Capitolo 28

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Venezia subacquea, anno 51 della Grande Invasione

«Ho paura, mamma.»

«Lo so, tesoro mio, e fai bene. Solo gli sciocchi e i pazzi non hanno paura e tu non sei né l'uno né l'altro. Tu sei forte, intelligente e svelta: oh, Giulia, sono così orgogliosa di te! Se i tuoi nonni potessero vedere che brava ragazzina sei diventata...»

«Mamma, perché non vieni con me? Perché devo andare da sola?»

«Non c'è tempo per distrarre gli Invasori, sono dietro di noi... E non c'è spazio nel kaiko per tutte e due. Inoltre, ciò che trasporti è molto più importante delle nostre vite e tu lo sai. Non posso compromettere la missione, perciò sarai tu a doverla portare a termine: vai alle rovine di Roma, portalo a Windsor! Lui saprà cosa fare e ti proteggerà.»

«Mamma, e se non troviamo il resto? Se non troviamo Basilia?»

«Tu la troverai, amore. Tu rimetterai insieme i pezzi di questo mondo. Sono sicura di questo.»

«Mamma, stanno entrando!»

«Vai, Giulia, fai partire quel dannato kaiko! Vai!»

Mentre a dodici anni costeggiava le rive devastate di ciò che un tempo era l'Italia, Giulia Lagorio pianse tutte le lacrime che aveva in corpo – ma silenziosamente, perché era terrorizzata che qualche drone degli Invasori captasse i suoi singhiozzi e segnalasse agli alieni la sua rotta subacquea e clandestina verso Roma.

In testa le risuonavano stralci di conversazioni, alcune avute con sua madre e altre origliate dietro le porte chiuse dei consigli di guerra:

«Dicono che non sia morta... Dicono che sia fuggita dalle prigioni degli Invasori e che ora vaghi sulla Terra alla ricerca di Basilia...»

«Il diario di Ania Pierno indica l'entrata del Santuario del Lupo...»

«Giulia, la mamma ti vuole tanto, tanto bene!»

«Ma non vedete che tutto è collegato? Perché siete così ciechi?»

«Dobbiamo trovarlo. Se lo troviamo troveremo anche Basilia. Dobbiamo trovarlo...»

"Io troverò il secondo tablet, mamma. E un giorno potrò dire ai miei figli che vivranno liberi e tu non sarai morta invano."



Medheland, anno 63 della Grande Invasione

Era tutto pronto: aveva smantellato l'orto, disconnesso i computer e raccolto tutto ciò che avrebbe potuto essergli utile per il lungo viaggio che gli si prospettava davanti. Qualche ora dopo la sua partenza il fuoco del camino avrebbe fatto saltare i tubi del riscaldamento, opportunamente otturati, e neanche il più astuto degli Invasori sarebbe riuscito a individuare le tracce della sua presenza in quel posto.

Zero era bravo in questo – o almeno, credeva di esserlo: aveva nascosto così bene le tracce delle sue vite precedenti che per quanto scavasse a fondo nella propria mente non riusciva a ricordare nulla di chi era stato prima di allora.

«Eppure devo essere stato qualcuno» mormorò tra sé e sé. «Tutti hanno un passato...»

Forse era stato proprio questo ad attrarlo nella richiesta di aiuto della misteriosa Cless: era disperata, spaventata e in fuga, ma lei aveva una storia.

Aveva avuto una madre e prima ancora una nonna – persone reali, con dei veri nomi e magari anche con volti espressivi e voci che l'avevano cullata durante le notti della sua infanzia; lui, invece, aveva solo vaghi ricordi didascalici di vecchie storie e terribili incubi che si dileguavano alle prime luci dell'alba. Non sapeva da chi avesse ereditato gli occhi chiari o se uno dei suoi genitori avesse avuto le sue stesse orecchie a sventola e un po' appuntite, i suoi capelli nerissimi o quelle labbra che sembravano sempre imbronciate in una smorfia severa.

Contest Collaborativo ContinuoWhere stories live. Discover now