Di tutta risposta lei si agitò ancora di più e mugolò disperatamente, ma in cambio ricevette solo l'ennesima botta e un grugnito furioso.
Il suo rapitore le era addosso, Erika riusciva a percepire il suo respiro nervoso che si infrangeva sulla sua nuca e le dita strette sui suoi polsi nel tentativo di tenerla ferma. La sua vicinanza la disgustava, le metteva ansia. Voleva solo che si allontanasse dal suo corpo, voleva che smettesse di toccarla in quel modo, non riusciva a sopportare la sua inquietante presenza alle sue spalle.

Sarebbe morta, ne era certa. Sarebbe morta e non avrebbe avuto neanche la possibilità di risolvere i suoi problemi e crescere ed essere felice. Sarebbe morta senza nemmeno conoscerne il motivo, sotto le grinfie di uomo che per qualche strana ragione aveva deciso di rovinarle la vita.

Lo sentì bisbigliare qualcosa di incomprensibile, anche se non riuscì a capire se stesse parlando tra sé e sé o con qualcun altro presente nell'abitacolo, e poi improvvisamente la sua presa si allentò, e con un ringhio frustrato decise finalmente di scostarsi dal suo corpo. Erika tornò a respirare, ma l'angoscia non scomparve. Aveva bisogno di sapere cosa stesse succedendo e dove la stesse portando e per quale motivo, ma era debole, non poteva muoversi e non riusciva neppure a ragionare lucidamente.

Decise di rimanere semplicemente ferma ad aspettare, sperando che l'uomo non le desse altre percosse.
Il viaggio fu lungo e angosciante, Erika non riuscì a calcolare da quanto tempo si trovasse lì dentro, da quante ore stessero guidando. In realtà, non sapeva nemmeno se l'avrebbero mai fatta uscire da quella macchina.

All'improvviso, ecco di nuovo che le dita ruvide del rapitore si appoggiarono sulla sua caviglia slogata, strappandole un mugolio sofferente. Quando l'uomo si rese conto del suo stato tirò via la mano immediatamente, quasi come scottato.
Era chiaro che si trovassero sui sedili posteriori dell'auto e che lui fosse seduto proprio accanto al suo corpo rannicchiato, probabilmente per sorvegliarla e tenerla buona in caso avesse ricominciato ad agitarsi.

Questo significava che non era da solo, e che qualcun altro stava guidando l'auto, ma mentre sentiva il respiro teso dello sconosciuto, la persona alla guida non emetteva un fiato, sembrava quasi che non ci fosse nemmeno.
Entrambi si chiusero in un silenzio tombale, spezzato soltanto dal rumore del motore e dai deboli versi che emetteva la ragazza ogni tanto per via del dolore.

Quando Erika sentì la macchina frenare bruscamente, il respiro le si mozzò in gola.
Accadde tutto troppo velocemente: le portiere scattarono di colpo, e l'uomo l'afferrò per la vita per sollevarla e trasportarla fuori. Erika provò a scalciare, servendosi di quel poco di forza che le era rimasta per colpire il rapitore, ma lui non fece una piega, era come se non gli avesse fatto neppure il solletico.

Se la caricò in spalla come un sacco di patate e iniziò a camminare tranquillamente per chissà dove. Al suo fianco, Erika riusciva a sentire anche i passi misurati dell'altra persona, eppure taceva in modo persistente ed ignorava completamente le sue lamentele, al contrario del suo complice che grugniva infastidito ad ogni suo gemito sofferente.

Attraversarono velocemente un lungo tratto di strada, fino a quando la ragazza non sentì il rumore dello sblocco di una serratura che le fece rizzare immediatamente le orecchie. Dalla paura iniziò di nuovo a dimenarsi tra le grinfie del rapitore, che per farla stare ferma raschiò un unghia sulla sua caviglia malandata che le strappò un urlo dolorante, ovattato per via delle corde.

Quando il passo dei due uomini si arrestò, Erika fu scaraventata con rudezza su quello che sembrava il pavimento di una stanza.
Da quel poco che riusciva a intravedere attraverso le bende, l'abitacolo appariva molto buio e praticamente privo di spifferi esterni, non volava una mosca. E faceva freddo, così tanto che le sue vertebre sembrarono congelarsi all'istante.

𝐋'𝐔𝐎𝐌𝐎 𝐃𝐀𝐆𝐋𝐈 𝐎𝐂𝐂𝐇𝐈 𝐃𝐈 𝐍𝐄𝐁𝐁𝐈𝐀 | ✓Where stories live. Discover now