IV: Il consiglio

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Elias si era sempre considerato un uomo conscio dei propri limiti. Sapeva fin troppo bene di aver commesso molti errori nella sua vita, ma era anche convinto di aver imparato il giusto da ciò che gli era accaduto, nonostante non fosse mai riuscito a scrollarsi di dosso alcuni vizi mondani quali la passione per il vino e le donne. Quando il consigliere l'aveva fatto svegliare in piena notte, però, il Governatore aveva compreso subito che le conoscenze acquisite con fatica negli anni precedenti non sarebbero state utili.

"Mio signore, mi duole avvertirvi che un guardiano chiede di voi" gli aveva riferito Hubertus. "È una questione della massima importanza."

Con poca regalità, si era vestito e aveva seguito il consigliere fino alla sala delle udienze, dove aveva trovato, impalato in mezzo alla stanza, un vecchio decrepito.

"Vi prego di perdonarmi per la leva notturna, mio signore" aveva detto l'uomo nel vederlo entrare, iniziando a torcersi le mani nodose. "Purtroppo è accaduta una disgrazia."

Elias si era portato fino allo scranno con passi pesanti. "Illuminatemi, allora" aveva detto, per poi accomodarsi. Aveva cercato di non mostrare tutto il disgusto che provava nei confronti dell'ordine religioso promosso da Everett - avversione dettata soprattutto dalla terribile attitudine di totale abnegazione e rifiuto di sé a cui aderivano, sancita dal fatto che ogni guardiano, una volta accolto tra le braccia della salvezza, perdeva per sempre il suo nome.

"Mio signore, un mutaforma ha stuprato e ucciso una delle nostre protette."

Il Governatore era rimasto per un attimo in silenzio, troppo sorpreso per rispondere, tanto che il vecchio ne aveva approfittato per porgli una domanda.

"Cosa intendete fare?"

"Innanzitutto, dove si trova al momento?"

"Incatenato nelle nostre prigioni."

Elias aveva annuito, sollevato che almeno fossero riusciti a catturarlo e non dovesse organizzare una battuta notturna per trovare la bestia. "Ho bisogno di riflettere" aveva detto con un sospiro. "Tornate domani mattina."

Il vecchio si era congedato senza ulteriori commenti e lui aveva potuto rintanarsi in camera, dove si era di nuovo coricato; aveva trascorso supino le ore mancanti all'alba, con gli occhi rivolti verso il soffitto ligneo, conscio di quante implicazioni avesse la notizia datagli. Quando aveva visto spuntare i primi timidi raggi luminosi si era alzato per tirare le spesse tende rosse che coprivano la finestra, concedendosi di guardare il dolce risveglio di Myrer, la sua città: aveva fatto scorrere lo sguardo lungo il declinare dei tetti in pietra dei palazzi della Città Vecchia, portandolo fino a quelli in legno della Cittadella. C'era un che di pacifico nella calma che trasudava dai camini accesi e il silenzio delle strade. Solo un grosso cumulo di nubi addensatosi all'orizzonte, sul limitare dei boschi che cingevano le risaie, e il fiume, le cui acque grigie scorrevano tra la terra secca e brulla, sembravano accordarsi col suo umore.

"Non sarà una giornata semplice."

Seduto sullo scranno, davanti alla delegazione dei Guardiani, continuava a ripetersi la medesima frase. Poteva notare quanta fatica stesse facendo Taron, seduto alla sua sinistra, per tenere a freno commenti taglienti simili a quelli che viaggiavano nella sua testa, mentre Hubertus, in piedi alla sua destra, aveva assunto un'aria sconsolata. Solo i tre guardiani accalcati di fronte a lui parevano a loro agio nella fredda stanza, in cui l'unico addobbo erano gli arazzi appesi alle pareti, sui quali era stato dipinto il simbolo della casata degli Enkel - una mano che reggeva una spada grigia su sfondo rosso.

"Signori" esordì, conscio che il silenzio calato dopo i convenevoli di rito non potesse persistere ancora a lungo. "Riportate esattamente ciò che è accaduto."

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