Amaro coraggio, amara verità.

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Le giornate sembravano essere volate via talmente in fretta dal non vederle quasi passare: il lavoro per la nuova collezione era iniziato e, stilisti e stagisti erano in gran fermento per quel periodo di massima tensione.
Nathalie lavorava intensamente e per diverse ore in più senza sosta da ormai due settimane: non era cambiato niente in lei, a parte il rapporto freddo che aveva deciso di mantenere con Gabriel. Quel qualcosa dal carattere ispido, rigidamente professionale e austero, si notava che era mutato drasticamente. Era molto più fredda, distaccata e autoritaria del normale, sia con sé stessa che con tutti gli altri: sembrava avesse fatto ammenda al suo cognome nel vero senso della parola. Anche Adrien aveva iniziato a domandare del perché, riguardante la repentina attitudine così impostata e macchinosa della segretaria. Suo padre semplicemente ignorò i commenti del giovane e riuscì a deviarli con la scusa che era una donna riservata e meticolosa, che forse aveva un problema da risolvere da sola e non si sarebbe fatta sfuggire niente come sempre. Gabriel aveva sbuffato e guardato a terra con un pizzico di tristezza nelle sue espressioni, in una mischia di confusione e preoccupazione generale allo stesso tempo che sollevava e poi rilassava le spalle. Adrien si era accigliato a questa risposta che non quadrava per niente con quello che l'uomo dimostrava: lo conosceva e sapeva che c'era qualcosa che lo tormentava. Suo padre lo guardò con affetto e gli mise una mano sulla spalla come se volesse tranquillizzarlo e dirgli: "Dobbiamo avere pazienza e fidarci di lei."
Dall'altro lato della mansione un'assistente mora dalla meces rossa appena sciolta sul lato sinistro del viso rimaneva stante nell'atrio, controllando ogni minimo dettaglio e coordinando i movimenti degli addetti intenti nell'opera di trasporto dei materiali e dei bozzetti.
-"Nathalie Sancoeur?"
La voce di un uomo fece eco nel via vai e Nathalie si voltò di scatto:
un sorriso tonto si formò sulle sue labbra, non potette evitare di correre verso la porta sotto lo sguardo stupito di alcuni stagisti:
-"Una lettera per lei."
-"Grazie." Rispose rapidamente prendendogli la busta dalle mani.
Guardò un momento l'anellino al suo anulare con un sorriso che dimostrava promesse e speranze: aveva atteso tanto a lungo quella busta che pareva non dovesse arrivare mai, le sembrava un sogno.
Si sedette alla scrivania, si accomodò la meces ribelle dietro l'orecchio e aprì la busta con il cuore in gola.
Era così che ci si sentiva ad avere un legame dopo tanto tempo che non ne aveva uno? E le piaceva?
Un suono molesto.
Sospirò pesantemente.
Chiuse un secondo gli occhi in attesa della voce fastidiosa che le faceva la predica.
-"Chi era Nathalie?"
Il volto della donna si rabbuiò e contestò con sufficienza nella voce senza nemmeno guardarlo:
-"Il postino...
non ha lasciato niente d'importante per lei Monsieur."
E la chiamata si concludeva.
Il suo cuore smise di battere all'impazzata, allo stesso tempo che sentiva un nodo formarsi allo stomaco:
mattone dopo mattone avrebbe ricostruito quel muro... costi quel che costi.

•°

Gabriel aveva premuto quei bottoni che gli avrebbero permesso di scendere nella sua tana oscura. Sospirò pesantemente mentre l'ascensore, con un suono metallico lo portava velocemente giù, in quel sotterraneo buio. Le luci si accesero lentamente al suo passaggio come per dargli il benvenuto: uno decisamente tetro e spoglio.
Due settimane dall'ultima vistita su quella passerella fredda e ansiogena. Le zolle di terra nel buio parevano piegarsi e inghiottire il terreno sottostante dando delle vertigini incredibili a ciò che si estendeva sotto di lui, quale si trattasse di una voragine che lo trascinava nel più oscuro antro della sua anima. Poteva sentire il sudore freddo sulla pelle ghiacciarsi con l'umidità incredibile raccolta là sotto: il cuore era vuoto, ammaccato dal senso di colpa, come una carta giocata adesso giacente sul tavolo e del tutto inutile: non poteva tornare indietro e questo lo angosciava.
Strinse i pugni cercando di farsi coraggio: si sarebbe rialzato anche a questa sconfitta e dal potente sconforto che gli aveva recato.
Ripensò alle parole che si era ripetuto quel pomeriggio di pioggia pochi giorni addietro e le quali non aveva ancora messo a tacere da allora:
A quanto avrebbe desiderato mollare ad un tratto la presa sul passato.
Ricominciando a credere in sé stesso e a quello che poteva diventare, anche se significava sacrificare tutto quello che era stato finora.
La strada più ripida la stava iniziando in quel preciso istante che aveva compreso quanto si fosse ossessionato sul passato. Non aveva bisogno di dimenticare: non avrebbe mai potuto farlo... ma di continuare a far vivere dentro di sé quel passato che gli aveva sputato in faccia gli errori troppe volte e guardarlo con occhi diversi.
Emilie era un angelo e non l'avrebbe dimenticata: piuttosto avrebbe ricordato le cose meravigliose che aveva vissuto al suo fianco, come un velo bianco che schiariva quel passato nero come la pece.
Il fastidio che causavano le opinioni e il rumore assordante delle emozioni lo avevano confuso? O forse iniziava a pensare senza quella collera a guidare il suo cuore che lo avevano ormai reso cieco?
Solo allora, alzando lo sguardo, che da quella prospettiva appariva così lontano, vide un fine raggio attraversare il rosone centrale alla villa e illuminare tenuemente il volto del suo grande amore. Comprese che nonostante fosse sprofondato nel baratro sarebbe stato difficile vedere la luce dal fondo, eppure  poteva vederla ancora brillare e sapeva che poteva giungere a quella.
E se quel fondo fosse stato ancora più giù?
Era disposto a scoprirlo senza più cercare rifugio in quella tana, stavolta avrebbe potuto provare in prima persona, senza maschere inutili dietro alle quali nascondersi.
I passi rimbombavano secchi su quella passerella che sembrava non terminare mai eppure stavolta era sembrata troppo corta. La scena che si stagliava dinanzi a lui era decisamente angusta: i fiori colorati e ancora vivi che le stava portando servivano solo di contorno a quel macabro quadretto... alcuni arbusti erano cresciuti fino a coprire i lati della bara e il sorriso spento che aveva tanto amato ora gli appariva addirittura triste e vuoto.
Era davanti a quella cella, una deliziosa prigione criogenica di cristallo contornata d'oro, lo stesso colore della sua chioma morbida e setosa. Una prigione che adesso la accoglieva, dolcemente sdraiata quasi contemplasse il mondo là fuori da una posizione altolocata e sconosciuta all'essere umano.
Gabriel si avvicinò e premette il bottone d'apertura della capsula: cambiò i fiori precedenti, ormai secchi e li sostituì con quelli che aveva tenuto gelosamente tra le mani. Abbassò la testa: erano azioni meccaniche che aveva fatto ogni singolo giorno senza interruzione fino a quella battaglia contro il guardiano dei Miraculous... poi era improvvisamente diventato tutto futile, non importava con quanta intenzione d'amore lo facesse, aveva perso drasticamente importanza.
Aveva sempre pulito le fedi, si era occupato di non farle mai mancare niente all'interno di quella bara: e lo aveva fatto per prendersene cura anche se era lontana, per mantenere il suo corpo intatto mentre la mente ferita era irrecuperabile. Irrimediabilmente si condizionava la mente giorno dopo giorno con quelle immagini di fittizia felicità a coprire un ricordo effimero, ben distante da tutto. Forse la stava lasciando andare? Forse il suo amore per lei stava vacillando?
Si ripeteva che a morire ogni giorno sarebbero stati tutti bravi anziché giocarsela e mettersi alla prova: non che non volesse lasciarla andare ma nel guardarla semplicemente perdeva la forza di farlo.
Passò le dita sulla sua guancia fredda come il marmo: avrebbe voluto scoppiare in lacrime al non sentire più nessuna emozione in quell'azione che aveva notevolmente valorizzato fino a poco tempo prima.
Sentì la carne indurita e fredda, la pelle morbida ma quasi tetra, tanto che pareva di arrivare a toccare la morte stessa. Quel semplice tatto riusciva a sfumare e consumare quei ricordi felici che avevano insieme... il loro tempo era terminato? O stava terminando?
Allora tolse la mano di scatto, non voleva provare questo.
Passò le dita sulla sua fronte, solcata da un paio di piccole rughe che non le aveva mai visto; le scostò i capelli biondi e giocò con le ciocche non provando assolutamente niente. Era impossibile.
Avrebbe provato con le parole: di solito quelle non lo abbandonavano, quando sembrava aver confuso o perduto tutto nel tragitto quelle gli davano sempre un pò di speranza in più.
Stava inziando a sorpassare quei ricordi felici: il loro incontro all'Università, i loro momenti di passione, i loro incontri sul set, le sfilate, il matrimonio, Adrien e infine... aveva solo un'idea generale e un grande vuoto di tutto. I momenti stavano assumendo, col tempo, anche delle sfumature negative: gli facevano pensare alle conseguenze e per un millesimo di secondo, quando voltò lo sguardo, intravide, sul suo volto riflesso sul cristallo della bara un segno... un segno che gli stava dando molte risposte.
Ma fu solo un attimo: era ritornato a guardare il viso della sua defunta sposa anche se i pensieri non andavano a lei.
Sfiorò con l'indice le labbra rosa pallido constatando che non avevano affatto la morbidezza che ricordava e forse, un domani, un bacio con lei non sarebbe più stato lo stesso. Un lampo gli sfrecciò davanti agli occhi, per quanto cercasse di ignorarlo aveva ricordato la sensazione delle labbra di Nathalie sulle sue, le mani sulla sua vita e l'intensità del momento che era stato solo il frutto di un dannato errore, tanto meraviglioso, eppure che andava dimenticato.
Una domanda improvvisamente gli saltò senza sosta per la testa:
Se Emilie fosse mai ritornata... sarebbe stato tutto come prima?
Adrien sarebbe stato felice rivedendola e scoprendo tutto?
Nathalie si sarebbe di nuovo allontanata o se ne sarebbe probabilmente andata dalla sua vita: non lo voleva affatto.
Lo voleva o no?
Guardò come sull'anulare della moglie mancasse l'anello e sospirò:

〖Shallow𝄞〗 𝑮𝒂𝒃𝒆𝒏𝒂𝒕𝒉 Where stories live. Discover now