LIV: Un'ultima speranza

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"Sono a Feluss."

Le tre parole pronunciate da Mistiss, un rincorrersi di sillabe netto e veloce, fecero piombare tutti nella disperazione. A Lögi mancò il fiato nel realizzare che le loro speranze, già molto flebili, fossero sostenute da un filo sottilissimo, nonostante tutti gli accorgimenti, i piani e le lunghe giornate trascorse a prepararsi – nulla, non erano valse a nulla.

Winloas si piegò in due con un gemito disperato, il volto scavato dal dolore e la consapevolezza di essere sull'orlo della sconfitta. Anche Litthard, di solito così calmo, era sbiancato e tremava, tanto che la mano faticava a sostenere il fiammifero per accendere la pipa.

Mistiss, d'altro canto, rimase immobile, gli occhi velati da una patina lucida e il viso reso ancora più pallido a contrasto con la cascata di capelli che lo incorniciavano; davanti a lei stava il tavolo su cui crepitavano ancora gli incensi e si trovava un disegno di sabbia e sangue, del quale gli intrichi le avevano rivelato la sorte del gruppo andato verso la capitale. Con lentezza, rompendo l'atmosfera cristallizzata, la lamia guardò un'altra volta ciò che aveva attenuto, quasi nella speranza che sarebbe bastato aspettare ancora un attimo per mutare il responso, ma la smorfia che le deturpò l'espressione confermò ciò che aveva appena detto: i cinque erano già a Feluss, forse liberi, forse già catturati.

"Potremmo fare ancora qualcosa" disse Lögi. "Non è tutto perduto."

"Cosa vorreste fare?" gli rispose Mistiss, passandosi una mano coperta dalle rune tra i capelli. Non aggiunse altro, ma lui non poté fare a meno di pensare che una simile domanda ne sottintendesse un'altra più caustica: cosa potreste mai fare voi?

Scacciò una simile sensazione e si avvicinò alla giovane, alla quale sfiorò la spalla nascosta dalle pieghe dell'abito. "Abbiamo un esercito" disse, alzando con le dita il mento dell'altra, così da costringerla a guardarlo negli occhi. "Nonché dei draghi. Continuiamo la nostra marcia su Feluss."

Mistiss piegò le labbra in un sorriso amaro. "Chi lo guiderà?" domandò, incapace di trattenere la rabbia. "Voi? Un parricida che i più desiderano morto?" Scivolò via dalla sua presa per voltarsi verso gli altri uomini. "O forse un debole re traditore?" chiese, facendo un cenno verso Winloas. "Altrimenti, la scelta potrebbe cadere sul secondo di Mano Rossa, no? Un uomo inadatto al comando, che non possiede nemmeno una scintilla del carisma di Taron."

Nessuno ebbe la forza di replicare, mentre la voce le si incrinava sul nome del compagno. "L'ho ucciso" mormorò, chiudendo gli occhi. "Lui mi ha salvata e io l'ho ucciso."

Si mise a piangere in silenzio, le lacrime che disegnavano umidi percorsi lungo il viso, perdendosi nella bianca pelle. Lögi non riuscì a guardarla, sentendosi un intruso davanti a un dolore così personale e intenso che gli era impossibile da comprendere, e si concentrò sugli altri due uomini, ancora cristallizzati nelle medesime posizioni; pareva che gli insulti di Mistiss non li avessero neppure sfiorati, e sentì montargli in corpo una furia cieca, che gli afferrò la gola e lo portò a ringhiare nel tentativo di non urlare.

"Davvero?" domandò a denti stretti, afferrando lo schienale di una sedia fino a far sbiancare le nocche. "Volete arrendervi? Volete gettare alle spine tutto ciò che abbiamo fatto finora?"

"La lamia ha parlato bene" sussurrò Winloas. "Non possiamo farcela."

Lögi strinse ancor di più la sedia, a un passo dal sollevarla per lanciarla. "Come os..."

"Cos'è accaduto?"

Tutti e tre si girarono verso l'ingresso della tenda, sul quale si stagliava la figura di Peeke, dall'aria trafelata e trattenuto da guardia. "E lasciatemi, dico" continuò il dragoniere, strattonandosi. Fu però necessario un cenno di Winloas per mettere fine alla pantomima.

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