Capitolo 19

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⚠️ ATTENZIONE ⚠️

⚠️⚠️ Ciao a tutti! Prima di leggere il capitolo, vi chiedo un minuto del vostro tempo. Questo capitolo contiene scene di autolesionismo, se suscettibili o impressionabili saltate tutto il capitolo.
Grazie e buona lettura!⚠️⚠️

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<<E così le vacanze sono già finite>>

Disse Dylan avvicinandosi a me e Luke

<<Già>>

Rispose il ragazzo al mio fianco

<<Ragazzi, devo parlarvi>>

Disse Jessie avvicinandosi e portandoci fuori in terrazzo

<<E Karoline dov’è?>>

Chiesi non vedendo la bionda

<<Non c’è, non è venuta a scuola. Comunque la madre di Lydia, vorrebbe vederci. Da poco hanno trovato il coraggio di aprire la stanza della loro figlia e… Ci sono dei ricordi, delle foto nostre. Così ha pensato di restituircele. Ovviamente non importa se sei nuovo, Dylan. Sono sicura che, essendo molto importante per Liz, potrai sostenerla. Ragazzi, dobbiamo andarci, è un passo in più per superare la cosa>>

Disse tutto d’un fiato e noi annuimmo. "Sarà senz’altro doloroso tornare a casa di Lydia, nella sua stanza, ma Jessie ha ragione: è un passo per accettare che lei sia morta" pensai sospirando.

<<A che ora ci andiamo?>>

Chiese Luke

<<Direi verso le 4:30pm. Magari ci andiamo tutti con le proprie macchine, così ognuno di noi può rimanere il tempo necessario>>

Disse e ritornò in classe al suono della campanella. Da una parte ero pronta a fare i conti con il passato, ma dall’altra no. Perché mi mancavano ed io non riuscivo a realizzare di dover dire loro addio per sempre, non era giusto. Loro non lo meritavano, erano giovani con ancora tutta la vita davanti. Erano gentili, li volevano tutti bene. Avevano il diritto di vivere, ma qualcun altro gliel’aveva tolto per puro egoismo. E questo non era e non è giusto.

***

<<Mamma, tra mezz’ora devo andare a casa di Lydia. Sua madre ci ha invitati per recuperare alcuni ricordi>>

Dissi sedendomi sul divano accanto a lei. Mi abbracciò, in silenzio. Perché? Perché anche lei sapeva cosa si provava quando tuo fratello, nel suo caso figlio, muore e tutto il mondo ti crolla addosso. Cerchi di non pensarci, ma sai che più niente sarà come prima. Una parte della tua anima è volata via e tu rimarrai, per sempre, vuota senza di essa.
Mi accarezzò la guancia e i capelli. Quando Jonathan morì i miei genitori l'avevano presa anche peggio di me, come giusto che sia, ameno per il primo mese. Dopodiché hanno cercato di non dare a vedere che soffrivano più di quando ti manca l’aria, eppure sai che non puoi tornare a galla perché non puoi farci nulla. Ormai quella persona ti ha abbandonato e tu non puoi più tornare da lei. Non la rivedrai mai più, non rivedrai mai più un suo sorriso, non riavrai mai più un suo abbraccio, non potrete più guardarvi negli occhi, non potrete più fare passeggiate insieme, non potrete più vedervi. Quando penso a tutto ciò mi sento persa, ho prosciugato tutte le mie lacrime. Un dolore così immenso non si può spiegare a parole, si può solo sperare che nessuno lo provi. Anche se questa cosa di sicuro non puoi deciderla tu.
Non ti rimane che il fantasma di quella persona, nei tuoi ricordi, nella tua mente. Ti sembra ti segua dappertutto, che ti protegga. Sai in fondo al tuo cuore che cammina al tuo fianco e che non ti ha mai abbandonata davvero. Ma poi ti domandi “è vero? Davvero non ci sono più o sto soltanto vivendo un incubo?” e pensare la seconda opzione ti rende la vita più facile, ma non vivi nella realtà.
E se non vivi nella realtà, non puoi essere lucida. Se non puoi essere lucida non sai cosa stai facendo in realtà, ti sembra tutto perfettamente inutile e mandi la tua vita all'aria, decidi di fare scelte che ti rovineranno. Io, ad esempio, ero diventata anoressica alla morte di Jonathan. Rifiutavo il cibo, non volevo mangiare. Non avevo più un senso per vivere e quindi non avevo più un senso per sopravvivere. Non uscivo neanche di casa, non volevo vedere niente e nessuno. Tutta la giornata la passavo seduta, lì su quel letto di camera mia, a piangere. Non facevo altro. I miei provarono più volte a farmi uscire, ma con scarsi risultati. Dopo tre giorni che non toccavo cibo furono costretti a portarmelo su in camera, ma io non volevo uscire.
E non uscivo infatti, non mangiavo. Dopo qualche giorno però fui costretta perché la fame mi stava divorando, così aprii la mia camera e presi il vassoio. Iniziai a mangiare qualcosa, ciò che avanzava lo conservavo per il giorno dopo. Un giorno, dopo quasi due mesi, i miei genitori dopo aver posato il vassoio finsero di scendere le scale. Io ingenuamente, credendo fossero andati via, uscii dalla mia camera e loro mi abbracciarono immediatamente, prima che potessi richiudere la porta.
Da quel giorno abbiamo affrontato il lutto insieme, ma io ancora non ero pronta né per parlare né per uscire di casa, nonostante i loro sforzi. Verso luglio tornai a non mangiare di nuovo e a richiudermi nella mia camera. Uscii fuori solo a fine agosto, dopo un discorso da parte dei miei genitori che mi distrusse.

Ghost of usWo Geschichten leben. Entdecke jetzt