tra i denti con aria cupa.

Heris lo osservò di sottecchi e concordò in silenzio. Tamburellò con le dita su Kiogin, la spada che aveva ritrovato il suo posto nel fodero attaccato al suo fianco. Quando aveva visto Yagen rovinare a terra aveva sentito la sua anima frantumarsi, aveva sentito l'impulso di lanciarsi verso di lui e afferrarlo, prenderlo tra le braccia e cullarlo come un bimbo, come a volte aveva fatto nelle notti che avevano trascorso insieme, nella dolcezza che seguiva la sazietà della passione.

Ma non poteva. In quel momento non poteva. Il mondo fuori la richiamava, la invocava con un'attrattiva invincibile, la strappava via con dita puntute di megera.

Si rivolse ai suoi compagni, a coloro che avevano rischiato la vita per portarla in salvo. Guardò Kone, che era chino su di lei quasi a volersi accertare che fosse davvero là e stesse bene. Heris lo guardò in quegli occhi piccoli e buoni.

"Mi dispiace di averti fatto preoccupare, grazie per tutto quello che hai fatto per me" pronunciò a voce alta.

Kone scosse la testa lentamente poi spalancò la bocca ed enunciò, con quello che sembrava un grande sforzo: "Non... disp... iace... no... scusa." Una frase che poteva essere molto liberamente interpretata come un invito a non scusarsi. Heris lo abbracciò facendosi di nuovo circondare da quelle braccia massicce poi si rivolse a Gavin, che la studiava con cipiglio severo.

"Ehi, tu" borbottò impacciata.

"Ehi, tu" replicò lui chinando il capo e lanciandole un'occhiata obliqua, una posa sgraziata davvero poco consona al suo lignaggio. Poi mosse un passo e le circondò le spalle con un braccio solo, stringendola brevemente al suo petto in un abbraccio rustico, tipico di chi abbracci era abituato a darne pochi.

"Ci hai fatto spaventare a morte, non farlo mai più" la rimproverò con giusto un accenno di fermezza.

Izmir osservava la scena e se ne stava in disparte, quasi si sentisse di troppo. Heris gli si avvicinò cauta e gli parlò:

"Suppongo di doverti ringraziare. Ma non posso fare a meno di chiedermi perché tu l'abbia fatto".

"Perché era giusto" rispose Izmir laconico. "Mi chiedesti che cosa pensavo fosse più giusto fare e io ho risposto così."

Heris ne fu impressionata, a quanto pare era davvero possibile cambiare, anche dopo tutto quel tempo.

"Ma non è solo quello il motivo" continuò il cavaliere. "Non mi piaceva l'influenza che stavi avendo a corte, soprattutto su... una certa persona. La tua presenza era deleteria e quindi ti ho preferita fuori da là."

Lei non rispose, l'espressione stoica sul viso di Izmir le fece capire che non scherzava affatto.

"Dunque diventerai nostro alleato ora? Sai cosa significa?"

Captivated - Il sangue e la spadaWhere stories live. Discover now