47 - Ero fottuto

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Note Autrice: Prima di leggere questo capitolo consiglio di rileggere gli ultimi della prima parte, in particolare " 37 - Come sempre" perchè riguarda lo stesso arco temporale di questo capitolo. Spero vi piaccia! Buona lettura!



Ero fottuto.

L'avevo guardata dormire per ore abbracciata a quel dannato cuscino e provavo ancora fastidio per non essere stato io l'oggetto dei desideri tra le sue braccia. Decisamente non era normale quella sensazione, se non poteva dirsi allergia era certamente qualcosa di patologico.

Ero fottuto.

Quel desiderio distruttivo che provavo per lei non solo non si era placato dopo quella notte, ma dall'inguine sembrava essersi espanso ed aver preso possesso di ogni mio muscolo, cardiaco compreso.

Ero fottuto.

Non mi era mai capitato negli ultimi dieci anni di risvegliarmi alle undici del mattino con il braccio ancorato al bacino di una donna, mai. Avevo sempre detestato dormire accanto a qualcuno, a causa del mio sonno leggero, ma evidentemente quella sera non era stato un problema. Possibile fosse stata quella sambuca? Possibile fossi così esausto dal lavoro?

Ero fottuto.

Le avevo chiesto quali fossero i suoi programmi per quella mattina e la sua risposta era stata più che eloquente.

" Sto andando a farmi una doccia e poi dovrei tornare a studiare...Lì c'è tutto per la colazione se vuoi."

Era stato come ricevere una padellata in testa, era chiaro mi volesse fuori di lì ed io ero fregato perché invece non volevo affatto andarmene. Ancora stordito da quel colpo avevo biascicato qualche parola, tentando di ordinare i pensieri per decidere cosa fare. Nel frattempo lei si era diretta in bagno e io per elaborare un piano per restare tra quelle lenzuola avevo necessariamente bisogno di un caffè.

Mi alzai da quello scomodo divano che quella notte mi era sembrato un letto Kingsize e, con indosso soltanto i boxer, presi a cercare tra gli scaffali l'unica bevanda che mi avrebbe restituito un po' di lucidità. Dopo un paio di minuti di ricerca, richiusi l'ennesima antina.

Ero fottuto.

Non trovavo il caffè e soprattutto sentivo l'agitazione salire lungo la gola temendo il momento in cui avrebbe finito quella dannata doccia e sarebbe rientrata con uno sguardo del tipo "Non te ne sei ancora andato?".

Ero fottuto, ma ripetermelo non mi avrebbe aiutato affatto ad uscire da quell'impasse, solo il caffè avrebbe potuto.

Non riuscii a trattenermi dallo sbottare: -Sara! Ma scusa, ma dove lo tenete il caffè?-

Mentre aprivo l'ennesimo scaffale nervosamente la vidi entrare in quella specie di cucina-salotto-camera da letto in cui ci eravamo accampati quella notte.

Aveva i capelli umidi, la pelle lucida e profumata e quei suoi occhi fottutamente trasparenti che sembravano chiedersi solo perché non mi fossi ancora rivestito.

Ero fottuto perché, invece di abbassare lo sguardo, rimasi imbambolato riconoscendo, avvolto attorno al suo corpo, quell'asciugamano. Quel dannato asciugamano che le avevo visto addosso la prima volta che l'avevo vista, e che quel mattino fece scattare qualcosa dentro di me.

- Ecco...- iniziò lei a spiegare, porgendomi la scatola del caffè e sedendosi sul tavolo con non curanza dell'effetto che aveva su di me.

Io mi muovevo meccanicamente, tentando di racimolare un briciolo di lucidità, che il suo profumo decisamente disperdeva: ora che avevo assaggiato la sua pelle non me la sarei più tolta dalla testa.

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