XVI. Nella Tempesta

128 5 0
                                    

Meereen si ergeva in lontananza, torreggiando incontrastata su tutta la costa. Era ancora troppo distante perché Diana potesse scorgerne i contorni, gli edifici: tutto ciò che riusciva a vedere era una macchia indistinta che si approssimava a loro ogni istante di più. E man mano che la città si faceva più vicina, il cuore di Diana si colmava di ansia e paura sempre di più, e controllarle diveniva ogni attimo più difficoltoso.

Continuava a domandarsi cosa l'avrebbe attesa, chi l'avrebbe accolta, o se sarebbe stata accolta in primo luogo. Probabilmente a farlo sarebbero stati i ribelli, e la loro accoglienza non sarebbe di certo stata calorosa: Diana sapeva di doversi aspettare il peggio, e si era preparata.

Gli Immacolati erano pronti a difenderla da qualsiasi attacco, ma c'era un unico problema a cui ancora non avevano trovato una soluzione definitiva: cosa avrebbero fatto, una volta giunti sulla terraferma?, dove si sarebbero rifugiati?
La Grande Piramide di Meereen, dove sua madre aveva regnato, non era una possibilità: tutti i luoghi in cui Diana avrebbe potuto andare e che già conosceva erano sicuramente già stati occupati dagli schiavisti e dai ribelli, e mandare l'esercito a riconquistarli era troppo rischioso da fare subito; avrebbero dunque dovuto attendere.

Inoltrarsi nell'ignoto era pertanto l'unica opportunità che avevano. Come era solita fare, Diana stava tenendo gli occhi puntati sull'orizzonte, essendo quella l'unica cosa che riusciva a calmarla: la semplice e banale azione di fissare l'infinito panorama che si stagliava davanti a lei aveva il sorprendete potere di distrarla dalle sue opprimenti preoccupazioni, la sua soffocante angoscia, ed era quindi ciò che faceva, in quel momento più che mai.

«Ansiosa?» Una voce dietro di lei la fece sobbalzare, facendole distogliere lo sguardo dall'orizzonte.

Diana si voltò, ritrovandosi Arasil che la guardava di fronte a lei. Si girò immediatamente, dandogli le spalle. «Non sono cose che ti riguardano.»

Il ragazzo la ignorò, accostandosi a lei e appoggiando gli avambracci sul bordo della nave. «Anch'io ho paura, se ti consola» disse lui con assoluta tranquillità, come se stesse parlando ad un'amica qualsiasi.

Lei lo guardò quasi sconcertata. «Certo che no» rispose secca. «Come potrebbe mai essere in grado di consolarmi?»

Arasil non rispose, volgendo lo sguardo verso il mare. Diana iniziò a muoversi irrequieta, infastidita dalla sua presenza: «Ora vattene» disse, «non siamo amici, non c'è bisogno di parlarci in questo modo».

«Lo so» rispose lui. «Non sono qui per questo.»

«E allora perché sei qui?» domandò lei, stizzita.

Lui abbassò lo sguardo sulle sue mani che giocherellavano, gli occhi color ambra parevano dorati sotto la calda luce del sole. «Volevo ringraziarti.»

Diana strabuzzò gli occhi, guardandolo stupita. «Ringraziarmi?» ripeté. «Per cosa? Per avervi portato fino ad Essos?»

«No» rispose lui. «A quello ci aveva già pensato mio fratello.»

Diana roteò gli occhi, rammentandosi delle pietose scuse che Karsan le aveva porto ad Approdo del Re. «Se quelli li chiami ringraziamenti» disse lei sarcastica.

«Volevo dirti grazie per averci fatto riunire con Sebastian» disse Arasil con lentezza: evidentemente anche lui non si sentiva a suo agio ad essere gentile.

Diana aggrottò le sopracciglia, in parte confusa. «Credevo che il vostro ricongiungimento non fosse stato tra i più allegri.»

«No, infatti» continuò lui. «Tra di noi ci sono state delle... incomprensioni, ma credo che avessimo tutti e quattro il bisogno di ritrovarci, anche se alcuni di noi non riescono ad ammetterlo.» Arasil non specificò di chi stesse parlando, ma Diana, pur conoscendoli appena, intuì che si stava riferendo al fratello maggiore.

A Ballad of Dragons and Death [GoT FF]Where stories live. Discover now