Io mi morsi la lingua sapendo dove lo specializzando di neurologia sarebbe andato a parare e non mi stupii affatto di sentir la sua voce:- Dolcezza, che ne dici di fare un paio di prelievi ai miei pazienti? C'è tutto l'occorrente nella sala infermieri. Ecco la lista.-

Senza possibilità di ribattere annuii prendendo il foglietto che mi porgeva con il numero delle camere da visitare, e mi avviai verso il mio destino.

Al di là dei compiti ingrati che mi aveva rifilato il "quasi" neurologo, mentre uscivo con l'occorrente dalla sala infermieri, constatai di essere davvero felice che quella mattina avessimo finito la presentazione. Lavorare con Alessandro non era stato poi così male, dopo quei piccoli chiarimenti: aveva un umorismo piccante, ma sapeva anche trarre il meglio dalle cose, senza lasciarsi abbattere.

Fu mentre pensavo a queste cose che effettuai quasi tutti i prelievi, fino a dirigermi verso l'ultimo paziente. Entrai nella stanza duecentoquarantadue, dove un uomo sulla cinquantina steso a letto, mi fissava un po' inquietantemente dentro la sua vestaglia bianca. Non era insolito, soprattutto in caso di malattie degenerative cerebrali, vedere i pazienti un po' allarmati al proprio ingresso in stanza, poichè alcuni spesso non riconoscevano l'ospedale come luogo familiare e vivevano le attività di reparto come uno stress.

-Buongiorno, sono qui per i prelievi. Stia tranquillo, faremo in un attimo.- spiegai meccanicamente con gentilezza, poggiando il vassoio con le provette e gli aghi sulle sue gambe.

-Mi dia il braccio per favore...- mormorai ancora avvicinandomi a lui e questi, sebbene avesse lo sguardo preoccupato, allungò il braccio destro verso di me.

-Perfetto!- dissi estraendo il laccio emostatico dalla tasca e passandoglielo attorno al bicipite – Ora vedremo se ha delle belle ven...-

Non feci in tempo a finire la frase che il paziente con uno scatto fulmineo, mi afferrò per il collo.

-Tu non mi inietterai il veleno!- gridò furioso e spaventato insieme.

Io portai le mani al suo braccio per allentare la stretta e feci due passi indietro, ma quello con furia si alzò dal letto per impedirmi di andarmene, facendo cadere il vassoio con un tonfo assordante.

-Signore... si calmi...- mormorai con voce spezzata.- Non volevo iniettarle nulla... era solo un...-

Sentii la sua presa sulla mia gola farsi più forte e l'ossigeno per parlare prese a mancarmi. In pochi attimi anche la vista prese ad annebbiarsi e mentre riflettevo su quanto ci avrei messo a svenire, percepii delle grida nel corridoio e dopo un'istante la presa dell'uomo arrestarsi.

Caddi indietro a terra, incapace di sorreggermi, prendendo a respirare affannosamente.

Sentii una donna parlare gridare con ansia:- Dobbiamo sedarlo!-

-No! Riesco a tenerlo, chiamate Rosie!-

Quella voce mi era decisamente familiare, e mentre i miei occhi riprendevano a mettere a fuoco notai una tuta verde trattenere per le braccia il paziente a letto.

-Chiamate Rosie...lei riuscirà a calmarlo!- urlò ancora.

Mentre mi portavo le mani alla gola arrossata, vidi l'infermiera dall'aria materna entrare preoccupata in camera.

- Gustavo! Cos'hai combinato?- lo sgridò avvicinandosi ad Alessandro.

L'uomo nel vederla sembrò ritrovare il lume della ragione, perché benchè ancora trattenuto dallo specializzando, riuscì a parlare:- Rosie, aiutami! Volevano avvelenarmi! Quel soldato voleva...-

-Gustavo sei in ospedale, non c'è nessun soldato! Nessuno vuole avvelenarti!-

-Mi sta intrappolando! Mi fa del male vedi?- gridò ancora provando a liberarsi dalle braccia del mio Tutor.

Primum non nocereWhere stories live. Discover now