CAPITOLO 28 - ELIZABETH

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Quando il sole penetra dalla finestra socchiusa alla mia sinistra carezzandomi la faccia con il suo calore mi sento come in un déjà-vù. Nulla è cambiato se non l'aver preso piena consapevolezza dei miei sentimenti per il particolare esemplare di uomo che dorme tranquillo con la testa poggiata sul mio petto. Siamo esattamente al punto di partenza.

A differenza di una settimana fa le immagini nitide della notte infuocata appena trascorsa che si ricompongono pian piano nella mia mente assonnata non mi fanno venir voglia di scappar via ma solo di stringere le gambe.

Non so dire se sia stata la bottiglia bevuta la sera prima o il fatto di non averlo visto per una settimana a rendere tutto più dolce del solito tra di noi ma il modo in cui ha sussurrato con la voce rotta il mio nome mentre il suo corpo si fondeva perfettamente con il mio continua a riecheggiare in ogni parte del mio corpo increspandomi la pelle nuda.

Per un attimo, forse il tempo di un sospiro, siamo diventati tutt'uno e ho sentito chiaramente il suo bisogno di appartenere a qualcuno. Ho sentito il dolore, la solitudine e l'irrequietezza che lo perseguitano allentare la presa su di lui per lasciarlo andare. Ho sentito qualcosa cambiare.

Mentre varcavo la porta di casa tra le sue braccia ho pensato a quanto dev'essere stato difficile per uno come lui che da sempre utilizza le parole per tenere le distanze con il mondo dire ad alta voce un semplice "resta". 

Lo osservo con attenzione: i capelli neri scompigliati, il taglio scolpito del naso e l'angolo preciso della mascella che si poggia sul mio seno lo fanno sembrare un bambino. È così dolce e angelico che fatico a trattenere una risata. È proprio vero che l'apparenza inganna.

Deve aver avvertito le vibrazioni quasi impercettibili del mio petto perché si muove piano e apre lentamente gli occhi affondando meglio il viso sul mio seno ancora scoperto. Arrossisco violentemente quando realizzo che potrebbe non ricordare niente della notte appena trascorsa o peggio ancora mandarmi via cancellando in un attimo ogni gesto e ogni parola della notte precedente. Trattengo il fiato fingendo una tranquillità che non esiste. Ci risiamo.

«Cos'è che ti fa andare a fuoco Elizabeth?» la voce roca di Nathan mi arriva languida all'orecchio incendiandomi ancor di più le guance. Passa le labbra sulla mia mandibola e inspira a fondo. 

Tu, sei tu che mi fai andare a fuoco.

«Non sto andando a fuoco» dico deglutendo a fatica, afferro l'orlo del lenzuolo per coprirmi mentre uno strano formicolio s'insinua sotto la mia pelle. Arriverà il giorno in cui smetterà di farmi quest'effetto? 

«Posso usare la tua doccia?» sono le uniche parole sensate che riesco pronunciare per tirarmi fuori da questa situazione imbarazzante e non pensare alla sua bocca che si posa di nuovo sulla mia pelle. La paura che ritorni in sé da un momento all'altro e mi mandi via mi attorciglia lo stomaco. Non sono pronta a ripetere tutto da capo.

«Hai scelto fuga?» ride appena poi si allontana per stiracchiarsi un po'. Sì, ho scelto fuga.

«Fa come se fossi a casa tua» aggiunge indicando la porta del bagno poco distante da noi. Deve aver percepito la mia preoccupazione perché si fa serio, segue ogni mio movimento mentre con non poca fatica cerco di alzarmi dal letto completamente avvolta nel lenzuolo, sussurro un "grazie" poi mi volto e mi avvio verso il bagno.

Il cigolio del letto seguito dalle sue dita fredde che mi sfiorano la schiena seminuda interrompe la mia marcia della vergogna. È dietro di me, il suo respiro tiepido colpisce il mio orecchio ancor prima che il cervello dia l'impulso che permette alle mie gambe di tenermi in piedi.

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