CAPITOLO 40 - NATHAN

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Mi sono allontanato dalla Walker Enterprises a passi lunghi e controllati, senza fretta.

La rabbia cocente che fino a un attimo prima m'incasinava il cervello si è ghiacciata cedendo il posto a un silenzio carico e opprimente, rotto esclusivamente dai colpi ritmici e pesanti delle mie falcate sull'asfalto. Mi sono sentito apatico, completamente prosciugato, un involucro vuoto.

Niente collera, niente delusione, niente rumore: niente di niente. Insolito per chi, come me, perde il senno per molto meno.

Una volta raggiunta la mia automobile sono sprofondato contro il sedile in pelle scura, solo in quel momento ho notato di tenere i pugni ancora stretti e il respiro irregolare.

Ho dato un'occhiata alla mia immagine riflessa nello specchietto retrovisore interno: ho la mascella tesa, gli occhi troppo lucidi e il cuore pateticamente esposto. Ma quando mi sono ridotto così?

L'immagine di Elizabeth, incastrata alla perfezione nel mio schifosissimo quadretto di famiglia, torna a sbeffeggiarmi con prepotenza. La tranquillità con cui è uscita dallo studio di mio padre, le sue dita attorcigliate a quelle della sorella che nemmeno sapevo di avere e il fatto che in questi anni sia stata ai miei occhi sempre purissima e scintillante, quasi impeccabile, sono lo scoppio di una reazione a catena a questo punto inarrestabile.

Sebbene un attimo prima regnasse sovrana un'indifferenza quasi totalizzante, ora la scena s'è invertita. Voglio farle del male, dividere con lei la voragine dilagante che mi squarcia il petto. Trascinarla a fondo come tutti s'aspettano, vestire a pieno i panni dell'egoista che, a conti fatti, so di essere.

Voglio rovinarla irreparabilmente come lei ha fatto con me, che a causa sua non sarò mai più in grado di amare qualcuno senza prima vedere e cercare, ossessivamente e in ogni dettaglio, il colore dei suoi occhi, il suo sorriso, la sua sconfinata bellezza.

Che poi se ci penso bene, in effetti, il dolore, così come il rumore, la solitudine e il silenzio, sono mie fedeli compagne di vita da sempre, che m'inseguono non è una novità.

Fanno parte di me, così come la rabbia e questo pulsante bisogno di vendetta che mi ha reso l'uomo di merda che ero e sono, soprattutto oggi. Sono uno stronzo full optional.

Eppure pensavo che con Elizabeth fosse diverso, che io, grazie a lei, fossi finalmente diverso.

Pensavo che lei vedesse oltre. Oltre l'egoismo, oltre le parole sempre a doppio taglio, oltre il peso di una famiglia problematica e inesistente che ancora m'insegue. Oltre l'immagine che gli altri hanno costruito per me, donandomi una maschera impenetrabile dietro cui nascondermi, senza fatica, per anni.

Pensavo vedesse semplicemente Nathan, pensavo addirittura mi amasse proprio così come sono: storto, egocentrico ma incondizionatamente suo.

Pensavo non mi temesse. Invece anche lei, proprio come suo fratello e tutti gli altri, ha ceduto al pregiudizio, a quello che si dice di me quando sono coinvolte persone per cui non mi animo. A quello che faccio quando il dolore è troppo da sopportare e perdo di vista il confine tra giusto e sbagliato.

Mi ha rifilato un mare di bugie per non farmi infuriare quando è proprio la verità l'unica cosa che da sempre bramo e cerco.

Ho arrancato a fatica, per tutta l'adolescenza, sommerso e illuso dalle menzogne di mio padre, sperando sempre di sbagliarmi, sperando ogni volta che fosse l'ultima. Beth ha affondato le dita in una crepa antica e insanabile, paga lo scotto di una ferita ancora aperta.

Non dico che l'avrei presa bene, sarei un ipocrita, ma c'avremmo ragionato, ne avremmo almeno parlato. Sono certo che, seppure a fatica, avremmo trovato un compromesso, insieme. L'avrei fatto, per lei.

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