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Se c'era una cosa che Miroku proprio non sopportava era l'alzarsi tardi la mattina.

Magari può sembrare un po' strano, ma fin da quando ne aveva memoria, per quanto andasse a letto ad orari impossibili, aveva sempre amato svegliarsi intorno alle cinque o al limite alle sei del mattino.

Perché?
Semplice: perché a quell'ora tutti in casa dormivano, l'unico rumore udibile era quello attutito delle macchine che stavano per strada, tutto pareva muoversi al rallentatore, perfino le lancette dell'orologio davano come l'impressione di muoversi lentamente, quasi fossero assonnate anch'esse.
In poche parole sembrava di essere isolati dal mondo, chiusi all'interno di una bellissima e fragile una bolla di sapone a prova di realtà.

Adorava fare le cose con calma, prendendosi tutto il tempo necessario.
Non sarebbe stata affatto un'esagerazione dire che per lui quello era uno dei momenti migliori della giornata.
Quando si svegliava con un sonoro sbadiglio, si sgranchiva braccia e gambe con calma e poi, dopo essersi lavato e vestito, si sdraiava sul letto e si metteva a leggere o a giocare al computer fino alle sette e mezza.

Molto probabilmente fu proprio per questo motivo che quel giorno Miroku si svegliò con il piede sbagliato: perchè aprì gli occhi alle otto in punto, con i fogli degli appunti di inglese appiccicati sulla guancia sinistra insieme ad un sottile filo di bava, e il suo cellulare, sicuramente scarico, sepolto sotto una miriade di libri.

Libri che in quel momento sarebbero dovuti essere all'interno del suo zaino, zaino che in quel momento sarebbe dovuto essere sulle sue spalle, e spalle che, oltre ovviamente a tutto il resto del suo corpo, in quel momento sarebbero dovute essere nel cortile della sua università, per strada, all'uscita della metro o, al limite, sull'uscio di casa.

E invece erano ancora lì in camera, piegate sulla scrivania sopra il quaderno di matematica in una posizione che sicuramente gli avrebbe garantito un mal di schiena da incubo fino a quella sera, se non fino alla sera seguente.

A riscuoterlo furono le grida di sua madre, la quale come ogni giorno stava dando sfoggio di tutta l'esperienza che aveva acquisito da piccola, quando d'estate veniva lasciata alla fattoria dei suoi nonni e la mattina li aiutava a svegliare il bestiame.

- Giù dalle brande, Reisuke! -

Stava gridando bussando ripetutamente sulla porta del tredicenne, la cui camera si trovava proprio accanto a quella del fratello.

- Sono giù dalle brande! - Ribattè invece il ragazzino con la voce ancora impastata dal sonno. - Il problema è alzarsi dal pavimento, ma'! -

Al che la donna scoppiò a ridere, intimando però al figlio di darsi una mossa se non voleva essere lasciato a piedi anche quella mattina.

Quelle parole riuscirono a riscuotere entrambi i figli, il maggiore in particolar modo, nonostante a dirla tutta la sua università, al contrario della scuola media del fratello, si trovava da tutt'altra parte rispetto agli uffici dove lavorava la madre, per cui se anche fosse stato pronto lei non avrebbe comunque potuto dargli un passaggio.

La buona notizia: Miroku riuscì ad essere fuori di casa addirittura un quarto d'ora prima della madre e del fratello.
La cattiva notizia: loro due uscirono alle otto e mezza, mentre le lezioni all'università iniziavano alle otto e venti.

Quando Miroku arrivò a scuola erano le otto e quaranta e lui pareva reduce da una maratona.
Aveva infatti rinunciato a prendere la metro non appena si era reso conto di quanta folla ci fosse alla stazione, così alla fine si era fatto quei dieci chilometri a piedi, correndo come un forsennato.

Piegato sulle ginocchia, Miroku stava ancora boccheggiando per la stanchezza, provando nel contempo a darsi un contegno asciugandosi il sudore dalla fronte e sistemandosi frettolosamente lo zaino sulle spalle, quando, con lo sguardo che era ancora chino sul terreno asfaltato, notò delle scarpe da ginnastica nere farglisi sempre più vicine.

nothing has changed //Yaoi//حيث تعيش القصص. اكتشف الآن