CAPITOLO 11 - NATHAN

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Rumore.

È l'unica cosa che riesco a sentire da quando Elizabeth è uscita dalla mia macchina e ha lasciato quel suo terribile profumo tutt'attorno. Odio il suo profumo, ve l'ho già detto? Mi ricorda mia madre.

A me piace il rumore comunque, insieme al dolore, l'inquietudine e quel senso di totale inadeguatezza per il mondo. Sono le uniche sensazioni di cui ho memoria da quella maledetta sera. Da quella notte a casa mia c'era un silenzio assordante: il promemoria di una perdita incolmabile e di un padre inesistente. È lì che è comparso il rumore.
Dai quindici anni in poi sono stato un ragazzino difficile, avevo questa rabbia dentro che doveva essere canalizzata, e la frase sbagliata sempre sulla punta della lingua; amavo provocare i miei coetanei perché non vedevo l'ora che uno di loro si ribellasse, aspettavo ansioso la rissa.

La sofferenza altrui mi ha fatto sempre sentire meglio. Faccio schifo lo so, ma vedere la sofferenza di altri mi faceva sentire meno solo, come se a soffrire non fossi solo io, come se in quel modo il rumore che mi portavo dentro si dissipasse o dividesse con loro.
Ora sono in macchina, con il volante ancora stretto tra le mani, e neanche mi ero accorto di essere arrivato a casa. Respiro rumorosamente quando il mio telefono inizia a squillare.
È Andrew.
Senso di colpa e rabbia mi attanagliano lo stomaco. Lo stronzo non si fida di me. Forse fa bene ma andiamo... ha chiesto a Jay Davis di portare Elizabeth a lavoro pur di non chiederlo a me! È troppo anche per lui, Davis è un viscido. Do un pugno sul volante e accetto la chiamata.
"Dimmi"  la mia voce è più dura di quanto immaginavo.
"C'è tempesta?"  la sua voce sembra rilassata e so che sorride ma avverte la tensione, sa di essere uno stronzo e che sono arrabbiato.
"Fottiti"  sbotto prendendo il cellulare e uscendo dalla macchina "Che cazzo vuoi? Ho da fare parla in fretta"  continuo con tono duro e sbatto lo sportello.

"Ho saputo che ti sei occupato tu di portare Beth a lavoro, non era necessario io..." sospira, sa che questa conversazione non porterà a niente di buono.

"Avevi paura che il tuo amico psicopatico potesse fare del male alla tua tenera sorellina? Quale cazzo di problema hai?!" una risata mi scuote il petto, il rumore inizia a diminuire mentre il tono della mia voce continua a diventare duro "Jay Davis..." scandisco lentamente, faccio una pausa prima di continuare "Fai sul serio Gray?! Sono peggio di quel fottuto pervertito? Mi commuove la fiducia che riponi in me" metto una mano sul petto, come se potesse vedermi.
"Andiamo, non volevo darti fastidio, io..."  il suo tono dispiaciuto mi innervosisce "non sei psicopatico" ammette con la voce un po' più bassa, sembra incerto.

Non ci crede neanche lui. Sappiamo entrambi che ho qualcosa che non va ma non gli farei mai un torto, credo sappia anche questo.

È l'unica persona che tiene a me e io ho solo lui.

"Ah no?!" butto la testa all'indietro ridendo, effettivamente forse adesso se mi vedeste pensereste che sono pazzo "se non fossi psicopatico il mio migliore amico non preferirebbe affidare sua sorella a un pervertito" dico a denti stretti, poi mi dirigo al mio appartamento e prendo le chiavi dalla tasca posteriore dei pantaloni.

"Datti una calmata fratello, forse ti ho chiamato nel momento sbagliato, è meglio se ne parliamo domani, non voglio litigare adesso" sbuffa.

"Fottiti" tuono prima di chiudere la telefonata.
Il pensiero che lui mi consideri pericoloso per la persona a cui tiene di più al mondo mi ferisce. Vaffanculo!

Entro in casa e mi richiudo la porta alle spalle, mi tolgo la giacca di pelle buttandola sul divano e mi dirigo nella stanza che preferisco di tutto l'appartamento: la palestra.
Quando ho arredato casa Andrew ha insistito affinché la allestissi, diceva che magari tirare pugni a un sacco sarebbe stato meglio che tirarli a qualcuno in carne e ossa, soprattutto in sua assenza. Lo stronzo aveva ragione.
Entro nella palestra, mi sfilo la maglia velocemente e mi posiziono davanti al sacco blu in piedi davanti a me. Inizio a colpire forte, sempre più velocemente; per quello stronzo di Gray, per quel viscido di Davis, per questo stupido rumore che risuona nella mia testa e pure per Elizabeth. Per il sorriso che ha fatto quando mi ha visto nel parcheggio, per il suono della sua risata questo pomeriggio che ancora riecheggia nella mia testa e per lo sguardo preoccupato che mi ha rivolto in macchina poco fa. Colpisco ancora più forte, le nocche iniziano a farmi male, segno che devo continuare. Un'ora più tardi, con le nocche rotte a sangue e meno rumore nella testa vado a farmi una doccia veloce per poi stendermi a letto. Domani niente di tutto questo avrà più importanza: Andrew farà finta di nulla e Elizabeth tornerà a odiarmi. Tutto nella norma.

«Vaffanculo Walker» sussurro a me stesso, non posso trattenere il sorriso all'immagine chiara nella mia testa di Beth che mi mostra il dito medio.

Il mattino seguente ho un solo pensiero nella testa: farmi odiare da Elizabeth. Il perché è semplice, da quando ho preso questa folle decisione di diventarle amico nulla è andato come doveva, il risultato è stato un mix di rabbia e senso di colpa che è evidente io non sia capace di gestire, quindi il mio piano è riprendere a evitarla e limitarmi alle solite battutine che tanto detesta. Ieri è stato troppo per me, decisamente.

Dovrò limitarmi a incontrarla a lezione, passare un paio di ore a settimana con lei per il progetto, magari in un luogo estranio a entrambi e nulla di più. Non mi sembra difficile.

Devo darmi una mossa se voglio arrivare in orario quindi mi alzo dal letto e dopo una doccia veloce e una sistemata alle nocche sono come nuovo. Una volta uscito dal mio appartamento opto per la motocicletta che si abbina perfettamente al nero dei miei vestiti, entrare nella Mustang di ieri sarebbe un suicidio, quindi salto in sella e dopo poco schizzo fuori dal vialetto.

La giornata prosegue abbastanza tranquilla, sono arrivato giusto in tempo per l'inizio delle lezioni e non ho guardato più del dovuto in direzione di Elizabeth. Devo ammettere che lei non mi ha degnato di uno sguardo, non mi ha neanche rimproverato per il modo aggraziato con cui ho spostato la sedia per sedermi accanto a lei. Osservandola bene stamattina sembra felice, continua a digitare qualcosa sul cellulare e a sorridere di tanto in tanto, non ha ascoltato nemmeno una parola della lezione e questo non è da lei. La cosa un po' mi infastidisce.

Come se avvertisse i miei occhi su di lei si irrigidisce appena e il sorriso le muore sul viso quando si volta per un secondo verso di me, poco dopo il suo sguardo torna sul display e continua a digitare. Va avanti così per gran parte della mattina e ce la metto davvero tutta per non provocarla, quanto vorrei sapere perché sorride a quel maledetto telefono, ieri sorrideva a me ma questo non è affar mio.

Al termine delle lezioni mi precipito fuori dall'aula un attimo dopo Elizabeth, non ho nessuna intenzione di vederla per un altro secondo. Giunto nella mensa mi guardo attorno in cerca di un tavolo libero, non sono dell'umore giusto per sopportare altri esseri umani quindi mi dirigo verso il tavolo più vicino a me. Il mio pranzo solitario viene però interrotto dopo poco da una pioggia di capelli bruni e due enormi smeraldi. Davvero niente male.

Scosta la sedia accanto a me mentre la scruto attentamente.

«Posso sedermi o è occupato?» mi chiede sorridendo e battendo le unghie sullo schienale della sedia, annuisco pensieroso, ha un'aria familiare.

«Senti so che magari preferivi mangiare da solo, ma vedi, la mia migliore amica Beth sta pranzando con il suo fidanzato e mi sentivo davvero a disagio seduta lì» dice sedendosi e poggiando il vassoio sul tavolo, continua a sorridermi.

Qualche secondo dopo do un'occhiata alla sala in cerca dell'amica in questione, non ci metto molto a individuarla, è seduta a qualche tavolo da noi e tiene il mento poggiato sul dorso delle mani, i gomiti sul tavolo, e quel fottuto sorriso stampato sulla faccia. Davanti a lei un ragazzo biondo, il più insignificante che io abbia mai visto.

Ti prego Elizabeth, speravo almeno in uno più interessante.

Serro la mascella e ingoio la notizia, non sono cose che mi riguardano. Torno a guardare la ragazza accanto a me, le porgo la mano e accenno un sorriso malizioso «Sono Nathan Walker, con chi ho l'onore di pranzare?» gli occhi fissi nei suoi «Sono Amber Collins, finalmente ci conosciamo» si sporge verso di me per stringermi la mano, il sorriso enorme le fa arricciare gli occhi. Sento gli occhi di Elizabeth su di me, so che mi sta guardando, so riconoscere il calore che provoca alla mia pelle «Sì, finalmente» lascio la mano di Amber e sorrido facendole l'occhiolino. Mi volto per un secondo a guardare Elizabeth, lei sta facendo lo stesso ma del sorriso di cui vi parlavo poco fa non vi è più traccia.

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PER TUTTI I LETTORI, SÍ... PROPRIO PER TE

Ti ringrazio per essere arrivato fin qui, anche il capitolo undici è terminato.

La vostra opinione per me è molto importante e sarei molto contenta di sapere cosa vi piace e cosa invece non vi piace di questo capitolo e della mia storia in generale. I vostri consigli mi aiuterebbero a migliorare.

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Tornerò presto con un nuovo capitolo, stay tuned ! 👋🏻

Profondi come il mareWhere stories live. Discover now