20-The old me

12.6K 328 30
                                    

Mi limitai a guardarla per un solo istante. Il fiume di lacrime, che scorreva lungo le sue guance, si mischiava con la pioggia la quale cadeva incessantemente fino a schiantarsi contro l'asfalto.

Ritornai sui miei passi voltandomi, senza lasciar trapelare nulla dal mio viso bagnato dalla pioggia. Il suono prodotto dalle mie scarpe, mentre camminavo lungo la strada, riecheggiavano nel buio della notte, unendosi, di tanto in tanto, ai lampi carichi di luce che squarciavano il cielo. La delusione mi aveva investita, fui costretta a cancellare quello sgradevole senso di impotenza, concentrando i miei pensieri su altro e fingendo che non fosse accaduto nulla. Il mio viso era solcato da un'espressione neutra, che quasi trasmetteva i brividi data la sua freddezza.

Quando fui in macchina, aprii il cassettino che si trovava sul lato passeggero ed estrassi il pacchetto di sigarette, gioendo nel trovarlo lì, ancora sigillato con accanto il mio fedele accendino

La carta trasparente che le chiudeva divenne presto solo un lontano ricordo e già le mie labbra carnose si chiudevano intorno al filtro della sigaretta. Le mani mi tremavano leggermente, rendendomi difficile l'uso dell'accendino, tuttavia, dopo aver lanciato un urlo di frustrazione, riuscii a ritornare in me e ad accenderla.

Aspirai la nicotina con lentezza, poi, quando gettai fuori il fumo, un senso di leggerezza e sollievo m'invase completamente. Più rilassata, mi poggiai al sedile e continuai a fumare tranquillamente, riempiendo la mia costosa auto di fumo grigio.

Non mi piaceva fumare. Odiavo l'idea di recare danni ai miei polmoni consapevolmente; ero sempre stata decisa su quell'idea, finché non ebbe inizio quello che a me piace definire, in modo un po' poetico, il mio periodo buio. Tutto era cominciato da una semplice sigaretta, che aveva lo scopo di sciogliere i nervi tesi e di farmi allontanare, per qualche istante, dagli eventi dolorosi che complicavano la mia vita, tuttavia ero, successivamente, caduta nel vizio, iniziando a consumare un pacchetto al giorno.

Solo grazie alla mia determinazione e all'esame di coscienza che mi ero fatta, avevo deciso di smetterla, anche perché a pagarne i danni, se avessi continuato, sarei stata soltanto io. Mi ero ripromessa che non ne avrei mai più abusato come in quegli anni; quella sera, tuttavia, avevo deciso di fare un'eccezione.

Appena sbuffai via l'ultima nuvola di fumo, aprii il finestrino e lanciai fuori la cicca, ormai consumata. Fissai la strada per qualche istante, indecisa sul da farsi, poi un'idea mi balenò in mente e subito misi in moto l'auto, partendo in direzione di casa.

Quando giunsi nel cortile della mia villa, parcheggiai l'auto e corsi in camera, senza far troppo caso agli uomini di mio padre che mi osservavano con quell'aria turbata, dato il mio stato.

Feci tutto di fretta; mi cambiai, indossando un vestito lungo fino a metà coscia, nero come la pece, con un profondo scollo a cuore sul davanti e uno spacco sul lato destro. Scelsi delle Louboutin rosse e sistemai rapidamente il trucco ormai sciolto. Legai i capelli, ancora leggermente umidi, in una coda alta tiratissima, molto elegante.

Una volta fuori dalla mia stanza da letto, camminai lungo il corridoio, cercando di non fare chiasso, così da non incontrare possibili noie. Scesi le scale e, quando stavo per cantare vittoria e per aprire la porta d'ingresso, fui fermata da una possente mano che afferrò il mio braccio.

Mi voltai ostile a causa del gesto che aveva compiuto e lo osservai attentamente, senza rivelare il mio disappunto. La testa ovale era circondata da folti capelli bruni, sistemati con del gel. Il volto era barbuto e poco curato, con profonde occhiaie. Aveva un aspetto molto muscoloso, risaltato dalla divisa da lavoro che indossava - giacca, pantalone e cravatta nera, mentre la camicia era bianca-. Indossava il classico auricolare all'orecchio sinistro e aveva un'espressione autoritaria. Avrebbe spaventato chiunque, probabilmente, se mi fossi trovata davanti quel gradasso in un altro momento, sarei stata intimorita dalla sua enorme stazza, tuttavia quella sera non ero in me e dare ascolto a un omone che seguiva gli ordini di mio padre, era l'ultimo dei miei pensieri.

«Brian, mi dica.» Lessi il nome sul cartellino bianco che indossava al di sopra della giacca e feci saettare i miei occhi sui suoi.

«Signorina Alexandra, mi dispiace, però non può uscire senza informare suo padre dei suoi spostamenti.» Asserì serio, dimenticandosi, probabilmente, chi aveva davanti.

«Brian, da quanto tempo lavora in questa casa?» Chiesi con un sorriso malvagio sul volto.

«Otto anni, signorina.» Rispose, perplesso dalla mia domanda.

«E in otto anni, mi ha mai vista prendere ordini da mio padre, o peggio ancora da uno dei suoi uomini?» Chiesi con tono quieto, ma completamente seccato.

«No, signorina, ma...» Fece per dire, ma lo bloccai sul nascere.

«E pensi che lo farò oggi, Brian?» Calcai la voce sul suo nome.

«S-sono ordini d-di suo padre...» Parlò, provando a dissuadermi. Osservai la mano ancora appoggiata sul mio braccio e, con una delle tecniche che mi aveva insegnato Ralf, mi liberai agilmente dalla sua stretta. Successivamente, senza che lui potesse fare nulla per contrastarmi, avvolsi il mio braccio intorno al suo collo, stringendo la presa.

«Ascoltami bene.» Asserii duramente. «Tu fingerai di non avermi incontrata lungo il tuo cammino e io, forse, sarò così clemente da risparmiare la tua superflua vita.» Sputai sadica, consapevole che avrebbe ceduto.

«C-certo signorina.» Lo lasciai libero e gli sorrisi fintamente.

«Sapevo che avresti capito.» Gli feci un occhiolino e, dopo avergli dato una pacca sulla spalla, uscii, raggiungendo la mia auto.

Partii sgommando, lasciando una nube di fumo, dietro di me. Avevo deciso che, per quella sera, mi sarei comportata come la vecchia Alexandra, quella ragazzina appena sedicenne che amava ubriacarsi tutte le sere, che non pensava mai alle conseguenze delle azioni sbagliate, che non dava spiegazioni a nessuno, che ogni sera si trovava a spassarsela con un ragazzo diverso, la stessa che, ogni mattina, era costretta a subire le sfuriate di suo padre e le occhiate sconsolate e deluse del proprio fratello.

Ero ritornata la stessa persona che ero stata nel periodo più brutto di tutta la mia intera vita.

Con te non ho pauraWhere stories live. Discover now