CAPITOLO 37 - NATHAN

170 32 56
                                    

Andrew ed io ci siamo presi a pugni fino a esaurire la collera, senza dosare la forza, come due bambini rabbiosi incapaci di risolvere un conflitto esclusivamente tramite le parole.

Volevo farlo ragionare, spiegargli che non era mia intenzione ferirlo, che mentirgli è stato inevitabile quanto scorretto, che certe cose accadono e basta ed è impossibile controllarle, che ho combattuto per anni l'attrazione enorme che ho per sua sorella, che si è infilata nella mia testa quando ho posato gli occhi sulla sua figura leggera e luminosa per la prima volta e già allora sapevo come sarebbe finita, ma è stato inutile. Non ne ho avuto il tempo.

Volevo dimostrargli che non sono lo stronzo che crede, che non le farei mai del male perché sarebbe puro autolesionismo, che lei è il primo raggio di sole che riesce a squarciare anni di tempesta, che solo grazie alla sua dolcezza ho compreso che posso essere felice anch'io, che posso tornare quello di un tempo.

Volevo che mi capisse, che almeno mi ascoltasse, che mi concedesse il beneficio del dubbio, ma non è andata così.

Si è coperto di rabbia, la sua risata mi ha schiaffeggiato ferendomi molto più delle sue nocche ruvide contro il mio zigomo, le sue parole si sono abbattute su di me con la forza di un'uragano, mi hanno attraversato con la rapidità e l'impeto di un fulmine colpendomi proprio al centro del petto. Folgorato, distrutto e mandato in blackout.

D'un tratto il mio autocontrollo si è sgretolato, nelle orecchie solo il ronzio ovattato del mio respiro corto e pesante. Nella mia testa confusa una nebbia fitta e densa ha anestetizzato l'ultima goccia del mio già limitato buonsenso mentre il veleno, di cui s'erano intrise le sue parole, mi ha intossicato il sangue diffondendosi rapidamente in circolo. Davanti, attorno e dentro di me, il niente.

A scandire i secondi del nostro scontro, animato da delusione e sopito risentimento, solo rabbia, silenzio e il rumore sordo e secco dato dalla collisione dei pugni contro il viso. Il mio, forse il suo, entrambi, non ve lo so dire.

Si è creata in pochi istanti una crepa insanabile nella nostra storica alleanza. A farmi smettere, rinunciando così alla nostra stupida e infantile dimostrazione arcaica di forza, sono state le suppliche disperate di Elizabeth che si sono infilate, a fatica, nel buio assoluto che monopolizzava la mia mente.

A fermare la collera dilagante di Andrew, invece, l'arrivo tempestivo di Alena e John, in piedi esattamente al centro tra me e lui. Solo in quel momento ho trovato il coraggio di guardarla.

I suoi occhi colmi di lacrime, il disprezzo che ho visto nitidamente riflesso appena sono riuscito a metterla bene a fuoco, l'impotenza che le ha arricciato la fronte e piegato in basso le labbra, mista alla sua amara rassegnazione, mi ha riportato alla realtà.

L'ho fissata senza muovermi di un millimetro, avrei voluto stringerla per cancellare subito quell'espressione cupa dal suo viso perfetto e malinconico.

Perdonami Beth, non volevo che andasse così. È stato lui a provocarmi, a infilare il dito in una piaga che non ha mai smesso di sanguinare, a tradire la stima e l'affetto di una vita costruita, seppur a fatica, fianco a fianco, come fratelli.

A quel punto non ho potuto evitare di fargli provare lo stesso schifo che mi aveva appena avvelenato, ricambiare la cattiveria che mi aveva fatto ribollire il sangue quando anche lui, proprio lui, m'aveva catalogato con la ferocia e il cinismo di un estraneo qualunque.

«È possibile che con voi due tutto vada sempre a finire così?» dice guardando con glaciale distacco entrambi, la sua voce s'incrina mentre le lacrime scendono copiose bagnandole le guance.

«Nel caso non ti fosse chiaro questa è la mia cazzo di vita!» dice rivolta solo a suo fratello, nel mare in cui annegano i suoi occhi brilla una rabbia ardente che paralizza anche lui «chi scelgo di frequentare non sono affari tuoi» conclude dura con un tono più basso, molto più freddo.

Profondi come il mareWhere stories live. Discover now