III. Città dell'Inverno

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Diana si svegliò con i raggi del Sole che le illuminavano la pelle diafana. Aprì lentamente gli occhi e si mise a sedere faticosamente, ancora intorpidita dal sonno. Impiegò qualche minuto per abituarsi completamente alla luce e, una volta che lo fece, cominciò a guardarsi attorno.

Era seduta su un ammasso di foglie circondato dalla candida neve, tra gli alberi innevati di un bosco in cui non era mai stata. Intuì che doveva essere prima mattina: il sole non era ancora caldo e in giro non si vedeva nessuno. Si alzò a fatica. Aveva ancora gli occhi gonfi per il pianto e una sensazione di malinconia e angoscia che le aggravava il petto. Si ricordò della sera precedente e cercò di metabolizzare l'accaduto.

Aveva abbandonato suo padre. Suo padre, che neanche la voleva, che le aveva mentito per tutta la sua vita. Aveva lasciato la Barriera. "Visenya," pensò, "ho lasciato anche lei." Aveva lasciato la sua casa. Subito i suoi occhi si riempirono di lacrime e un magone le risalì in gola. Non essendo ancora pronta ad affrontare di nuovo quel dolore, cercò di trasportare i suoi pensieri altrove.

Non sapeva nemmeno dove si trovava, né come aveva fatto a giungerci. Era sicuramente a sud della Barriera, ma non sapeva quanto a sud.

«Daenerion!» chiamò Diana, colta dal panico. Avvertì la sua presenza quasi immediatamente. «Dove sono?» bisbigliò lei, a chiunque potesse ascoltarla e fosse in grado di darle una risposta.

Restò immobile per qualche istante, tentando di trarre conforto dalla lontana presenza del drago. Quando si sentì pronta, iniziò a camminare. Avanzò nel cuore della foresta per diverse ore, con passo lento e affaticato; erano ore che non toccava cibo e acqua, e il suo corpo cominciava a sentirne la stanchezza. Riuscì a trovare un ruscello che scorreva tra gli alberi e poté dissetarsi, ma scovare del cibo non fu altrettanto facile. Quando il sole si fece più alto nel cielo, provò a cacciare, invano. Non c'erano molti animali e i pochi che passavano tra gli alberi erano troppo veloci perché lei riuscisse a catturarli.

Di tanto in tanto si fermava a riprendere fiato, sedendosi sulla neve e appoggiando la schiena sulla corteccia rugosa di un albero. Le sue dita ogni volta raggiungevano istintivamente Lykos, come se accarezzare la lama del pugnale fosse sufficiente a tenerla al sicuro.

Ricordava ancora perfettamente quando suo padre glielo aveva regalato. Era il giorno del suo undicesimo compleanno, e lei si stava allenando con Tormund con un paio di spade di legno. Jon si era avvicinato e l'aveva chiamata. Le aveva detto che aveva un regalo per lei e le aveva mostrato il lungo e sottile pugnale dalla lama argentata.

Diana era rimasta a bocca aperta, affascinata dalla bellezza del pugnale e al tempo stesso timorosa di toccarlo. La sua prima arma.

«È forgiato con il vetro di drago» le aveva spiegato Jon. «Devi dargli un nome. Ogni arma che si rispetti ne ha uno.»

La sua decisione era stata immediata: Lykos, l'aveva chiamato. Aveva letto in uno dei libri della biblioteca che lykos, in una lingua antica e ora sconosciuta, significava 'lupo'. Per lei, quel nome era perfetto.

Ora Diana si strinse nelle spalle, amareggiata da quei ricordi. "Vorrei che Visenya fosse qui" pensò, sopraffatta dal senso di colpa per averla abbandonata. Se fossero state insieme, tutto sarebbe stato più semplice. Percepì di nuovo il magone appesantirle la gola e scacciò via quei pensieri dalla sua testa.

Proseguì lentamente la sua camminata. Verso metà giornata, finalmente gli alberi cominciarono a diminuire e l'uscita della foresta si fece più vicina. Una volta lasciatosi il bosco alle spalle, il suo cuore prese a palpitare più forte nell'accorgersi di dove si trovava. Di fronte a lei si ergeva un'enorme fortezza circondata da alte mura, ricoperta dal bianco della neve.

A Ballad of Dragons and Death [GoT FF]Where stories live. Discover now