Hot Drink

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Amber

Ero su un aereo. Un maledetto aereo di nuovo.
Una vola scesa dal taxi ero entrata talmente in confusione che ho fatto un biglietto aereo senza neanche controllare che fosse per il volo giusto.

Sento la vecchia me tornare a galla. Per un attimo mi dimentico dell'evoluzione che ha subito la mia vita nell'ultimo periodo. Sono di nuovo me, quella ragazza in fuga dalla sua famiglia e dal segreto di Luke.

È come avere un flashback.
Uno di quelli in cui to tornando a casa e Simon non mi è ancora successo.
In cui ancora odio mio padre, ma la speranza che possa essere migliore di quello che sembra è ancora viva.

Tutto questo mi paralizza. So che non è così, che la realtà è diversa, ma una piccola parte di me vorrebbe attaccarsi a questo ricordo, vorrebbe sperare in qualcuno nell'universo che sia pronto lì ad avvolgere il tempo. Solo per questa volta, prometto di mantenere il segreto.

Eppure non succede niente.
Sono Amber, quella persona che ho voluto essere da così tanto tempo su un aereo verso il mio passato.

Molto da Leony, incasinare tutto, riaprire tutte le ferite. Per cosa.

Meeko.

Dice una voce bugiarda nella mia testa, che mi fa realizzare che forse la persona che avevano dipinto mio padre è Simon non era poi così surreale. Ero colpevole. Stavo tornando indietro per uno stupido capriccio, avevo rovinato la vita di così tante persone. Ero colpevole di aver ucciso Simon, vero o finto che sia, costretto la mia famiglia a vivere all'ombra. Pensavo di essere stata coraggiosa.
Di aver fatto il meglio.

La realtà è che ero stata egoista, avevo provato ad ottenere la vita dei miei sogni, a pretendere di essere qualcuno che non potevo essere.

-Signorina tutto bene?-

Guardai pietrificata la Hostess davanti a me, che sorrideva ignara della mia pericolosità.

Continuai a fissarla per qualche secondo prima di riprendere il mio sguardo verso il vuoto.

Fu in quel momento che mi accorsi di quello che stava accadendo.

-Ei ma cosa sta facendo!-
Mi brució la gola.

Avevo afferrato quello che uno Stuart aveva tra le mani sperando fosse qualcosa di estremamente forte, invece si rivelò essere caffè, e anche abbastanza caldo.

Sputai quello che non avevo ancora ingoiato.
-Cosa sta facendo!-
Urlò la signora davanti a me.

Corsi il più velocemente possibile verso il bagno.

Correre su un aereo, non credo sia permesso.
Bisogna fare i conti con i corridoi stretti.
Con la gente.
E le turbolenze.

Ma quando hai la gola ustionata non pensi a tutto questo.

L'aereo sbandò e finii sull'Hostess davanti a me che inciampò.

-Che cazzo!- urlò.

E non mi importava più dell'ustione di terzo grado del mio esofago, nè di avere i vestiti coperti di macchie di caffè, nè di essere una latitante.

Il mio egoismo aveva una voce, una cazzo di voce.

Con lo sguardo andai oltre all'hostess.
E per la prima volta vidi il mio riflesso.

Stava lì incazzato, con gli occhi tristi a cercare di ripulire qualunque cosa la Hostess avesse fatto scivolare sul suo vestito.

La ragazza passò al mio fianco, lanciandomi fulmini e saette con lo sguardo.

Non so perchè ma lo feci.

Allungai una mano e la passai tra i suoi capelli.
Molto più corti di quello a cui ero abituata.

Wade era come paralizzato, non mi guardava neanche.

Lo vidi e lo riconobbi, quel ragazzino impaurito a cena a casa di estranei con il suo papà. Un uomo che è schiavo del sistema.
Che pur non sapendo come fosse l'amore mi aveva amata, e urlato il mio nome fino allo svenimento, combattuto per me nonostante gli avessi sparato in petto.

Abbandonai quell'ultimo briciolo di ragione che mi era rimasta nella zucca e lo abbracciai. Come si abbracciano i bambini.

Chiusi gli occhi.
E mi abbandonai, a lui.

Wade non si mosse, non disse nulla, era pietrificato.

****

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