V: Rose nere

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Nonostante fosse passata più della metà dei suoi stessi anni, Nives ricordava ancora la notte in cui era stata abbandonata.

Erano gli ultimi giorni di primavera e il caldo era già così insopportabile da costringere gli uomini e le donne della Città Vecchia a chiudersi nei loro palazzi, oppure a farsi trasportare fino alle rive del fiume, disegnando in tal modo una lunga processione di carrozze multicolori. Al contrario, gli abitanti della Cittadella costretti a lavorare languivano sotto i raggi del sole, mentre i più fortunati si rifugiavano presso le fontane, ostacolando il lavoro delle lavandaie; spesso, le discussioni tra le due fazioni degeneravano in lotte dove l'acqua faceva da padrona.

In particolare, però, Nives ricordava l'odore penetrante delle fragole appena maturate, rosse come il naso del padre quando tornava a casa dopo una lunga giornata trascorsa nelle risaie sotto il sole impietoso. Rimembrava anche le voci che passavano di bocca in bocca tra i bambini con cui giocava per strada: i nobili erano in subbuglio, sia per le condizioni della moglie del Governatore, aggravatesi ancora una volta, sia per il fatto che Everett pareva aver scoperto dove si fossero rifugiati gli ultimi dragonieri scampati alla guerra.

Quell'ultima sera aveva chiesto a suo padre cosa fossero i dragonieri. Lui l'aveva guardata con gli occhi verdastri a brillare sul viso abbronzato e poi l'aveva fatta accomodare sulle ginocchia per scompigliarle i capelli.

"Dei semplici uomini" le aveva risposto infine, grattando una delle tante punture di zanzara che aveva sulle braccia.

"E allora perché non piacciono a Everett?" aveva domandato curiosa. Non era mai riuscita a capire cosa avessero fatto di così terribile per meritarsi l'odio di tutta la regione.

"Perché sono stati capaci di domare le due più grandi forze di questa terra: i draghi e il gelo."

Nives era rimasta perplessa. Draghi non ne esistevano quasi più e le avevano detto che i pochi rimasti si erano rifugiati verso sud, sulle isole, e non riusciva a comprendere come fosse possibile soggiogare il freddo. Forse indossando delle pantofole molto calde?

Suo padre si era rifiutato di rispondere alle altre domande con cui l'aveva tartassato e, dopo averle dato un bacio in fronte, l'aveva portata a letto e coperta col lenzuolo, facendo prima finta di essere in mezzo a una tempesta che lo scuoteva fin nelle ossa; coi suoi versi era riuscita a farla ridere fino alle lacrime. Anche sua madre era venuta a darle la buonanotte e le aveva accarezzato i capelli, di un rosso simile al suo, fino a quando non si era addormentata.

La mattina successiva non li aveva più trovati.

Quando si era resa conto che, oltre a lei, erano rimaste solo le fragole raccolte il giorno precedente dalla piantina che tenevano sul davanzale, aveva sentito un freddo pungente risalirle nelle vene. Fuori dalla baracca di legno, la vita di Myrer aveva continuato a scorrere: le lavandaie si erano dirette alle fontane, cariche di nuovi panni, gli uomini erano andati nelle risaie e i bambini avevano iniziato a giocare per le strade.

Nei momenti peggiori, come le lunghe ore della notte in cui non riusciva a prender sonno, le capitava di chiedersi per quale motivo se ne fossero andati, perché avessero deciso di farle soffrire la solitudine. Si attendevano un destino talmente orribile da preferire lasciarla nelle salde e amorevoli mani delle Guardiane? Oppure, la terribile realtà era che non l'avevano mai amata.

"Orfana!" sibilò un guardiano, strappandola dai ricordi. "Procedete più svelta." Accompagnò le parole con una piccola spinta, che la costrinse a riprendere il passo seguito dalle compagne.

Nives tornò a concentrarsi su ciò che le stava intorno - il sentiero fangoso che le sporcava l'abito, il gelo che le mordeva le guance, la sua voce che seguiva senza alcuna reale attenzione la litania funebre - e si lasciò sfuggire anche un'occhiata rapida alla ragazza mandata a sostituire Regn. Le Guardiane, infatti, avevano provveduto nottetempo a riempire il posto vacante con una nuova fanciulla, così giovane in mezzo al resto delle benedette; a vederla, col corpo ancora goffo e i tratti fanciulleschi, pensò avesse tre o quattro anni meno di lei. Continuò a osservarla sottecchi, guardando i corti capelli chiari, le orecchie a sventola e i grandi occhi azzurri e slavati pieni di lacrime, per poi soffermarsi sulle mani ruvide e rosse tipiche delle lavandaie. Dovevano averla scelta perché le orfane ancora sotto la loro protezione erano troppo piccole, mentre le giovani liberate o erano già promesse, oppure erano troppo rovinate dalla povertà.

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