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MARIA

Il telefono segna mezzanotte e mezza. Sono sdraiata sul divano con "Noi Siamo Infinito" in grembo. Pagina 137. Gli occhi si stanno facendo pesanti, ma non posso addormentarmi ormai... tra mezz'ora parto.

La macchina è già pronta con tutti i bagagli al suo interno. Mia sorella Anna è stesa di fronte a me, con il telefono in mano. Sorride allo schermo e digita messaggi velocemente. Sarà Simone, il suo fidanzato.

Mi immergo di nuovo nelle avventure di Charlie, Sam e Patrick, finché non sento movimenti nella stanza dei miei genitori. Dopo qualche minuto, mio padre, già vestito, si dirige in cucina, e mia mamma, anche lei già pronta, lo segue.

Il sonno che avevo si è velocemente tramutato in ansia, felicità e paura.

Mi alzo e inizio a raccattare gli ultimi oggetti sparsi per casa utili al viaggio. Afferro la felpa nera appoggiata all'appendiabiti e la sistemo sui sedili anteriori dell'auto. Sciolgo e raccolgo nuovamente i capelli ricci in uno chignon alto.

Vado in giro per la casa e fotografo mentalmente tutte le stanze. È una mia abitudine: l'ultima ad uscire, la prima ad entrare.

"Facciamo la gara anche quest'anno?" mi guarda mia sorella maliziosamente, mentre siamo già sedute e nostro papà inizia a fare la retromarcia per uscire dal garage. Mi tolgo gli infradito.

"Però solo quella del bagno, perché io mi addormento subito!" È il mio compromesso.

Ogni anno, decidiamo di sfidarci: la prima che va in bagno e la prima che si addormenta. Quella del bagno, la vinciamo entrambe... anche se dopo 11 ore di viaggio, arrivate a destinazione, dobbiamo scappare ad espellere liquidi.

L'altra sfida non l'abbiamo mai praticamente fatta perché abbiamo orari completamente diversi. Anna di solito va a dormire ad orari improponibili e quando siamo in viaggio, resta sveglia fino alle 4 o 5 di mattina, precisamente all'alba e quindi, quando io mi levo dal sonno. Lei poi dorme fino a che non arriviamo a casa nostra.

Io invece, mi diletto a sonnecchiare come le persone normali, quindi con il buio.

Però in una cosa ci assomigliamo: quando siamo sveglie, restiamo perennemente con le cuffiette nelle orecchie.

Il mio viaggio lo passo così: ascoltando canzoni su canzoni, guardando fuori dal finestrino oscurato e pensando. Ebbene le mie ore in questo abitacolo, le passo fantasticando su avvenimenti e possibili incontri tra Nord e Sud: le due facce della mia medaglia chiamata vita.

Penso alle persone che lascio nella mia terra emiliana, e a quelle che rivedrò dopo tanto tempo. Voglio toccarli e poterli guardare negli occhi, non attraverso uno schermo, con tutti quei pixel.

La macchina imbocca l'autostrada. Okay, ora posso addormentarmi. Di solito aspetto sempre di entrare nella superstrada prima di dedicarmi al mio pisolino un po' sballottato dagli spostamenti.

Appena guardo la facciata di casa mia, la saluto con "ciao, ci vediamo ad agosto". Appena esco da Parma, è un "stammi bene, ci si sente, eh!". E poi arrivo nelle strade monotone e insignificanti che non conosco. È lì che capisco che posso dormire, tanto non mi perdo niente, se non le luci delle altre poche auto, sbiadite e sfocate in lontananza.

Ed ecco che il sonno prende strada nel mio animo. La macchina è fresca grazie all'aria condizionata che esce dai bocchettoni. Incastro la nuca tra il poggiatesta e il finestrino dell'abitacolo. Allungo le gambe, che già sono indolenzite al solo pensiero delle proteste che faranno una volta arrivata. Calo la palpebra e ascolto il rumore che provocano gli pneumatici sull'asfalto ruvido.

Lentamente mi immergo nella notte, diventando parte di essa e finalmente dormo.

Vengo svegliata dalla macchina che rallenta. Guardo l'orologio 3:50. Siamo in un Autogrill. I neon illuminano lo spazio di ristoro. Alcuni bolidi sono parcheggiati. Mio padre scende e fa benzina. Dopo aver pagato, ci spostiamo e mie madre decide di andare in bagno, o così mi pare, visto il mio occhio ancora chiuso. Ritorno a far parte della notte.

Una luce fioca entra a contatto con me. Lentamente mi muovo dalla mia posizione alquanto scomoda. Mia mamma è alla guida, e si sente; visto che la s è molto più imprudente del quieto stile di guida di mio padre, che dorme accanto a lei con la testa inclinata verso sinistra e le labbra schiuse.

Mi stiracchio la schiena e afferro il telefono dallo zaino. Sciolgo le cuffiette dai vari nodi e le infilo nelle mie orecchie.

Parte la sessione di canzoni e pensieri.

Dopo due ore di musica, decido di tornare alla mia vita reale. Mamma è ormai tornata al suo posto.

"Mamma mi passi del caffè?"

Lei porgendomi il bicchiere, dice: "Vuoi qualcosa da mangiare?"

"No grazie..." e ritorno ai miei pensieri.

Penso a quella terra, quel luogo pieno di emozioni e di persone che mi hanno aiutato a crescere e sono maturate con me. Che, anche se distanti, mi sono sempre state vicine con tutte le difficoltà che ho dovuto passare in questo anno di cambiamento nella nuova scuola. Li ho trattati male, ma ci sono sempre stati.

Inizialmente pensavano volessi abbandonarli dopo l'estate scorsa. Ma sono solo tornata alla mia vita, lì al nord. Con le mie amicizie e con i miei impegni, con l'inizio al liceo artistico e i miei problemi nordici. Che sì... sono molti di più di quelli che ho qui, in terronia.

Forse, una cosa che non sanno, è che voglio loro molto bene e non voglio perderli. Li vedo come la mia seconda famiglia, non come degli amici a distanza. Ma è questo il bello di avere amici lontani, si è più legati di quanto tu possa essere unito con una persona che vedi tutti i giorni. E quando si sa che il tempo per stare insieme è poco, si vive ogni giorno in modo diverso per non sprecare i giorni contati che si hanno. È per questo che ci siamo sentiti spesso. Sapevano tutto ciò che mi accadeva e mi sostenevano sempre... e viceversa.

A noi stava bene così. Ci bastava, o ce lo facevamo bastare. Ed ora... dopo un anno, li riabbraccerò. Finalmente.

Il mare è lì, lontano ma abbastanza vicino per farmi crepitare dalla voglia di immergere i piedi nella sabbia rovente e poi nel mare. La quiete.

Con la musica di sottofondo, e un libro.

La perfezione.

La calma che si lega al rumore come la sabbia viene bagnata dalle onde, come un libro viene trasportato da una canzone estiva. Come l'ombra invasa dalla luce del sole.

Usciamo dall'autostrada e imbocchiamo la prima uscita dopo la rotonda. La via è un po' in salita. Meno di 5 minuti. Scruto il paesaggio per notare ogni minimo cambiamento... ma non ce n'è nemmeno uno.

Ultima curva.

Eccoci. Il palazzo giallo pastello spicca in mezzo a quel mortorio di mura bianche. Mio nonno paterno con la sua capigliatura bianca e scompigliata, ci aspetta sulla soglia del garage.

Scendo dall'auto. Le gambe sono inesistenti e con difficoltà e zoppicando, lo abbraccio e gli lascio un bacio sulla barba bianca e corta. Salgo velocemente le due rampe di scale e raggiungo la cucina dove un odore di frittura mi invade le narici.

"Ciao nonna." e l'abbraccio. Ha le lacrime agli occhi, come ogni volta che arriviamo o ce ne andiamo.

"Finalmente ti ho superato!" Scherzo vedendola più bassa di me.

"Che si mangia?" Chiedo dopo un po', iniziando a togliere i coperchi dalle pentole per osservare al loro interno.

"Credo di dover andare in bagno..." Dico dopo aver rubato qualche patatina fritta dal piatto coperto.

Stupida scommessa!

Qualcosa Di PiùWhere stories live. Discover now