46-Fair exchange

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I primi raggi del sole avevano iniziato a illuminare la mia stanza e io sospirai, sollevata che la notte fosse passata. Non avevo dormito molto, troppo concentrata sui pensieri che affollavano la mia mente e agitata al pensiero di rivedere Dylan, dopo le parole di Luke. Non l'avrei perdonato subito, ne ero sicura, eppure avrei cercato di deporre le armi e rivalutare la sua posizione.

Mi ero preparata in fretta e allenata nella palestra sotterranea per circa due ore, poi mi ero fatta una doccia e, dopo aver indossato gli indumenti che avevo scelto, ero uscita da casa.

In quel momento mi trovavo sulla mia Kawasaki con Dylan dietro di me. Ero passata a prenderlo alle nove in punto e, senza permettergli di domandarmi nulla, gli avevo passato il casco e invitato con un cenno a salire sul mio bolide.

Il russo era confuso e interdetto a causa del mio comportamento bizzarro, soprattutto perché il giorno prima lo avevo rifiutato senza sottintesi, eppure mi aveva seguita in quella caccia alla verità.

Mi sentivo in dovere di confessare quanto avevo scoperto poiché, in quella faccenda, la sua famiglia era coinvolta tanto quanto la mia, perciò avrei dimenticato momentaneamente le nostre divergenze per una questione di rispetto.

George L. Street era una strada non troppo centrale e conosciuta, circondata da piccoli negozietti d'arredamento, di abiti dell'usato e da panetterie, dalle quali proveniva un odore intenso di pane appena sfornato che mi fece arricciare il naso. Parcheggiai e, insieme, scendemmo dalla moto.

«Posso sapere perché siamo qui, ora?» Mi domandò e io annuii, spiegandogli tutto. Lo vidi serrare la mascella e chiudere i pugni, finché, non appena conclusi il discorso, esplose in un'imprecazione intrisa di rabbia.

«Io lo uccido quel pezzo di merda.» Sibilò a denti stretti, facendomi alzare gli occhi al cielo.

«Calma i tuoi spiriti bollenti, Ivanov. Ci servono prove e al momento scarseggiano.» Spiegai e mi guardai attorno, alla ricerca del negozio di elettronica di cui aveva parlato Stranger.

«Certo.» Borbottò a denti stretti. «Proprio per questa ragione trovo sia inutile essere qui, dobbiamo metterci al lavoro.» Commentò.

«Stiamo già al lavoro, Dylan.» Ribadii. «La chiamata di Ralf è stata localizzata in questa strada, cioè, dove è presente un negozio di telefonia.»

«Nel caso in cui l'avessi dimenticato, ragazzina, la chiamata è risalente a sei anni fa. È tanto tempo!» Mi guardò come se fossi una sciocca e gli rivolsi un'occhiata seccata.

«Lo so, ma è la nostra unica pista, al momento, e dobbiamo seguirla, perciò chiudi la tua fottuta bocca, oggi mi scoppia la testa!» Affermai, camminando verso il negozio dall'insegna luccicante.

«Come vuoi tu, padrona.» Asserì ironicamente e mi trattenni dal ridacchiare.

Raggiunsi l'entrata del Word technology, così si chiamava il negozio, e, dopo aver sospirato, ci entrai accompagnata da Dylan.

Camminai lungo il bancone e mi sporsi per guardare la ragazza che si trovava seduta su uno sgabello girevole.

«Salve, vorrei un'informazione.» Disse ed ella sollevò lo sguardo dal cellulare che stringeva tra le mani.

Fece correre i suoi occhi su tutto il mio corpo, guardandomi con uno sdegno tale che mi fece inarcare le sopracciglia, poi passò a Dylan, leccandosi le labbra. Sembrò spogliarlo senza nemmeno toccarlo e quella cosa mi fece alterare. Il bruno, soddisfatto da quelle attenzioni, ghignò maliziosamente e la osservò con la sua stessa intensità.

«Come posso aiutarti?» In un attimo fu davanti al bancone, con le mani poggiate sul vetro e un sorrisetto furbo sul volto.

«Vorremo un'informazione, come ti ho già detto.» Calcai il plurale, tuttavia il suo sguardo non si spostò dal mio russo.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora