il fiore al buio.

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I boccioli si serrano al buio, spaventati dal sospiro del gelo, un sospiro affannoso per un dio malato e perso, camminava senza contare i passi, badare agli snodi, solo i nodi alla gola si facevano contare per mille, e mille, volte ancora.
Di rovescio, una piccola lucciola, aveva forzato troppo, era stanca, aveva fatto dei giochi di limite; adesso, voleva stargli vicino, dopo due ore di vetro sporco, di sguardi assenti di sostanza, adesso camminava alla sua ricerca.
Perché portarlo lì? Perché cercare di trascinarlo e poi ignorarlo? Che era successo a quello che era?
Si era spaventata a tutti quei retroscena che stavano tornando a sporcare i suoi timpani a spaccare le sue memorie ben custodite, gelosemente nascoste.
Lui non avrebbe dovuto saperlo, non avrebbe dovuto sentirla quella parte di lei, quelle storie che alla fine erano solo aneddoti ingrassati dalla mano generosa di vecchi amici con troppo fuoco per le vene.
La pioggia non la smetteva di battere, cadeva e fremeva, alle volte scuoteva le membra e poi, poi scemava, in un soffio di sussurri, e solo allora, in quei sussurri, si diede uno sguardo alle spalle.
Una ventata di schiaffo portò via il tutto.
Puzzo di piscio, alcol etilico, eccolo, zoppo, finì per seguirla, vicoli lontani da tutti, un uomo rozzo parlava alla sua schiena, che la voleva, serenata storpia.
Lei, si imbottiglió in un antro spesso e stretto, non poter scappare, angoscia, lo stesso tipo che affissiava il dio, ma loki era il maniaco di se stesso, era una cosa intimamente pulita e lacerante, macerante.
Mura da tre lati, claustrofobica, un urlo strozzato, ribellata per finta, il suo coltello piantato nella pancia, urlò, cercava di muoversi.
"Stai zitta, stai zitta angioletto, papino fa in fretta"
Paura, come un essere che volesse librarsi in aria senza più ali, con il fuoco sulle piume candide, lui lontano, tutti lontani, panico da disperazione, a confronto con lui era dolcezza, rabbia da fratello.
Le mani frugavano, e lei si muoveva piangendo, una mano sulla bocca, punta fredda di fronte all'intestino, bava di lumaca arsenico.
Non credde alle sue orecchie, camminava con passi incerti, stava tornando indietro, perché lo stava facendo? Un elfo zoppo nel ventre di Monaco, un elfo dalle guance blu e il sorriso a fori, tirava su fino ai taglienti spigoli le sue labbra solo per autocelebrarsi.
Un ragazzo dalle emozioni teatrali, una volta lo avevano definito cosí, austero pazzo, il mago d'ingegni arguti, ruspanti.
Credeva di aver fatto una stupidata, andarsene, dove? I piedi lo avrebbero potuto condurre ad un girovagare inerme, soffocava sempre un tiro di polmoni di più, il dolore pesa, un granello diventa chili se si porta a lungo: caricato di saccate si stava sfibrando, slavato dal acqua con un viso che ad alcuni sembrava lievemente slavo.
Ed è così che si dipinge la storia, da una parte l'efferato è dentro, dall'altra è in atto, da una parte si concepisce e dall'altra si casca, eppure, siamo tutti in cerchio, e adesso si tace e si ode nella svolta dell'uscio.
Il rosso di biscia riconosce in fretta la presa e l'avvoltoio che gliela scarna prima che possa neanche annusarla.
Tentato di andarsene, per un attimo il pendio si faceva inverso, quello che lo stava riportando da lei sfiorò la vendetta per il trattamento precoce.
Eppure, lei lo vide, lo vide e tirò un sospiro, un qualcosa, un implicato subbuglio, l'aspettava? Invano, ma pur sempre in sano disirio d'arresa.
"Loki"
L'uomo parlava in gemiti affannati, troppo preso, troppi templi e scozzi di thor per sentire anche altro oltre al calore che gli guidava le membra, una puttana gratis, bella, pulita.
"Shh..busso e mi fai le giravolte"
Il dio sedeva, tramortito, perché non reagiva la iena? Aveva aggredito lui e non un mostro qualsiasi? Ecco il secondo freno, punto.
Purtroppo le menti perverse sono anche brillanti, ci mise un rabbioso attimo di emozione illecita a cacciarsi la verità nella testa, era costretta.
L'orgoglio di un testardo sottomesso non permette che il padrone si pieghi.
E quel suo ego non permetteva molte cose, sopratutto, se la ragazza si fosse spenta non avrebbe visto più casa.
Lei pregava intanto, si agitava, dejavú, si, abitava il corpo ma non la mente, ora, guardava solo il suo dio, invocando clemenza, invocando acqua, chiusa in se stessa, cemento secco sulle radici, lacrime finite in pozze anonime, e alito di aiglio e birra.
La sua mano frugava e lei delirava, avrebbe guardato tutto allora?
Il suo scempio, il suo stupro, sentiva solo le sue carni avvicinarsi a quel orrida bestia, un urlo dopo un morso, il coltello finì in un peggior angolo.
"Lasciala!"
Adesso fu frastuono, non ci fu vera logica, vero ghiaccio, era caos, caos nella sua mente, come quando aveva sentito per la prima volta le storie sulle sua pelle.
Rabbia, ecco perché era andato via.
Gelosia delirante?
Lotta.
Colpo di mano, strattone,
debole contro un uomo che ingaggió una scazzottata, sgarbata.
Finalmente, libera tornò a lottare, spenta, senza freni, era la prima volta che si muoveano insieme, un graffio sulla guancia di lei con la lama.
Era stata un imprecazione, un uomo che per sfilarsi dalle sue gesta d'impulso si era gettato sullo sfregiare e ingurgitare più carne possibile.
"Fermatevi, fermati.."
Lo disse quando erano finiti a continuare ad oltranza, più del dovuto, lui si era ben arreso, ma un guerriero perso, senza gloria ne battaglia diventa sempre un assassino a polvere da sparo.
Lo capì quando vide i suoi occhi, dov'era il suo gelo? La sua mente profonda, la sua bellezza enigmatica, adesso era solo caos, era solo essenza di rabbia.
Tutto cercando qualcosa per interrompere quel torneo da spezzati, una manata, un calcio.
Loki il più alto, il più agile, ma il messo peggio,sembrava suo figlio, il lupo, alla fine l'uomo gli piantò in una mano il coltello, il sangue di azoto cadde e bruciò. Un colpo sulla testa dato da Elisa, con un bastone, l'uomo cadde a terra e loki si levava la lama.
"Ti odio, ti odio ragazzina, odio questi dannati umani, vi voglio tutti morti."
Si tamponava la mano.
Era finito tutto, la fenesia di cui si era incendiato ricadde nell'oblio dell'ovvio, della verità, la guardo, guardò l'uomo,la mano, ma non fu in grado di camminare, si gettò a terra e lei accanto.
Ancora schifata, spellata, crepata.
"Grazie."
Lui ansimava, per un attimo le sembrò che volesse tornare a lottare con lei come nella sera, si lamentava apertamente.
Caso? Grave, rosso, anzi, blu.
Lui che delirava apertamente al dolore, alla stanchezza, buttava la maschera nel icenso della verità perduta.
Provò ad alzarsi, e lei le resse un cero immaginario, pena, come l'addolorata tramortita, voleva fare qualcosa, schifata da tutto, ma improvvisamente accucciata su di lui.
Gli prese il volto, cercò i suoi occhi, lui strattonò, ma non subito, smise, smise con uno sguardo nei suoi, nient'altro.
Lo lasciò, e lui rimase fermo, si rialzò dopo aver guardato di fronte:imbarazzo.
"Andiamo"
Lei, guardando il corpo.
Silenzio,si alzò.
Il dio raccolse il fiore gettato sulla sua realtà, come fosse una tomba.
Nessuno avrebbe più parlato, il silenzio salvava, finirono in una terrazza coperta a evitare un altro simile incurante sguardo.

 La regina di LokiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora