La sensazione di essere osservata, il fatto che la vittima fosse la commessa dell'unico negozio in cui era entrata, il fatto che lei avesse trovato il cadavere, e poggiato proprio affianco all'auto di Maddy. Niente di tutto ciò faceva pensare ad uno sfortunato inconveniente o ad una semplice coincidenza, e il dubbio le faceva venire i brividi. Sembrava quasi che l'artefice dell'omicidio volesse in qualche modo attirare la sua attenzione, o magari spaventarla, ma era una supposizione totalmente assurda! Cosa mai avrebbe potuto volere un assassino da una ragazzina? Eppure, Erika non poteva fare a meno di pensarci.

Temeva che chiunque avesse provocato quel casino avrebbe potuto prendersela anche con la sua amica, o con la sua famiglia, e non avrebbe mai permesso che ciò accadesse.
In lontananza, Erika vide avvicinarsi l'auto dei suoi genitori, e non le serviva vedere la faccia di sua madre per prevedere che una volta arrivata avrebbe fatto una scenata isterica davanti ai poliziotti, in fondo la conosceva come le sue tasche.

E infatti, quando finalmente parcheggiarono, fu la prima ad uscire dalla macchina. Si scaraventò sulla ragazza come una furia e la strinse tra le braccia in un gesto disperato.
«Erika, piccola mia, mio Dio che spavento che mi hai fatto prendere! Stai bene?!» Urlò a raffica, rafforzando la presa. La sua voce era incrinata dal pianto e ricolma di preoccupazione, ma anche estremamente sollevata nel sapere sua figlia viva e vegeta.

«Sto bene, mamma...» Sussurrò lei appena, ricambiando debolmente l'abbraccio. Nel mentre, anche suo padre e suo fratello le vennero incontro con aria preoccupata e sconvolta, e dato che i suoi genitori erano troppo impegnati ad assicurarsi che Erika stesse bene, fu Alex a pensare alla sua amica.
«Va tutto bene, Maddy?» Le chiese gentilmente, e in un gesto del tutto istintivo le passò persino una mano sulla guancia per confortarla. La mora arrossì al tocco del ragazzo, ed Erika li guardò incantata, tanto che, in mezzo a quel caos, le scappò finalmente un sorriso.

Maddy aveva una cotta per suo fratello da anni, eppure si ostinava a nascondere i suoi sentimenti senza alcuna ragione. Mentiva a se stessa continuamente, anche se era evidente. Nel profondo, Erika sperava che un giorno sarebbe riuscita a confessargli il suo amore, perché non c'era cosa che l'avrebbe resa più felice di sapere insieme la sua migliore amica e il suo adorato fratellino. Inoltre, era abbastanza palese che lui provasse le stesse cose, lo si notava dai sorrisi che le riservava, dalla dolcezza del suo tono di voce, dall'accortezza che aveva nei suoi confronti.

La ragazza si riscosse dai suoi pensieri solo quando le forti braccia di suo padre la avvolsero con estremo sollievo.
«Mi dispiace tanto, Erika, ti avevo promesso che avremmo passato la giornata insieme e...» Fece una breve pausa e sospirò pesantemente contro la sua spalla, «Ho permesso io che finissi in questo guaio, ma sono felice che tu stia bene, tesoro mio...» Aggiunse poco dopo, e sciolse l'abbraccio per sorriderle.

Suo padre era forse la persona più saggia e razionale che che conoscesse, ogni parola che usciva dalla sua bocca era sempre pacata e giusta, ed Erika proprio non si aspettava di cogliere tutta quella paura e quel senso di colpa negli occhi di un uomo come lui.
«Non è assolutamente vero, papà, tu non hai nulla di cui rimproverarti, quindi cerchiamo semplicemente di non pensare più a questa storia. Sto bene, sono viva e vegeta, non serve che voi vi addossiate colpe che non vi appartengono...» Esclamò la rossa con serietà, rivolgendosi anche agli altri.

«Come vuoi tu... - Sorrise il padre - Allora che ne dite se adesso ce ne torniamo a casa? Siamo tutti abbastanza scossi, ci serve riposo, e tu non preoccuparti, Maddy, puoi pranzare a casa nostra! Ho avvertito io i tuoi genitori dell'accaduto, si sentono più sicuri a saperti con noi.» Propose poi.
«Temo che dovrete rimandare il vostro pranzo di famiglia ancora per un po', signor Miller.» Una voce rauca attirò all'improvviso l'attenzione dei presenti, che posarono gli occhi sul Detective che si avvicinava loro.

«Sono il Detective Elphas Jhonson, del dipartimento omicidi. Avrei bisogno di fare due chiacchiere con la ragazza che ha rinvenuto il corpo della vittima, è possibile?» Domandò pacato ai genitori, ed Erika fu quasi in grado di vedere il fumo uscire dalle orecchie di sua madre, che come volevasi dimostrare, partì subito all'attacco.
«Mia figlia non ha niente da dire, né a lei, né a chiunque altro in questo stupido posto! Voi poliziotti non dovreste supervisionare le strade?! Questo guaio è scoppiato per la vostra disattenzione ed è colpa vostra se adesso la mia bambina ne paga le conseguenze!» Sbraitò contro l'uomo come una furia, ma lui non si scompose, aveva la rigidità di un militare.

«Signora, si calmi, va bene? È una semplice formalità, ci servono tutti gli indizi possibili per identificare l'assassino. Se sua figlia non ha niente da nascondere, lei non ha niente di cui preoccuparsi.» Il suo tono era duro e molto serio, quasi metteva i brividi.
La donna continuò ad inveire contro il poliziotto, anche se il signor Miller cercò di calmarla in ogni modo. Il detective però non la stava più ascoltando, perché all'improvviso incrociò proprio lo sguardo della ragazza.

Quando la guardò, Elphas si irrigidì all'istante e abbandonò per un breve attimo la sua aria da duro per lasciare spazio ad un'espressione sconvolta. D'un tratto era divenuto più pallido di un lenzuolo, ed Erika giurò di vedere addirittura le sue dita tremare, sembrava quasi avesse visto un fantasma.

La rossa invece alzò un sopracciglio con aria confusa, ma anche lei si fermò ad osservarlo: il Detective era alto, possedeva una corporatura bilanciata e una barbetta fine e sul biondo cenere, come i suoi capelli. Il verde scuro delle sue iridi era intenso, disarmante, e a tratti la metteva in soggezione, anche se sembrava così scosso che per un attimo Erika pensò che gli sarebbe venuto un infarto da un momento all'altro.

Che motivo c'era di spaventarsi così? Non era mica un mostro. Ma in un attimo l'uomo si ricompose come se non fosse successo niente, e la sua attenzione ritornò nuovamente su sua madre, che intanto continuava a gridare come un'acquila. Aveva praticamente attirato l'attenzione di ogni singola persona girasse di lì, compresi i poveri poliziotti e gli addetti alla scientifica che non sapevano cosa fare.

«Può chiudere la bocca un secondo?!» Sbottò Jhonson senza preavviso, zittendo la donna all'istante, «Signora, glielo ripeto per la seconda volta: non ho intenzione di andare contro di voi o contro vostra figlia, ma ho bisogno di porle delle domande, possibilmente in commissariato. Non ha nulla da temere. Se le da così fastidio possiamo anche rimandare l'interrogatorio a domani, capisco che la ragazza abbia bisogno di riprendersi, ma se lei vuole evitare di dare spettacolo le consiglio vivamente di smetterla di urlare come una pazza» Ripeté con aria seccata.

Il silenzio piombò nell'aria per qualche breve secondo, poi sua madre borbottò qualcosa di poco carino, rivolgendo all'agente un'occhiataccia di fuoco.
«D'accordo, ma non appena risolverete questo stupidissimo mistero vorrei che lasciaste mia figlia in pace, e non mi importa un fico secco se siete poliziotti, qualora proverete a farle delle domande scomode giuro che farò crollare l'intero commissariato, ci siamo intesi?» Assottigliò gli occhi in una fessura, puntando un dito di avvertimento contro Jhonson, che alzò gli occhi al cielo e si limitò ad annuire. Quella donna non aveva peli sulla lingua.

«Bene, a questo punto non abbiamo più nulla da dirci. - Annunciò il poliziotto - A domani, allora.» L'uomo rivolse nuovamente ad Erika un'occhiata strana, sembrava quasi che volesse dirle qualcosa, ma alla fine la salutò solo con un semplice cenno del capo, dopodiché andò via.

Il detective tornò di fatto al fianco del suo più fidato partner, Jason Hallei, accovacciato affianco al cadavere nel tentativo di ricavare qualche indizio. Quando quest'ultimo lo vide arrivare, lo guardò stranito.
«Che hai, Elph? Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma.» Gli disse, scuotendo leggermente la sua spalla con aria preoccupata. Il biondo lo guardò per un attimo, poi fece un lungo sospiro per calmarsi.

«Il dipartimento conserva ancora i fascicoli di vecchie indagini, diciamo di cinque o sei anni fa?» Domandò poi all'improvviso, indurendo lo sguardo.
«Credo di sì, perché me lo chiedi?» Anche l'espressione di Jason si fece più seria.
«Perché ho visto quella ragazza, e se si tratta davvero della persona che penso che sia, siamo in un grossissimo guaio.»

𝐋'𝐔𝐎𝐌𝐎 𝐃𝐀𝐆𝐋𝐈 𝐎𝐂𝐂𝐇𝐈 𝐃𝐈 𝐍𝐄𝐁𝐁𝐈𝐀 | ✓Where stories live. Discover now