Face on

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Wade

Muovevo nervosamente la mano sul sedile.

- Non dovrai mai dire il tuo vero nome. Quella persona ormai non c'è più. Tu sei Simon, ricordalo.-

Ripetè mio padre sul sedile accanto al mio.

Wade-Wade-Wade-Wade-Wade-Wade.

Quello era il mio nome non Simon.

Non sarei mai stato uno stupido Simon, vestito come un pinguino.

Lo odiavo.

Non sarei mai stato come lui.

Guardai fuori dal finestrino, la nuova casa almeno era bella. Aveva un giardino, magari avrei potuto prendere un cane. Mi sarebbe tanto piaciuto averne uno.

-Siamo arrivati- disse mio padre con il tono che riservava solo a me.

Io lo avevo visto essere gentile. Con la mamma era gentile, prima che lei se ne andasse. Al lavoro tutti volevano essere come lui.

Prima che la mamma andasse via, pensavo che lui fosse un supereroe. Un Supereroe senza nome. Che poi tutti i supereroi, devono nascondere la propria identità, forse anche io un giorno sarei diventato uno di quelli.

Questa sarebbe stata la mia nuova vita, una vita che odiavo, la nuova casa mi piaceva, ma avrei odiato tutto. Non avrei mai amato qualcosa, solo perché lui mi imponeva di farlo.
Mi sarei ribellato.
Ero come la mamma io.

Chiusi gli occhi e cercai di mettermi comodo sul sedile. Un'altra volo transoceanico a distanza di qualche ora dall'atterraggio. Era un nuovo record.  Tutto quanto solo per un briciolo di verità, che non avevo neanche ottenuto. Strinsi le dita ai braccioli delle minuscole poltroncine, cercai di allentare la pressione.
La mia vita era stata un'immensa farsa e bugia, e Leony la più grande di tutte.
Pensavo che arrivati alla fine sarebbe stata sincera almeno.
Ora invece nella mia mente era lì affianco a mio padre.
Le due delle tre persone che non avrei mai perdonato.

Il risentimento più grande lo avrei sempre avuto nei miei confronti, mi odiavo per quello che non avevo mai avuto il coraggio di essere.
Tutti i volti che ero stato costretto ad assumere avevano avuto la meglio su di me.
Alla fine c'ero riuscito a diventare un Supereroe.
Ero diventato invisibile.
Vuoto.
Inutile.
Un manichino al servizio di qualcun altro.

E se non fosse stato per mia madre, mi sarei lasciato andare, oh si se l'avrei fatto.

Sorrisi.

Non meritavo neanche di morire, la mia punizione era vivere, sopravvivere come la nullità che ero.
Finalmente lo avevo accettato.

Le lacrime iniziarono a rifarmi il volto. Ma non mi importava. Continuai a stringere gli occhi, nella speranza che passassero.
Io che non avevo mai pianto.
Io che ero acciaio indistruttibile.

Avevo passato la mia vita a cercare di non essere solo, per poi ritrovarmici per evitare di trascinare le poche persone a cui volevo bene nel mio stesso baratro.
Ma questo era il mio destino.

Non potevo essere amato, non potevo amare.
Eppure tutto questo mi dilania, mi toglie l'aria.

Avrei lavorato, continuato a fingere per il resto della mia vita, pregato che qualcuno peggio di me sarebbe venuto a strapparmi da questo mondo.

Sentii l'aereo staccarsi da terra e abbandonai la testa sul sedile.
Ricominciai a respirare.

-Tutto bene?- sentii una voce.

Non mi importava, che si fottano tutti, lo stare bene non era più un mio diritto.
Aprii un occhio.

-Mi porti qualcosa di forte- abbaiai.

Almeno l'alcool mi sarebbe rimasto vicino.

Chiusi gli occhi, stringendolo il più possibile. Ero capitato nella fila di mezzo.

Maledetta business class.
Circondato da infanti urlanti e altrettanti genitori rumorosi.

Che cazzo.

Arrivò il calice che avevo ordinato.
Lo ingurgitai prima di passare la mia carta di credito alla Hostess.

-Un'altro- dissi fra i denti.

Prima che lei potesse sorridermi.
Era una bella ragazza, ma al momento per me sarebbe contata meno della tappezzeria su cui ero seduto.

Take a lieWhere stories live. Discover now